Motociclista effettua il salto con gli sci

Robbie Madison

Con il fiato sospeso per 114 metri, ad osservare una cometa umana. Che discende dalla cima e vola giù per l’equivalente di diciotto piani (nuovo record del mondo) come si usa fare, normalmente, con due assi piatte ai piedi. Ma qui si parla, gente, di due-ruote. O per essere maggiormente precisi, della supermoto, insigne versione multiruolo usata dai centauri più spericolati fin dall’epoca di Evel Knievel, il primo grande acrobata armato di manubrio e del pedale di avviamento. Da premere con forza, proprio come in questo caso, poco prima di lanciarsi nel…
Ma cominciamo dal principio. Lui è Robbie Maddison, nato nel 1981, lo stesso anno in cui quella leggenda di cui sopra, ricoperta dagli allori e i gran successi di un’interminabile carriera, ebbe a ritirarsi, raggiunta per miracolo l’età della pensione. E qualcuno potrebbe dire, con un senso dell’allegoria di stampo tibetano, che una tale anima sia stata ereditata, guarda caso, proprio in quella particolare casa di campagna dell’Australia, sita presso il bel paesino di Kiama, Nuovo Galles del Sud. Siamo, per intenderci, nella parte sud-occidentale dell’unico continente isolano, nexus globale del passare-il-tempo usando il rombo dei motori, le onde dell’oceano, il soffio inarrestabile del vento. O del resto si potrebbe dire che la Terra è vasta. E su di essa esistono persone per le quali niente è sufficiente, tranne la realtà. Quello che noi ci accontentiamo di sognare, per il tramite dell’intelletto, la televisione e i videogiochi, loro devono provarlo su pneumatici di carne ed ossa. E hanno la benzina, nelle vene: per agire in prima persona, per cambiare il flusso delle cose logiche o possibili, umanamente realizzate. Fino all’ultimo respiro! Così lui lo ritroviamo, ben presto, a correre nei campionati nazionali di Supercross ed FMX, la specialità che consiste nell’effettuare acrobazie a turno, sottoponendosi al giudizio dei Pari. Coloro che, evidentemente, questo campione lo trovarono virtuoso, tanto di spingerlo innanzi, oltre i suoi studi da elettricista e verso competizioni sempre più importanti. Nel 2004, Maddison vince gli X-Games d’Australia, grazie all’esecuzione in sequenza di 13 flips-giravolte (!) L’anno dopo supera un paio di record del mondo, salto maggiormente esteso e salto con acrobazia più lungo. Poi, nel 2009, si fa male a Las Vegas, pur completando addirittura QUELLA sfida; ma una tale storia appassionante, tanto celebre, voglio usarla per il gran finale.
Ci vuole chiaramente ben altro, per fermare simili campioni dalla volontà feroce. Che per ogni caduta, si rialzano due volte. Finché non giungono, mirabilmente, ad esagerazioni ultramondane come questa. Il luogo: lo Utah Olympic Park, complesso in cui si tennero una parte delle Olimpiadi Invernali di Salt Lake City, nel 2002. La parte più esosa, in termini di strutture necessario, visto che qui si trova, neanche a dirlo, il grande trampolino. E la pista dei bob, arzigogolato semi-tubo dove superare in abbondanza i 130 Km/h, a bordo di una slitta di metallo. (Vuoi vedere che…) Ma il tempo passa e qui non è rimasto più nessuno. Come sempre, dopo un grande evento, se ne vanno le persone, le telecamere, il prezioso senso dei minuti. In questo caso si nota addirittura, un’ulteriore assenza: non c’è più la neve, visto che siamo in estate. Poco male, giusto?

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I duri contrattempi della caccia all’aragosta

aragosta

Un destino peggiore della morte. Il che non esclude, strano a dirsi, la morte. Venire ripescati dal fondale astruso del profondo mare, trasportati dentro a un sacco fino a un frigorifero di oziosa meditazione. Per poi ritrovare, finalmente, l’acqua, eppure poca. Solo quella necessaria per la pentola sia chiaro, tale cosa tonda di metallo che tu ancora non conosci, perché sei rossa e grossa, tiepida e bitorzoluta, semplice, Pacifica aragosta. Pacifica perché, nello specifico provieni da quel vasto Oceano, il più colossale e misterioso, che si estenderebbe facilmente da una parte all’altra dell’Eurasia, per il tramite di un giro tutt’attorno al suo pianeta. Se non fosse per la lunga cosa in mezzo, la barriera di una terra, di quelle cosiddette “emerse”. Tale grigia e verde preminenza, tanto ingombrante, che si chiama Continente. L’America per l’appunto, 42 milioni di chilometri del tutto invivibili, per voi decapodi, mammiferi marini, oltre agli amici pesciolini. E forse stavano meglio, tutti quei crostacei con i loro cuginetti, quando alla genesi del mondo ne esisteva solo uno, la Pangea di tutti i popoli, striscianti, quadrupedi o scagliosi, nonché quelli ancora da venire, carnivori e sapienti pescatori. Ma la geologia a questo conduce: suddivisioni. E così avvenne, milioni di anni fa, lo scisma evolutivo che condusse tutte le aragoste dell’Atlantico ad avere grosse chele. Mentre dall’altra parte, invece, solo antenne. Difficile capire la recondita ragione! Ci sono addirittura due termini diversi, in lingua inglese, per riferirsi alle due tipologie di creature, lobster (chelate, dalla parte del Vecchio) e crayfish (…). Salvo eccezioni, come la presente, che risponde alla sua legge, solamente.
Pare di verderla, questa Panulirus interruptus o aragosta spinosa della California, senza chele ma pur sempre detta lobster, secondo l’inesatto nome collettivo. Poco prima di finire dentro a un piatto, nella ciotola metallica sul fuoco, senza neanche il seme giustificativo della Comprensione. Lentamente, inizia a fare un po’ più caldo. E poco dopo, ancora un po’ più caldo. Finché non resta solo un suono, l’assordante fischio della fine, un’arma di difesa senza soluzione di salvezza. Resta quindi, la soddisfazione dello chef. Che cosa di buon gusto! È una storia tragica che inizia in modo divertente. Come spesso capita, di questi tempi: guardate qui che scena. Rick Coleman, esperto pescatore di aragoste e fervido appassionato di biologia marina, assieme a Susie, la sua cara moglie, la quale ha deciso che. Si: è giunto il momento d’impegnarsi. Avvicinarsi a quel cimento, di portare il proprio pasto sulla tavola, senza l’impiego di una trappola di o simili strumenti tecnologici. Soltanto le sue mani ed il pensiero, i gesti rapidi già ben conosciuti dal consorte. Che intanto se la ride, telecamera alla mano. Si sa: tra il dire e il fare….
Perché l’aragosta, quando minacciata, non soltanto fischia ma ricorre a un altro tipo di risposta. Può schizzare via, come un gambero colpito dalla frenesìa! Gli effetti sonori del sapiente video aiutano ad enfatizzare le bizzarre circostanze.

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Il domatore delle pietre squilibrate

Gravity Glue

Poter dire: “Pietra, giaci!” Ed essa giacque, per un tempo comparabile all’eternità. Sarebbe a dire due minuti, pressapoco, dal momento in cui allontani le tue mani. Erosione? Distruzione, esplosione? Nulla di tutto questo, solamente quella forza che la lega, fin dagli albori più remoti della sua esistenza, al nucleo geomagnetico del globo. Non importa che sia fatta di metallo, silicati, di granito oppure feldspar di labradorite, gravità comanda, tutto quanto, e poi la pietra, da principio. Che non vola. Eppure, può librarsi sulle tristi consorelle: ecco come.
Michael Grab, alias Gravity Glue (colla-gravitazionale) è l’unico serio praticante al mondo di una sua speciale forma d’arte, che è anche un gioco bambinesco, però proiettato fino alle finali conseguenze, i limiti di quello che sia “possibile” o “giustificato”. Lui si reca presso i freddi fiumi della parte ovest del Colorado, a ridosso delle Rocky Mountains (vive presso Boulder Creek) dove gli inverni ancora possono conoscere la neve, il ghiaccio e le alci viaggiatrici. E in quelle acque fruga, lungamente, fino a ritrovare un lampo, il colpo dell’ispirazione. Assieme ad un bel pezzo di Pianeta, liscio e duro sasso, che si presti alla realizzazione del pensiero. Più altri due, quattro, sei compagni di quell’altro, messi tutti assieme da una parte. A quel punto, si comincia. Perfetta unità di tempo, mezzo e luogo: lui soltanto e le sue mani, in mezzo al flusso di quell’acque, appoggia il primo masso in miniatura. Rigorosamente in verticale, con sopra un altro e un altro ancora. Così, mentre la corrente si divide per l’effetto dell’intruso e del sopruso, lui continua e accresce la sua torre.
Può sembrare poca cosa, ma non fatevi trarre in inganno. Qui non stiamo parlando di mattoni ortogonali o precisi materiali sfaccettati, da comporsi come pezzettini delle costruzioni. Queste sono pietre inselvatichite, asimmetriche, stondate. La furia stolida degli elementi, che le ha avute in carico per molti giri del millennio, le ha ridotte a vere e proprie pillole del raffreddore, tanto sono ellittiche talvolta, oppure a putiféri di triangoli decisamente irregolari, in ripida e tremenda compenetrazione. Sposarle fra di loro, non è facile. A noi comuni esseri umani, con un senso d’equilibrio nella media, non ci verrebbe mai nemmeno in mente. Ma Michael Grab opera su di una lunghezza d’onde differente. Come dichiara in lettere MAIUSCOLE nella sua dichiarazione d’intenti, per lui TUTTO È POSSIBILE e ogni pietra ha una serie di minute asperità, impercettibili avvallamenti, che possono agire da TRIPODE. Quello strano gesto, tanto affascinante, sarebbe dunque l’unica maniera per trasferire la natura incontaminata, eternamente senza tempo, nell’ADESSO/NOW. Affinché giaccia, brevemente ma per sempre nella mente, prima di tornare quel che Era!

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È giunta l’ora (di dare al porcospino la sua zucca)

Porcupine Pumpkin

Ah! Gioite, è la stagione. Il giorno e l’ora, l’orrido momento. Quando gli spiriti del mondo, secondo le credenze d’Oltreoceano, vagano su strade dissestate in cerca d’anime da annichilire. E noi non contenti, già di questo, lì a vestirci come zombie, poliziotti e giustizieri con il volto della morte stessa. Apotropaico, chiaramente, resta il senso della cosa: come nel grande Oriente, in cui le immagini dei mostri e dei dragoni, fin da quando esiste la pittura, son servite a scoraggiare spiriti maligni e la sventura, personificata. Almeno, nell’idea fondamentale di partenza. Poi, si cambia e si va oltre; finché ormai nessun ricorda, di quel fabbro buono a nulla, Jack-della-Lanterna, che il diavolo stesso, truffò. E che per il voler di quello già scornato, come ogni volta capita, venne alla fine condannato. Alla trasformazione, di lì e per sempre, in mostro occulto della Notte, con luce di ben fievole speranza e denti acuminati, ricavati dalla scorza di una rapa vuota.
Tali ortaggi sono ovunque, già intagliati ormai da tempo e messi sopra i davanzali (di chi preferisce, alla Befana, feste d’altri mondi culturali) Il momento è prossimo. E guai saranno certamente, per tutti quelli privi di un tal volto sghembo posto a guardia della casa! Presto visitata dai vampiri, dalle streghe et cetera. Il funzionamento? Davvero chiaro. Ogni cosa dalla forma circolare, nell’immaginario collettivo, è come un uovo. Da cui scaturiscono le cose più diverse. Non soltanto così, zucche. Esiste pure il caso di una sfera esatta, mezza bianca e mezza rossa, con un tasto in mezzo; come da copione, tale Pokéball può contenere…Le creature variopinte, di una festa senza fine, il carosello di battaglie del famoso videogioco giapponese. Come la zucca ospita fantasmi e pipistrelli, perché dal canto suo li crea, con il gesto dell’allontanamento. Tutto esiste, se ci credi abbastanza da giocarci. Esiste, addirittura il porcospino americano! Ma devi crederci davvero, oppure non verrà.
“Ho le spine dentro” Sembra dire: “Non toccarmi o te ne pentirai” E in seguito, cento altre cose differenti, con la rabbia e un senso di assoluta fame ed entusiasmo. Teddy Bear, come hanno scelto di chiamare la bestiola, non tace proprio mai. Le sue vocalizzazioni sono un continuo susseguirsi  di piagnucolii, lamenti e gridolini. Benché l’origine dell’ansia, a ben guardarlo, sia supremamente chiara: è frutto di una gioia sopraffina. Perché l’animale ha ricevuto, come dono stagionale, un’intero calderone di zucchette. Roba rara-rara-veramente, sulle tavole del mondo. Certamente, perché prive di sapore, soprattutto, e poi utili per l’altro scopo, quello protettivo di cui sopra. Eppure, ad averceli, compagni casalinghi come questi. Si vivrebbe molto più sereni…

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