L’essenziale ruolo distruttivo del cannone a canna liscia nei grandi cementifici americani

I frammenti fluidificati rimbalzano come lapilli, tra una parete e l’altra del gigantesco cilindro refrattario prossimo al calor bianco. Un altro giorno, un altro tramonto, un’altra notte di combattimento contro le forze oscure che minacciano di rallentare la produzione. Poiché non è possibile riuscire a tollerare, l’inquietante forma di un pupazzo di neve all’Inferno. Caricare, puntare, fuoco! Come nei casi precedenti, tuttavia, una simile figura non aveva avuto modo di apparire all’improvviso; materializzandosi piuttosto un poco a poco, dapprima con la forma di una piccola protuberanza. Che si è gradualmente, inevitabilmente, trasformata in un anello. Immagino lo abbiate ben presente: il modo in cui questo piccolo mondo in fiamme ruota a 360 gradi, alla stessa maniera in cui una colonia spaziale si preoccupa di mantenere la sua forza di gravità. Un processo che può causare non pochi problemi, dato il flusso copioso di quel miscuglio di minerali argillosi, carbonato di calcio, alite e dolomite che scorre costantemente all’interno del grande tubo posto in posizione lievemente obliqua. Finché a un tratto, il conseguente miscuglio chiamato clinker inizia ad accumularsi… Ed allora plasma strane cose come queste: anelli, sfere, doppie sfere sovrapposte, addirittura con l’accenno di una forma antropomorfa. Il chiaro segno che è finita l’era della Tolleranza, e inizia quella della Disintegrazione. Colpi pesantissimi vibrati col martello: ecco un metodo perfettamente idoneo al fine di fare piazza pulita. Non fosse per il “piccolo” problema, della temperatura media che si aggira attorno ai 3.000 gradi Celsius in quell’ambiente, richiedendo preventivamente un lungo periodo di raffreddamento prima di riuscire a intervenire a quel modo. Ed è per questo che, a partire dagli anni ’30 del Novecento, fu tentato l’approccio alternativo di un diverso metodo, al tempo stesso più irruento ed assai meno diretto, senza la necessità di entrare all’interno. Fondato sull’impiego di un attrezzo che, sotto qualsiasi possibile punto di vista, assomiglia molto da vicino a un’arma da guerra.
Cannoni industriali: ecco due parole che non penseresti di trovare associate l’una all’altra. Per il semplice fatto che si tratta di un ambito estremamente specifico, il cui potenziale impiego fuori dal contesto potrebbe arrecare non pochi danni alla cosiddetta società civile. Stiamo in effetti parlando di bocche di fuoco dal calibro di oltre 20 mm, corrispondenti grosso modo a quel concetto ormai desueto dei fucili a polvere nera usati nella caccia all’anatra en masse, le cosiddette punt guns. Abbastanza potenti da slogare una spalla all’incauto cacciatore, che dovesse essere tanto folle da farne uso senza prima posizionare attentamente l’arma su un sostegno poggiato a terra. Ausilio fornito nel caso specifico, dallo stabile treppiede fornito in dotazione, completo di un preciso sistema a doppia manovella per il puntamento. Poiché sebbene possa non sembrarlo, il tipico cannone di questi ambienti costituisce uno strumento di precisione quasi chirurgica, il cui impiego richiede una certa preparazione ed occhi attenti al calcolo del tiro balistico. Questo perché il forno rotativo, prima di procedere alla pulizia del clinker, non può essere assolutamente fermato, un passaggio che potrebbe costare all’azienda molte decine di migliaia di dollari anche senza portare al possibile conseguente danneggiamento dell’intero apparato. Ecco dunque spiegate le ragioni di una simile scena: due uomini in tuta refrattaria che si posizionano, con immisurabile coraggio, proprio all’imboccatura del cilindro infuocato. Unica concessione alla loro limitante umanità, lo spegnimento temporaneo della fiamma di riscaldamento simile a un becco di Bunsen, atto a creare fiamme concentriche nella parte bassa del forno e che scaricherebbe tutta la sua furia proprio nell’esatta posizione in cui si trovano in quel momento. L’uno intento a tirare in modo ritmico la cordicella di sparo (niente grilletti, in simili armi uscite all’apparenza da un racconto sui pirati) e l’altro nel caricare continuamente le ingombranti cartucce in plastica, piene di pallini di zinco, piombo o altri metalli, pronte ad essere sparate verso l’obiettivo di turno. Questo in quanto nessun tipo di caricatore automatico, o altro meccanismo semi-automatico, è possibile laddove la mera temperatura ambientale risulta essere abbastanza elevata da far detonare in modo autonomo le munizioni. Nient’altro che un ulteriore prova, della natura estrema di una simile attività collaterale ma importantissima…

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L’aspetto delle fattorie dove il destino delle cozze è appeso a un filo

Un pescatore in tuta da sub si avventura tra i recessi di un’alta scogliera, andando in cerca del gustoso mitile dalla conchiglia nera. Una bracciata alla volta, un colpo di pinne dopo l’altro, la sua busta si riempie, in modo graduale, del tesoro dall’aspetto meno eccezionale degli abissi, che una volta cucinato non manca di provare le sue qualità gastronomiche di alto livello. Ma un conto, nell’analisi delle precise circostanze, può dirsi essere l’impresa di un singolo ed i suoi amici o parenti, finalizzate al consumo nell’occasione di una cena. Tutt’altra storia la raccolta intensiva, ad opera di quella vera e propria industria che, al giorno d’oggi, non può mancare di essere fondata sopra qualsiasi cosa. E intere regioni costiere, zone marittime dalla preziosa eredità biologica, sono state demolite alla ricerca del tributo beneamato, che lo stesso dio Nettuno viene costretto a pagare suo malgrado, in aggiunta ai danni già causati dall’inquinamento, la pesca a strascico, l’occasionale naufragio di una nave carica di… Così dove un tempo ce n’era uno, tendono a essere milioni. Il che non significa che le cose, se affrontate con la giusta chiave d’interpretazione, debbano per forza continuare a peggiorare. E lo strumento tecnologico, coadiuvato da una prassi frutto di complessi studi di fattibilità, non debba contribuire necessariamente al perpetrarsi di quel grande Male.
Il metodo per la coltivazione intensiva dei bivalvi dimostrato in questo video esplicativo del canale di approfondimento Eater non è in effetti particolarmente distintivo, ne del tutto esclusivo della Bangs Island Mussel Farm di Portland, Maine. Sebbene sia possibile affermare che la sua efficienza en masse, coadiuvata da condizioni ambientali proficue e grandi volumi di processazione, collaborino nel creare un risultato superiore alla somma delle singole parti costituenti. Mediante l’applicazione in ampia batteria di quel concetto che in Italia e in tutto il Mar Mediterraneo vanta la più vasta delle diffusioni, benché nessuno ricordi nei fatti chi sia stato il primo a metterlo in pratica con comprovato ritorno dell’investimento iniziale. Che non definirei, del resto, relativamente o necessariamente elevato: tutto inizia, d’altra parte, con la sospensione di un lungo filo. O per meglio dire corda, ma di un tipo particolarmente ruvido e dalla superficie ineguale, affinché i molluschi appartenenti a varie specie del genere Mytilis, ma negli Stati Uniti soprattutto i cosiddetti blue mussels of M. edulis, possano aggrapparvisi mediante l’utilizzo delle loro caratteristiche bisse o barbe, viticci facenti parte della dotazione evolutiva dell’animale. In natura utili a garantire il mantenimento di una posizione ragionevolmente protetta dai possibili predatori, ma che qui diventano lo strumento per restare sospesi in zone particolarmente nutrienti della colonna oceanica, permettendogli di crescere in maniera rapida e sicura. Ciò che colpisce fin da subito nella particolare interpretazione industriale qui proposta, tuttavia, è la copiosa quantità dei soggetti di una tale prassi. Ordinatamente messa in fila mediante l’utilizzo di quella che possiamo soltanto descrivere come una zattera sovradimensionata, composta dalle travi successive da cui pende il cupo raccolto dal rigido quanto frastagliato involucro protettivo. Previo mantenimento, s’intende, di uno stato ragionevolmente integro mediante l’impiego funzionale di una rete a tubo o “calza” esteriormente non dissimile da quella usata per il prosciutto o altri prodotti della terraferma, qui sentiero valido all’accesso di un diverso tipo di pietanza, (almeno) altrettanto beneamata.
Che le cozze siano un pasto per le occasioni particolari, da mangiare ogni tanto al ristorante o in cene con gli amici, costituisce d’altra parte una visione per lo più oggettiva. Laddove non c’è niente di maggiormente prolifico, rapido da processare e conseguentemente economico al momento dell’acquisto, di questi persistenti filtratori dell’acqua marina, auspicabilmente provenienti da una situazione ragionevolmente incontaminata e priva del gravoso peso dell’inquinamento. Il che risulta assai più facile da controllare, quando sono il frutto diretto di uno sforzo organizzativo creato per guadagnare…

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L’ultima esplosione metallurgica per la catartica creazione di una sfera

Avanti, con cautela, aprite i rubinetti; ora giù con il tritolo, mentre il tempo corre rapido ad esaurimento. A fronte di un’attenta calibrazione dei rapporti di potenza. Ed ora che si alza il muro divisorio, per proteggersi da eventuali frammenti, l’oggetto simile alla rappresentazione informaticamente desueta di un poligono sferoidale. Quindi mentre ogni uomo e donna tra i presenti sembrano per qualche istante trattenere il fiato, allo scadere del cronometro, si ode un tuono sordo provenire dall’interno. Ed uno sbuffo come quello di un cetaceo emerge dalla cima dell’oggetto in qualche modo differente. Ma è soltanto dopo qualche istante, che la realtà inizia a rivelarsi nella cognizione dei presenti: inimitabile ed inconfondibile sul palcoscenico della storia, ESSA è stata plasmata.
Mettete quindi un fabbro del mondo antecedente all’epoca moderna a diretto contatto con un sommergibile o un aeroplano, e difficilmente questi potrà riuscire a comprendere l’intricatezza tecnologica dei rispettivi motori, il funzionamento dei sistemi e lo scopo di simili oggetti spropositati. Ma ciò che riuscirà a colpirne l’immaginazione, senza nessun tipo d’esitazione, sarà l’eccezionale lavorazione metallurgica delle rispettive strutture: cilindri dalle teste smussate, appuntite, affusolate. Lisci come il dorso di una tartaruga e al tempo stesso, eccezionalmente solidi, come il cimiero di un’armatura appena uscito dalla forgia. “Di certo, per riuscire a realizzare un’opera tanto perfetta” esclamerebbe costui: “L’uomo uscito dalla macchina del tempo deve aver impiegato un tempo lungo usando macchinari dall’eccezionale grado di complessità operativa.” Laddove la realtà dei fatti è che, sebbene frutto di un livello tecnologico indubbiamente avanzato, tali oggetti sono spesso la diretta risultanza di un processo rapido e brutale. Per certi versi, addirittura ingenuo, inteso come ingegno funzionale a un obiettivo inge-“nioso”. Far esplodere il progetto dall’interno. In una perversione apparente dell’intento creativo che prende il nome di idroformatura, cionondimeno efficiente come ampiamente dimostrato attraverso i decenni precedentemente trascorsi; nell’accezione qui dimostrata nel corso di un breve video dedicato alla creazione di una sfera di Horton (il tipico serbatoio per i gas a pressione) del tutto paragonabile a quella che permise di creare i titani tecnologici dell’epoca della guerra fredda. Sarebbe a questo punto tuttavia utile applicare l’utile distinguo della terminologia appropriata, secondo cui siamo di fronte non tanto ad un processo di hydroforming di tipo convenzionale, a meno di voler utilizzare un’antonomasia, quanto, piuttosto la sua versione per così dire evoluta, e certamente ancor più spettacolare, dell’hydrobulging, capace di fare a meno dell’impiego di un ponderoso stampo al fine di ottenere la forma desiderata. Che in questo particolare caso dovrà risultare essere SEMPRE quella di una sfera, per la superficie equidistante nei confronti di un singolo punto al centro dell’interessante questione. Un fine, quest’ultimo, praticabile anche “a secco” in determinate circostanze, sfruttando una calibrazione particolarmente precisa della quantità di esplosivo (in genere si tratta di trinitrotoluene, alias TNT) contenuto all’interno. Benché molto più frequente, ed affidabile, risulti essere la formatura mediante riempimento preventivo della quasi-sfera con un pieno d’acqua immessa a pressione, secondo il principio dell’amplificazione della pressione. Un approccio che trasporta la nostra trattazione a molte miglia di distanza, fino alle profondità remote dell’oscuro oceano terrestre…

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Fate spazio all’intrigante pecora gallese con gli occhi di un panda

Tra le scoscese valli della regione di Powys, al confine tra il Galles e l’Inghilterra, è possibile avvistare una razza di animali dall’aspetto particolarmente distintivo, frutto di una linea di sangue ininterrotta allevata da oltre un secolo per assolvere a uno scopo ben preciso. Bianca come una nuvola per quanto concerne il corpo, la coda e la sommità del capo rigorosamente privo di corna, questa notevole esponente del genere ovino si distingue dai suoi simili per le macchie ad alto contrasto che campeggiano in corrispondenza delle sue ginocchia, il muso, le orecchie e gli occhi. Altrettanto notevole la lunghezza del pelo dal collo in su, naturalmente minore dando maggior risalto al muso allungato dall’aspetto vagamente equino. Nel 2014, Sarah E. Beynon e colleghi pubblicavano uno studio connesso alla XXII Conferenza sul Genoma di Piante ed Animali, intitolato “La struttura e la storia delle razze di pecore gallesi” nel quale tra ben 14 alternative, veniva individuata una linea comune tra la Beulah testanera di Eppynt, Llanafan Fawr, Abergwesyn e la qui presente alternativa dotata di un pattern così distintivo, originaria soprattutto dell’omonimo villaggio “Kerry Hill” situato a poca distanza dalla cittadina di Newtown. Un tipo di quadrupede dal fisico resistente, ottima salute ed una resistenza invidiabile al clima spesso rigido di queste latitudini, particolarmente apprezzato per il carattere mansueto e la notevole rapidità di crescita, perfetta (ahimé) per farne una profittevole fonte di carne. Il che non può prescindere, comunque, da un certo valore riconosciuto alla sua lana calda e morbida, di cui un esemplare adulto arriva a produrre fino 2,75 Kg per singolo evento di tosatura, condotto in genere una media di due volte l’anno. Valore aggiunto, particolarmente apprezzato in determinati ambienti, è inoltre la frequenza con cui questi animali sembrano conseguire il primo premio nei concorsi di bellezza delle sagre e feste rurali, grazie all’innata eleganza che giungono a possedere quando adeguatamente lavate, pettinate ed abbellite secondo le prassi frutto di una ricca e continuativa esperienza nel settore.
Un’intrigante bellezza frutto di questa livrea particolare tutt’altro che insolita anche in natura, che possiamo ritrovare concettualmente riproposta in maniera simile nel panda, l’orca assassina e per certi versi anche la zebra, la cui effettiva ragione d’essere in ciascuno dei tre casi sembrerebbe derivare dall’esigenza di passare inosservati: con metodologia mimetica, per la creatura ursina mangiatrice di bambù, vista la soluzione di compromesso tra la colorazione scura degli animali boschivi e quella candida di coloro che vivono in pianura. Indubbiamente conforme ad esigenze di counter-shading per il cetaceo carnivoro, finalizzato a confondersi tra luci ed ombre in bilico sopra il confine dell’abisso. Ed otticamente utile, per l’equino d’Africa per massima eccellenza, a creare un’illusione che confonde i carnivori e potenzialmente allontana il morso soporifero della pericolosa mosca tze-tze (gen. Glossina). Tre metodi distinti ma dagli obiettivi simili, che d’altra parte difficilmente potremmo riuscire a ritrovare nello stile di vita della pecora contemporanea, ormai addomesticata da un periodo stimato attorno ai 10.000 anni. Ecco dunque comparire, nella sequenza logica degli eventi, quella cognizione spesso trascurata eppure così essenzialmente adattabile ad ogni varietà possibile di circostanza: che gli animali frutto di accurati incroci e selezioni artificiali raramente posseggono caratteristiche che siano il frutto indubitabile dell’evoluzione. Quanto piuttosto, il segno e l’influenza di quel gusto arbitrario che è l’estetica umana, che sarebbe poi il più benefico di tutti i tratti, in senso universale, per prolungare l’esistenza della propria genìa sul pianeta Terra. Dove una specie, tra tutte, domina il senso ultimo delle epoche presente e future…

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