Il Sole, la Luna, le stelle ed il cupo nulla dello spazio esterno, seguiti dal rosso della coda di una cometa e comodamente disposti tutti attorno a un becco relativamente piccolo e nascosto. Da cui il nome di quel genere, Calyptorhynchus (καλυπτο+ρυγχος) per distinguerlo dall’altra specie di colore cupo dalla parentela prossima benché distinta, l’imponente Probosciger aterrimus o cacatua delle palme. Che poco o nulla, dal punto di vista dell’aspetto, sembrerebbe avere a che spartire con questa particolare genìa di cockies, come vengono chiamati da queste parti o per gli aborigeni pachang, anhulg, karrak […] Uccelli classificati per la prima volta dall’ornitologo John Latham nel 1790, che rimase colpito in modo particolare dagli esemplari impagliati spediti a Londra della specie qui mostrata, a cui avrebbe attribuito il nome di Psittacus banksii, per onorare lo stimato botanico e collega Sir Joseph Banks. Senza inoltrarci eccessivamente nel discorso tassonomico tuttavia, che avrebbe visto questo pappagallo ribattezzato più volte da diverse importanti figure scientifiche del XIX secolo, basterà osservarlo con l’occhio critico dei nostri tempi per tentare di comprenderne il senso evolutivo ed il carattere biologico di fondo. Di un astuto volatore, intelligente quanto qualsiasi altro suo simile, ma dotato inoltre di una veste dall’aspetto particolarmente memorabile, paragonabile per certi versi a quella dell’iconico cigno nero. Questo particolare cacatua nero, inoltre, si distingue dai suoi simili dello stesso genere per l’evidente dimorfismo sessuale, che vede la femmina dotata di una livrea coperta di puntini gialli ed un comparto caudale tendente più a tale colore e all’arancione, rispetto al maschio che è piuttosto di tonalità uniforme fatta l’eccezione per il rosso fuoco di quest’ultime piume. Caratteristiche capaci di renderli, attraverso gli anni, ancor più mantenuti in alta considerazione nell’avicoltura ed il commercio internazionale, benché nella maggior parte dei casi non siano regolamentate da alcuna legge locale o del CITES. Ciò detto, esistono particolari regioni del continente australiano dove le sottospecie o popolazioni locali hanno subito una progressiva riduzione del numero di esemplari, tale da giustificare l’implementazione di misure protettive, nella speranza che l’uccello possa ritornare ai fasti di un tempo. A seguito di molte decadi, nell’epoca trascorsa, attraverso cui il cacatua nero dalla coda rossa è stato soggetto ad una caccia non sostenibile e spietata, causa la sua capacità di costituire un agente nefasto per quanto concerne la coltivazione intensiva di molte piante non native, tra cui la rapa, il melone e le arachidi, che la splendida creatura riesce a ghermire col suo becco ancor prima che possano spuntare dal terreno, distruggendo nel contempo i tubi e cavi di alimentazione dei sistemi d’irrigazione rotanti. Utilizzato sapientemente, ancor prima che l’uomo modificasse la sua dieta, primariamente al fine di consumare il suo cibo preferito dei semi di diversi alberi di eucalipto, le cui foreste costituivano il suo ambiente naturale d’appartenenza. Spazi progressivamente portati a ridursi come in qualsiasi altro luogo della Terra, quando si considera come l’ampiezza dell’Australia sia largamente occupata da brulli ed invivibili deserti. Nonostante il fatto che, dal punto di vista dell’areale di appartenenza, questo pappagallo sembri avere la preferenza per climi relativamente secchi, con popolazioni distribuite anche nell’entroterra, normalmente associato a sparute e coraggiose comunità di canguri…
erbivori
Tra cimici diverse: l’evoluzione di draghi, droidi e giganti
Assolutamente certo del suo destino, il guerriero marcia innanzi lungo il fusto del Grande Tronco, in realtà nient’altro che un semplice albero di limoni. La prospettiva, d’altronde, è lo strumento di cui abbiamo bisogno per interpretare la realtà. E nel guardare l’individuo erbivoro dall’elmo cornuto (o forse dovremmo chiamarle antenne?) tutto ciò che questi offre ai nostri occhi è la piastra impenetrabile dell’ampio scudo simmetrico, posto sulla schiena per proteggerlo dal ferro acuminato di combattenti più grandi, pennuti e forti di lui. Barbari volanti che avranno il compito, per farne un singolo boccone, di superare l’arma chimica che fornisce il nome per la sua macro-categoria d’appartenenza: emitteri>emerotteri>Pentatomoidea>Tessaratomidae o come sono soliti chiamarli in lingua inglese, insetti-puzza giganti (giant stink bugs). In qualche forma, potremmo dire di averli già conosciuti. Non c’è infatti grande differenza dal punto di vista del ciclo vitale e stile d’alimentazione tra questi e i Pentatomidae, la più vasta famiglia di quel particolare ramo dell’albero dell’evoluzione cui appartiene, tra gli altri, anche la cimice verde comune in Italia (Nezara viridula) che del resto rassomiglia vagamente nell’aspetto, a parte la varietà sgargiante dei colori, alle sue distanti cugine particolarmente diffuse nei paesi tropicali del Vecchio Mondo. Almeno una volta raggiunta l’età adulta, visto come nell’ottica di una crescita di tipo emimetabolico, ovvero soggetta a metamorfosi parziale attraverso una serie di “fasi”, le nostre impressionanti Tessaratomidae vivano un periodo di diversi mesi coperte dalla forma di uno scudo tanto appariscente che, se fossimo nel mondo di Warhammer o il Signore degli Anelli, dovrebbe avere senz’altro un qualche tipo di potere leggendario. Vedi l’insetto gloriosamente rosso ed arancione mostrato in apertura che sarebbe poi la ninfa (forma sub-adulta) del Pycanum rubens, creatura originaria del Sud-Est Asiatico introdotta successivamente, con effetti particolarmente problematici, nel delicato sistema naturale d’Australia. Per la sua capacità notevolmente affinata d’infiggere la lunga proboscide attraverso la corteccia di piante degli ordini Rosales e Sapindales, tra cui agrumi, mango, anacardio, incenso ed acero, con conseguente danneggiamento significativo dei relativi raccolti provenienti dalle coltivazioni di chiara appartenenza umana. Immaginate, a tal proposito, un insetto che prolifera come le cimici nostrane, ma dalla grandezza individuale di fino a tre centimetri e mezzo, la cui crescita esponenziale dal momento della fuoriuscita dall’uovo richiede l’assunzione di commisurate quantità di linfa, con conseguente deperimento delle piante oggetto del suo gastronomico interesse. Con il problema addizionale dell’inefficacia dei pesticidi, data la capacità di bucare la pianta o il frutto assumendo il nutrimento dal suo salubre interno, dove i veleni non riescono a penetrare. Il che non toglie, di contro, alcun merito estetico al sorprendente fascino di questi insetti, così facilmente in grado di dominare la collezione di un entomologo, grazie alla forma geometrica e la fantastica varietà di livree. Poiché così in guerra, come nell’ecosistema, anche l’occhio vuole la sua parte…
Tra un mare di cicale, l’abito splendente dell’Imperatore
In questa prima metà del 2020 in cui tutto sembra essere cambiato, almeno il trascorrere del tempo resta una costante. Con l’avvicinarsi dei mesi estivi e assieme ad essi, il probabile imminente riproporsi di quel suono. Reiterato, insistente, melodioso a anche per questo, ancor più arduo da filtrare con la percezione della mente; oggi cantano gli uccelli, domani, le cicale. Un fastidio…Sopportabile! Quando si pensa cosa ciò significhi nel proseguir dei giorni, ovvero la memoria storica della natura che perpetra se stessa. Del tutto indifferente alle questioni che appaiono inficiare ogni concetto dato per scontato nell’incostante funzionamento della civiltà umana. Ci sono luoghi, tuttavia, dove un simile concerto appare più evidente, ovvero in grado di colmare i padiglioni auricolari di chiunque, mentre addirittura il rombo degli aerei distanti viene superato, in materia di decibel, dal ritorno di colui che domina lo spazio aurale della foresta, e non solo.
Creature che stanno a un’esponente europeo dell’ordine degli emitteri, così come una mosca sta a una Lyristes plebejus, cantante dei nostri caldi pomeriggi d’estate italiani dagli appena 4 cm di apertura alare. Contro i 18 di colei che, con altrettanto pregno latinismo, assume grazie al classificatore del XVIII secolo Illiger il nome di Tacua Speciosa (“Magnifica, Sgargiante”) per ragioni che appaiono particolarmente ovvie al primo sguardo approfondito nei confronti di un simile insetto dai colori memorabili: le strisce gialla e rossa sul dorso, la parte verde dell’addome, circondato dal nero lucido della chitina e le ali opache che sembrano di cera. Grande all’incirca quanto la mano di InsecthausTV, il collezionista/allevatore tedesco diventato famoso qualche anno fa per i suoi brevi video dedicati ad alcuni degli artropodi più eccezionali della Terra, tra cui tale creatura si dimostra degna di figurare a pieno titolo, come anche esemplificato dal tono altisonante del suo nome comune. Imperatore e non Imperatrice (la distinzione di genere è importante, ne scopriremo più avanti la ragione) del suo vasto areale di diffusione dal Sud Est Asiatico all’India, passando per la penisola della Malesia, Singapore, Sumatra e Borneo. Per una cicala originariamente chiamata scientificamente Indica e che, nonostante tutto, non sembrerebbe essersi montata la testa, dato il ciclo vitale assolutamente convenzionale con emersione di generazioni in alternanza al trascorrere di ogni singolo anno, diversamente da quanto avviene per le celebri Magicicada, che spiccano il volo soltanto ogni 13-17 anni in un evento che coinvolge intere regioni nordamericane.
Nozione che esaurisce, purtroppo, quanto ci è dato sapere di specifico sulle abitudini di tale imponente creatura, data la sorprendente assenza di studi specifici a suo proposito, fatta eccezione per il documento del 1994 e spesso citato dell’entomologo francese Boulard (et. al) che tuttavia nessuno sembra aver letto, dato il suo nascondersi dietro un relativamente costoso paywall. Il che non può impedirci di desumere per inferenza, d’altra parte, molte delle sue abitudini, assai probabilmente conformi al concetto universale di una (grandissima) cicala…
Attenti all’infernale incubo del bruco aragosta
Il guardiamarina Riker scese nell’angusto pozzo scoperto sul pianeta origine del segnale di soccorso, seguito dai due membri dell’equipaggio armati di torcia e rilevatore del battito cardiaco. Tutti estremamente titubanti, eppure certi di una cosa, sopra ogni altra: che contrariare il capitano, in quel particolare frangente, avrebbe comportato non pochi problemi per il loro immediato futuro. Già la Nicodemo, nave da trasporto del Commonwealth, aveva deviato dal suo percorso di ben 15 anni luce per assistere non meglio definiti naufraghi secondo il codice stellare, pena il rischio di ricevere una multa significativa alla registrazione del proprio diario di bordo; ma ulteriori perdite di tempo avrebbero pesato ulteriormente sugli introiti della missione. Senza un attimo di esitazione, dunque, l’uomo puntò il suo fascio di luce verso la parte più distante della caverna, per scoprire la più inaspettata delle scene: un cumulo di almeno 30 uova color marrone scuro della grandezza individuale di un pallone da rugby, simile alla prole recentemente deposta di un insetto sovradimensionato. Facendo cenno ai suoi di aspettare, s’immobilizzò quindi sul posto, pensieroso: “Riuscite a crederci, gente? Credo che abbiamo appena scoperto la vita extraterrestre. 300 anni passati dall’invenzione della guida interstellare, e siamo proprio noi a farlo…” Con un sorriso a 32 denti, fece un passo verso il punto focale della sua esistenza. E fu allora che il globo più vicino, stimolato dalle vibrazioni, iniziò ad aprirsi. Lasciando fuoriuscire dalla sommità due zampe lunghe, nodose ed affilate almeno quanto la lama di un samurai. Riker sentì un tonfo sordo dietro la testa, prima che tutto si facesse buio e silenzioso, per molte ore.
Esistono esseri creati per assolvere a uno scopo, forti, flessuosi, agili e scaltri. I cui muscoli riflettono lo stato evoluto di un predatore ultra-perfezionato dall’evoluzione, il volto naturale della forma in grado di riflettere una o plurime funzioni. E poi c’è l’assoluto, segmentato ed indicibile terrore. Qualcosa di tanto spaventoso da non sembrar quasi possibile e perciò proprio per questo, almeno in parte, fittizio. Un bruco, dopo tutto, cos’è? Se non la larva inoffensiva di un qualcosa di ben lungi dall’essere pienamente sviluppato e che anche allora, non potrà far altro che volare in giro, posarsi sopra i fiori e cercare un partner per l’accoppiamento. Non che ciò influisca in alcun modo sull’immagine apparente dello Stauropus fagi o bruco della prominente aragosta da un nome alternativo della sua specie, insetto che se fosse appena una o due volte più grande, si farebbe largo zampettando minaccioso lungo il sottobosco. Ed anche con la sua lunghezza complessiva di 70 mm al massimo, riesce indubbiamente a suscitare un qualche tipo di reazione istintiva ancestrale. Perché dico io, guardatelo soltanto: la testa aerodinamica accompagnata dal primo paio ipertrofico di zampe, modificate per sembrare quelle di un ragno. La schiena arcuata e bitorzoluta, ricoperta di scaglie simili a quelle di un dinosauro, con la coda portata diritta alla maniera inconfondibile di uno scorpione. E poi, consideriamo il comportamento: di un lepidottero che una volta venuto al mondo, non abbandona il guscio del suo uovo ma piuttosto continua a nutrirsene e difenderlo dai propri simili, agitandosi e scuotendo il suo corpo in maniera frenetica sulla foglia ogni qualvolta un potenziale predatore tenta di disturbarne l’esistenza. Per quello che potrebbe sembrare l’inizio di un attacco benché si tratti, nei fatti, dell’alfa e l’omega di un’intera strategia difensiva. Poiché non c’è nulla di formidabile nonostante l’aspetto, nell’artropode in questione, astuto comunicatore di minaccia priva di un seguito guerriero conseguente. Così come altri bruchi usano il veleno, gli aculei o il mimetismo per sopravvivere fino alla tessitura del bozzolo, la prominente conta un principio alla base stessa dell’istinto di sopravvivenza di ogni carnivoro predatore. Ovvero la paura nei confronti di ciò che non può essere compreso, in quanto eccezionalmente misterioso, orribile o diverso…