La patata tornado e il gelato gigante coreano

Potato Tornado

Quest’uomo brandisce nella sua mano destra un oggetto misterioso, che ricorda la forma di un’elica turbinante. Non si tratta di una sorta di sciabola o arma contundente, ma di un invenzione gastronomica dei Pojangmacha (포장마차) i tradizionali ristoranti mobili della Corea. Mmm, delizioso! In quel paese, come in molti altri luoghi dell’Asia orientale, c’è una predisposizione innata al consumo di cibo da passeggio, che nasce in epoche lontane e ha condotto, attraverso i secoli, a innumerevoli creazioni culinarie, tanto insolite quanto affascinanti. Lui è Steve Miller, alias QiRanger, famoso blogger viaggiatore, mentre il suo snack trova identificazione nel nome ammaliante di Tornado Potato, un binomio in lingua inglese talmente universale, e riuscito, da essere stato recentemente trasformato anche in marchio commerciale, ad opera di un imprenditore dello stato americano del New Jersey. Si tratta di una patata che viene fritta e poi tagliata a spirale, disposta lungo un bastone di lunghezza variabile e successivamente insaporita con formaggio, chili piccante e/o salsa barbecue. Talvolta viene realizzata mediante un apposito dispositivo, che permette addirittura di metterci dentro una salsiccia. Secondo Korea.net, il blog ufficiale della Corea del Sud, le prime patate tornado risalgono al 2005-2007, ma viene sottolineato come in patria stiano diventando un prodotto sempre più raro. Chi volesse fare l’esperienza di sgranocchiare uno di questi bastoncelli passeggiando per il quartiere commerciale di Myeongdong, a Seul, dovrebbe sbrigarsi a prenotare il viaggio. Mentre l’estate si avvicina, i banchetti stanno per sostituirlo con un’altra sublime diavoleria….

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La danza balinese delle scimmie in guerra

Baraka

Tutti conoscono la storia di Elena e del suo fatale rapimento, dovuto all’impaziente bramosia del principe Paride, colui che di nascosto la portò con se a Troia. Il suo gesto sconsiderato, dovuto in parte alle manipolazioni della dea Afrodite, portò grandi sventure e tremendi lutti a due fra i più importanti popoli del mondo antico. Eppure questa non fu la sola volta, né la prima, in cui un’intera guerra venne combattuta per l’amore di una donna. Nel corpus mitologico di un paese lontano si narra infatti di una battaglia epocale, la cui portata impressionante giunse a mettere a rischio l’esistenza stessa del pianeta, combattuta da due possenti semi-dei per il diritto di conquistare la personificazione terrena della dea Lakshmi, signora di tutto ciò che è bello e fortunato. Il nome di questa splendida fanciulla era Sita, e delle sue vicissitudini trattano i due più importanti poemi epici indiani: il Ramayana e il Mahabharata. Il momento culminante di tale appassionante vicenda rivive nello spettacolare rito del Kecak, la danza balinese delle scimmie in guerra. L’ammirazione di alcuni movimenti occidentali per le ritualità e l’estetica dell’Induismo, religone strettamente legata alla meditazione e all’apertura intellettuale, talvolta induce a tralasciare i suoi aspetti più conflittuali ed esuberanti. Proprio questi potrebbero invece, a mio parere, offrire una chiave di lettura estremamente affascinante per comprendere quei popoli che la vivono in prima persona. Approfondendo le origini di questa danza sciamanica dell’Indonesia, adattamento di un’antico rito segreto, s’intuisce la presenza di un filo conduttore che fa parte, ora più che mai, del subconscio collettivo e dell’arte popolare della società moderna. Scopriamolo insieme.

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Oasi ghiacciate: in cerca della mistica polynya

Nathaniel Icebreaker

Si dice che siamo nati troppo presto per esplorare il cosmo e troppo tardi per la Terra. Le navi circumnavigano il globo in pochi giorni, così come i satelliti lo sovrastano, fotografando i luoghi più impervi, rendendo obsoleti i secoli di mappe tracciate grazie all’abilità e al lavoro scrupoloso di numerosi capitani.  Sir James Clark Ross, spedizioniere della Royal Navy inglese, è stato certamente uno dei più celebri e importanti. La sua avventurosa ricerca del Polo Sud magnetico, mito geografico dei suoi tempi, lo portò nel 1841 in mezzo al mare gelido che oggi porta il suo nome, dove restò bloccato per settimane a causa del ghiaccio troppo spesso. Il 22 gennaio, districatosi faticosamente dall’impasse, venne ripagato mille volte: dinnanzi a lui e al suo equipaggio, infatti, si stagliò d’improvviso la montagna cosiddetta del terrore, Erebus, un colossale vulcano, che lui ribattezzò a partire dall’omonima divinità della Grecia antica, un oscuro figlio del Caos e della Notte. L’autorevole esploratore non poteva immaginare allora che quel luogo, sede di uno dei pochi laghi di lava mai visti da occhio umano, sarebbe diventato il punto di partenza per tutti coloro che lo avrebbero seguito nella difficile esplorazione del circolo polare Antartico. E nemmeno sapeva della sua più incredibile controparte e conseguenza, una sorta di Eden che, secondo alcune teorie mai dimostrate, potrebbe racchiudere la via di accesso alle forme di vita di secoli e millenni di anni fà, la grande polynya del Polo Sud. Un’oasi in grado di ospitare vegetazione rigogliosa ed esseri viventi sconosciuti, proprio nel mezzo di uno dei luoghi più freddi e inospitali del pianeta. Persino oggi, nonostante le tecnologie moderne, poche navi possono dirsi davvero in grado di trovarla: una di esse è la Nathaniel B. Palmer, vascello rompighiaccio. In questo video della giovane scienziata Cassandra Brooks, parte del suo equipaggio, c’è il completo racconto del suo viaggio più recente, conclusosi proprio in questi giorni.

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Tragitto spaventoso fin sulla montagna andalusa

Caminito del Rey

Il Caminito del Rey è un lungo sentiero di montagna, largo un metro o poco più, costruito su specifica richiesta del re Alfonso XIII di Borbone, perché costituisse la sua via di accesso privilegiata alle spettacolari cascate del Salto del Gaitanejo e del Salto del Chorro, in occasione dell’inaugurazione della centrale idroelettrica locale. Oggi, abbandonato da quasi 100 anni per l’avvenuta costruzione di una più pratica linea ferroviaria, questo affascinante pezzo di storia dell’Andalusia giace in stato di parziale abbandono e rovina. Senza balaustra o altri particolari accorgimenti di sicurezza, la sottile striscia di pietra e cemento, un tempo utilizzata dagli operai della Sociedad Hidroeléctrica del Chorro, percorre le pareti quasi verticali del Desfiladero de los Gaitanes, un massiccio famoso per le sue notevoli grotte allagate e vertiginose gole, meta prediletta di numerosi speleologi ed altri esploratori delle profondità della Terra. Tale incantevole luogo, tuttavia, attira anche un altro genere di persone, ancor più orientate alla ricerca di emozioni adrenaliniche, quasi al limite della follia: gli arrampicatori estremi, spericolati di professione. In questo video girato da danielahnen si può assistere, con una qualità video eccellente e la quasi effettiva sensazione di trovarsi lì, allo straordinario panorama roccioso, alla precarietà dei passaggi più malridotti e al coraggio (o l’incoscienza) di certi temerari, disposti a rischiare la vita per fare un’esperienza senza pari. Ma poi, che vista! Quale gloriosa…trepidazione! Sarebbe difficile osservare una tale sequenza senza partecipare, almeno in parte, del senso di vertigine e precarietà di quei momenti. Per chi avesse tempo da perdere, sul tema di questo luogo è stato realizzato anche un piccolo videogame con tecnologia Flash.

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