Nell’industria dei videogames è fortemente diffusa la tendenza a ricercare standard produttivi che possano raggiungere il successo commerciale senza passare necessariamente per la creatività. Lavorando con un mezzo espressivo derivante dalle applicazioni non convenzionali di un mezzo da lavoro, il computer, non è raro che i game designer giungano all’opera compiuta basandosi più sulla tecnologia innovativa che su di una visione di artista o un reale desiderio di far conoscere le loro idee.
Oggi siamo arrivati ad avere una divisione in generi generalmente ben delineata, non più tanto condizionata dal ruolo del giocatore o delle caratteristiche delle situazioni rappresentate nel gioco, quanto basata sulla primaria risorsa software del motore grafico. Negli action game ad esempio, tradizionalmente ripartiti tra le due sotto-classi di platform game e sparatutto, abbiamo oggi FPS, 3rd person action adventures o free-roamers-GTA like. Siamo così passati da una nomenclatura con classificazione descrittiva del processo di gioco (salta e corri, spara ed abbatti i nemici) ad una tecnocentrica: abbiamo un motore grafico orientato, nell’ordine alla gestione dell’intelligenza artificiale ed ai dettagli degli ambienti ; oppure alla varietà di situazioni ed all’adattabilità del protagonista ; o ancora agli elementi di contorno e ad alla libertà di movimento. Ci sono così compagnie di sviluppatori, come la Epic con l’Unreal Engine o i Criterion con il Renderware, che hanno conseguito la loro fortuna creando e vendendo licenze del codice sorgente di un solo engine grafico. O altre ancora, come la Valve con il Source, che ne hanno identificato la natura con la loro intera produzione, piattaforma di distribuzione ed originale concezione dei videogames.