Nel 2012 durante un volo di ricognizione in elicottero, il naturalista Evan Richardson impegnato in uno studio sui plantigradi dell’isola canadese artica di Victoria vide una scena che gli sarebbe rimasta chiaramente impressa nella memoria: una giovane orsa color crema, dallo strano aspetto ed ancor più insolita modalità deambulatoria, inseguito da quello che poteva solamente essere un imponente maschio grizzly adulto. Trovandosi in una zona rocciosa, in cui addormentare gli animali avrebbe potuto causargli lesioni di seria entità, non poté fare altro che lasciare l’esemplare X15718 al suo destino, facendo cenno al pilota di dirigersi altrove. Due anni dopo, sorvolando ancora lo stesso territorio, gli capitò di vedere quella che probabilmente doveva essere la stessa femmina, questa volta accompagnata da tre cuccioli di color marrone. Nonostante il senso d’incredulità latente, capì subito cosa era successo: il maschio della volta precedente aveva ingravidato la giovane madre. Che aveva messo al mondo i rari esempi viventi di un caso genetico d’introgressione: il ritorno alla specie d’origine almeno al 75% di un gruppo di geni e tratti ereditari, frutto dell’incrocio tra specie distinte. L’orsa X15718 costituiva in effetti uno dei pochi casi acclarati di grolar, nata dall’incontro di una grizzly (Ursus arctos horribilis) con un maschio di orso polare (U. maritimus) tale da creare una creatura dotata in parte dei punti di forza di ciascuna delle due tipologie d’animali così nettamente distinte. Casistica tanto più eccezionale, quando si considera come la pallida mascotte di bibite gassate sia un discendente dell’ancor più piccolo orso bruno (Ursus arctos) rendendo il suo vicino di areale una deriva evolutiva ipoteticamente non così prossima ad incontrarsi. E se è vero che un cavallo e un asino difficilmente metteranno al mondo figli fertili, l’evidenza ha più volte dimostrato l’esatto contrario per quanto concerne i grandi carnivori di tale schiatta. Dotati della capacità acclarata di mettere al mondo anche in natura multiple tipologie di singolari, e chiaramente riconoscibili “vie di mezzo”. Non che il verificarsi delle circostanze necessarie sia in alcun modo probabile o frequente, visto come la stragrande maggioranza degli avvistamenti documentati di grolar o pizzly (il caso ancor più raro di un padre grizzly, madre polare) nelle ultime decadi siano effettivamente in qualche modo riconducibili alla dinastia di X15718, inclusi vari esemplari contrassegnati con segnalatori tra il 2010 e il 2017. A differenza di quello, paradossalmente ucciso nel 2006 presso Banks Island nel mare di Beaufort da un cacciatore, che avendo pagato 45.000 dollari per una licenza di caccia di orsi polari fu inizialmente accusato di aver fatto fuori un grizzly, infrazione punibile con una multa dall’importo ancor più rilevante. Ed in seguito scagionato, quando venne dimostrato che l’animale costituiva piuttosto un esempio di qualcosa di ancor più raro, ma non per questo altrettanto protetto. D’altra parte, come avrebbe mai potuto capirlo in tempo? Sul campo, non sempre ci si pone ogni domanda possibile, prima di premere il grilletto…
strano
L’ostinata concorrenza in Dorset per l’ortica cruda dei campi conviviali
È uno stereotipo più volte confermato il fatto che l’abitante d’Inghilterra apprezzi, nella maggior parte delle circostanze, effettuare scommesse su eventi non soltanto sportivi, bensì a margine di situazioni o contingenze di molteplici tipologie. Con l’intento non sempre o necessariamente allineato sulla previsione oggettiva di quanto potrebbe verificarsi, preferendo a volte dare priorità alle proprie sensazioni, l’opinione di un fugace attimo percepito come il modo d’influenzare il corso successivo degli eventi. Così nel 1986, famosamente, due agricoltori dei dintorni di Marshwood in Dorset s’incontrarono nel più famoso e antico pub della ridente cittadina, risalente addirittura a cinque secoli a questa parte. “Sai quanto sono grandi le ortiche dei miei campi?” Disse il primo. “Mai quanto le mie!” Rispose la controparte. Dal che nacque un’agguerrita discussione, all’apice della quale uno di loro postulò: “Ah, si? Allora facciamo così: se le tue sono più grandi, le mangerò con queste stesse mani.” Affare fatto, sul concludersi del pomeriggio effettuarono il confronto desiderato. E sebbene la storia non tramandi, per nostra sfortuna, chi abbia vinto la tenzone si usa dire che l’estemporanea sfida sia stata portata ad effettiva realizzazione. E l’agricoltore sfortunato, mantenendo la parola, abbia assaggiato il gusto amaro di quell’erba dolorosa.
Fine del racconto? Non proprio. Giacché caso volle, o forse il goliardico pensiero della gente di qui, che da quel giorno periodicamente diventò un’usanza radunarsi presso la fatidica Bottle Inn sulla strada comunitaria. Per osservare il comprovato mangiatore all’opera o a seconda dei casi, celebrarlo unendosi a lui. Forse un senso d’emulazione, o magari l’incoraggiamento derivante da espressioni incredule o emotive nella folla degli spettatori presenti. Galeotta fu per questo la prudenza, e incarcerato il senso di moderazione: tutti cominciarono a fagocitare, per gioco, scherzo o semplice dimostrazione di coraggio, l’erba selvatica più rappresentativa delle urticacee, U. dioica, famosa per l’irritazione causata dai sottili peli del suo gambo e le foglie. Il che potrebbe anche sembrare poco praticabile, finché non si prende atto di una tecnica affinata ormai da lungo tempo che consiste nello stringere ciascuna foglia tra indice e pollice, avendo cura di non toccare il punto centrale, dove si trova la maggiora concentrazione di tricomi. E ripiegandola come un pacchetto, masticarla attentamente, smorzandone la pericolosità prima che discenda nel canale digerente umano. Diretta conseguenza del diffondersi di questa prassi, alquanto inevitabilmente, fu l’istituzione di una ricorrenza estiva o sagra del divertimento popolare. Per cui ogni anno a giugno, fin da prima di questo XXI secolo, le persone si riuniscono e si cerca di capire chi apprezzi “maggiormente” l’ortica che riempie i tavoli di un’Olimpiade vagamente disallineata. Una misurazione, fatta in metri e metri di gambi denudati delle fronde, che tende ad aumentare in modo esponenziale ogni anno…
La mezza verità statunitense dell’ultimo buco prima della fine del mondo
La scoperta pubblica di un luogo può avvenire in molti modi ma senz’altro uno di quelli maggiormente inaspettati è l’ascolto di un programma radiofonico dedicato al “mistero”. Lo show serale Coast to Coast AM di Art Bell, nel caso specifico, rimasto celebre all’inizio degli anni duemila per le due occasioni in cui spettatori chiamarono tentando di far passare come reale l’intreccio narrativo dei videogiochi Half-Life e Fallout 3. Eppure anni prima di tali eventi, tra le numerose esperienze extra-corporee e incontri con alieni provenienti da mondi lontani, cavalcò quelle stesse onde elettromagnetiche la voce di qualcuno che, più di chiunque altro, si sarebbe dimostrato in grado di colpire la fantasia americana. Quel qualcuno era Mel Waters e la sua storia, attraverso una serie di tre interventi nel 1997, 2000 e 2002, sarebbe progressivamente diventata leggenda. Di quel tipo normalmente definito “metropolitano” benché non si dipani sempre, o necessariamente, tra le alte mura dei palazzi e le ordinate strade del contesto urbano. E certamente non in questo caso, trattandosi dell’eccezionale serie di eventi sperimentati in un luogo imprecisato presso Ellensburg, nello stato settentrionale di Washington, in mezzo alle montagne nebulose del Manastash Ridge. Dove a quanto pare il carismatico individuo, così egli ebbe a raccontare, possedeva il tipo di terreno auto-gestito che viene comunemente definito come un ranch, un po’ fattoria agricola, un po’ allevamento. Un po’ capanno del cacciatore. Luoghi pieni di segreti e norme comportamentali altamente contestualizzate, almeno a giudicare dalle numerose narrazioni fatte nel settore dell’intrattenimento narrativo contemporaneo, come un codice per così dire “particolare” dedicato allo smaltimento dei rifiuti. Ed in effetti, così inizia la saliente contingenza, pare che lo stesso Mel come anche i suoi vicini sul territorio avessero da tempo l’abitudine di gettare grandi quantità di spazzatura in un misterioso pertugio, sostanzialmente un’apertura circolare dal diametro di circa 3 metri situata al centro di una misteriosa radura, caratterizzata dalla presenza di una copertura di mattoni fino alla profondità di una mezza dozzina di metri. Del tutto priva di stranezze percepite almeno finché qualcuno, allarmato dalla maniera in cui gli animali sia domestici che selvatici sembrassero terrorizzati da quel luogo, non iniziò ad interrogarsi in merito a un fattore di contesto dalla portata importante: com’era possibile, esattamente, che il buco non si fosse ancora riempito? Quant’era profonda esattamente questa voragine, e chi l’aveva costruita?
Con uno stile dialettico accattivante ma impreciso, Mel proseguì quindi nella sua prima chiamata a descrivere gli strani eventi collegati ad essa. Il più intrigante dei quali, relativo a come una sua vecchia conoscenza avesse proceduto a gettare il corpo del suo cane recentemente defunto nell’oscurità, soltanto per vederlo alcuni giorni dopo vagare senza meta tra gli alberi, di nuovo vivo e vegeto nonché chiaramente riconoscibile grazie al collare e la medaglietta che aveva al collo. “Quindi, se tuo avessi una malattia incurabile” Chiese allora Bell, “Ti getteresti nel miracoloso buco che resuscita gli esseri viventi?” E senza un minimo d’esitazione: “Puoi scommetterci, amico. È scritto nel mio testamento, quindi, di sicuro ci vedremo dall’altra parte. O magari, anche no…”
L’occhio cittadino della ruota panoramica incorporata nel più alto grattacielo georgiano
L’idea di una città con una parte rilevante delle proprie infrastrutture dedicate all’attrazione dei turisti ed il loro intrattenimento, come Las Vegas o Dubai, parrebbe concettualmente incompatibile con con l’area culturale dell’ex blocco sovietico, ivi incluso il paese sul Mar Nero della Georgia, un tempo visitato da Giasone e i suoi Argonauti alla ricerca del mitico vello d’oro. Persino l’eroe imparentato con Ermes ed Apollo, tuttavia, non avrebbe potuto fare a meno di sostare e rivolgere lo sguardo verso l’alto, dinnanzi ad una simile manifestazione di stravaganza. Ecco l’approssimazione emblematica di un emblema solare, saldamente incernierata nel suo perno in una torre vagamente piramidale di 200 metri d’altezza. Le cui pareti vantano l’accento addizionale di finestre colorate in modo tale da creare forme geometriche affini al gioco del Tetris. Tutto questo grazie all’opera dell’architetto David Gogichaishvili, già coautore di una scenografica fontana equestre nella piazza Davit Aghmashenebelis in questa stessa facoltosa città portuale di Batumi, repubblica autonoma di Agiaria, nella parte meridionale del triangolo che forma la Georgia. Ma sparito in questo caso l’intento identitario riproducente i reperti archeologici degli scavi a Kolkhida, rimpiazzato da una sorta di ambizioso… Modernismo dei modelli di riferimento? Neo-futurismo da Luna Park? Strutturalismo della compenetrazione delle forme? O potenziali innumerevoli altri tipi di -ismi, possibilmente coinvolti nello stravagante quanto chiaro desiderio di cambiare il “punto di vista” possibile su questo centro cittadino dalle molte attrazioni visuali. Qui la grande spiaggia che affianca il porto sul Mar Nero, lì un McDonalds costruito in una cupola geodetica riflettente. Lì un giardino formale in stile Rinascimento Francese, e poco più avanti la cosiddetta “Piazza”, zona d’intrattenimento ispirata ad un estetica spiccatamente italiana. Un po’ come le piccole Parigi o Venezia ricostruite nei parchi cinesi, ma sempre con un quantum di personalizzazione, come l’inclusione di un grande mosaico nella pavimentazione o lo sfondo di chiese ortodosse ed altri edifici storici di rilievo. Un gusto sincretistico che avrebbe dovuto raggiungere l’apice, nell’opinione dell’allora presidente Mikheil Saakashvili, tramite l’edificazione della Torre del Politecnico concepita all’inizio degli anni 2010, in buona sostanza una letterale sorta di università verticale, che avrebbe dovuto coinvolgere una serie di docenti e soluzioni didattiche importate direttamente dagli Stati Uniti. Ma il progetto di un luogo d’istruzione dislocato lungo i piani di un grattacielo risultava già abbastanza problematico, dal punto di vista organizzativo, anche senza l’inclusione a mezza altezza di quella che può essere soltanto definita come una giostra per il divertimento dei proverbiali grandi & piccini…