È il punto della fiaba stessa questa cognizione di primaria importanza, secondo cui un lupo vestito da agnello resta pur sempre questo, prima di ogni altra cosa: il divoratore di ogni essere dotato della stessa candida apparenza. Innocente, priva di speciali caratteristiche, tranne quella di costituire un pregiato ausilio alla sopravvivenza di coloro che hanno abbandonato la pietà lungo il trascorrere delle passate generazioni. Ma che dire, invece, della congiunzione opposta di concetti? Una preda nella forma esteriore… Di qualcosa di monumentale. Come un autotreno in proporzione, oppure un transatlantico che supera di almeno due o tre volte il suo nemico pubblico numero 1, la creatura che troviamo al dizionario enciclopedico sotto la voce “volpe”. Ma non potrà che essere istintivamente spaventata, di fronte all’imponenza straordinaria della razza di conigli originaria dell’Olanda, il “Gigante” cosiddetto, “delle FIandre”. Wow! Ventidue chilogrammi per un metro e mezzo di lunghezza, che non sono le misure della terra smossa e del cunicolo in cui abita, poiché assai semplicemente non e solito scavarne alcuno. Essendo questo animaletto il tipico e perfetto esempio di creatura originatosi da sensibilità ed attenzioni umane, ovvero in altri termini allevata lungo almeno un secolo, massimizzando le caratteristiche desiderabili che aveva sempre posseduto in potenza. E fino a un punto in grado di rasentare la perfezione, visto come attorno alla metà del XVI secolo simili creature avessero iniziato a presentarsi sul mercato del settore accompagnate dalla dicitura di “animale da fattoria definitivo” perfetto sia per la produzione della carne che pellicce a buon mercato. Nonché, è importante sottolinearlo, fare compagnia a padroni più magnanimi ed i loro futuri eredi. Dal punto di vista del carattere in effetti questa razza sovradimensionata di lagomorfo, chiaramente appartenente alla specie del coniglio domestico europeo Oryctolagus cuniculus, è stato descritto come un adorabile titano particolarmente rilassato, ancor più tranquillo e cordiale dei suoi tradizionali cuginetti, perfetto da accarezzare, accudire ed apprezzare come la più prossima analogia vivente di protagonista di Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll oppure Peter Rabbit, il personaggio antropomorfo creato dalla scrittrice britannica Beatrix Potter. Senza escludere d’altronde i molti estimatori di età adulta, che hanno reso nel corso delle ultime decadi questa particolare varietà come una di quelle maggiormente apprezzate negli Stati Uniti, con numerosi eventi e concorsi mirati a confermare e rafforzare lo standard di allevamento per una razza dalle caratteristiche così fuori dal comune. Sotto ogni punto di vista e possibile aspetto degni di essere evidenziati…
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L’enorme testa della tartaruga con lo sguardo uscito da un catalogo di mascotte giapponesi
Nel videogame di abbinamento Puzzle Fighter, nato nelle sale giochi degli anni ’90, gli orgogliosi praticanti di arti marziali della principale serie di combattimento della Capcom compaiono tra le due aree di “lavoro” dello schermo, entro le quali i giocatori sono impegnati a combinare e far esplodere le gemme di vari colori. In base a quello che succede nella rispettive giurisdizioni, quindi, ciascun guerriero attacca, si difende o mette in pratica le acrobatiche “mosse speciali” per cui è diventato celebre, specialmente all’interno di un successo senza tempo come Street Fighter 2. Ad uno sguardo attento, tuttavia, non sfuggirà di certo una fondamentale alterazione delle loro proporzioni: il corpo piccolo e la testa sovradimensionata di almeno il 70% rispetto a quella di un individuo adulto, ricordando piuttosto quella di un bambino molto piccolo o persino un neonato. Si tratta di un’applicazione in senso stretto e tra le più famose dello stile d’illustrazione e character design denominato Super Deformed (o SD) particolarmente celebre in Giappone, forse per analogia col tipico costume da mascotte o yuru-kyara ( ゆるキャラ) personaggio antropomorfo utilizzato in ogni sorta d’attività promozionale, evento per il grande pubblico o prodotto delle comunicazione aziendale. Un modo di vedere e interpretare i principali agenti di una storia che ricorre, in epoca più recente, nella serie ludica dei Pokémon, molti dei quali appaiono come basati su animali particolarmente comuni. Ed altri, vere e proprie rarità della natura, esseri che in molti avrebbero l’inclinazione a definire come fantasiosi, finché un video pubblicato casualmente online non riesce a fargli cambiare repentinamente uno dei propri fondamentali preconcetti in merito all’esistenza. Sto parlando, per l’appunto, del riconoscibile esemplare di Chewtle (num. 833) o Wartortle (num. 008) mostrato l’altro giorno sul canale TikTok vietnamita di 47ruacanhphongthuybmt, poco prima di essere ripreso da Reddit, YouTube ed innumerevoli altre risorse, sollevando il tipo d’interesse ed entusiasmo che avremmo facilmente potuto aspettarci in materia. Difficile non rimanere colpiti, d’altra parte, dall’aspetto di questo notevole animale, ragionevolmente simile al tipo di rendering o effetto speciale utilizzato nella realizzazione di un film con grafica computerizzata o altra opera d’intrattenimento fortemente contemporanea. Non che il piccolino sembri rendersene conto, vista la sua semplice e acclarata appartenenza alla specie scientifica del Platysternon megacephalum, ovvero letteralmente in lingua latina (Tartaruga dal…) “Petto-piatto e la testa-enorme” così come perfettamente idrodinamico riesce a dimostrarsi il suo intero corpo, mentre si aggrappa saldamente alle rocce sul fondale di un fiume o torrente, aspettando prede all’interno del suo ambiente prototipico di appartenenza. Situato in varie regioni della Cina, la Thailandia, la Birmania, il Vietnam e il resto dell’Asia Meridionale, dove risulta essere, tuttavia, più raro ogni giorno che passa nelle almeno tre sottospecie riconosciute. Per la fondamentale condanna che deriva dall’essere troppo desiderabile, eccessivamente affascinante, nonché tristemente funzionale alle somministrazioni taumaturgiche dell’impietosa medicina tradizionale cinese (MTC). Che tanti danni ha causato e continua a causare, nel corso della storia recente della conservazione animale…
Le crudeli e storiche radici americane dell’uomo falena
Mistiche leggende, orribili creature, ali nella tenebra che incombono sopra la testa della gente: nonostante la reputazione di luogo ameno in cui trascorrere giorni sereni in mezzo alla natura, anche lo stato federale della Virginia Occidentale possiede il suo imponente bagaglio di segreti, sia della sfera materiale che all’interno di quella filosofica, ovvero teorica ed immaginifica, fatta d’atavico timore e tremebondo senso d’aspettativa. Una repertorio in mezzo al quale, tra la consueta sequela di leggende metropolitane e misteri irrisolti, spicca per celebrità imperitura la breve ed inspiegabile vicenda del criptide, o creatura semi-leggendaria, destinata a diventare celebre con l’appellativo di Mothman (Uomo Falena) prima ancora di acquisire fama imperitura grazie al film sul tema del 2002, con un’ottima e inquietante interpretazione di Richard Gere, in un racconto liberamente ispirato al libro del 1975 “Le Profezie di Mothman” del rinomato ufologo John Keel. Ma quando dico prima, intendo con quasi quattro decadi in anticipo, fino ad una serie di date successive concentrate a partire dal 12 novembre del 1966, e per un periodo di 13 mesi dopo i quali ogni avvistamento sarebbe repentinamente cessato. Non prima del verificarsi della più grave tragedia umana nella storia di una cittadina come Point Pleasant, capoluogo della conta di Mason non lontano dal confine con l’Ohio: il crollo del ponte sul fiume omonimo durante l’ora di punta, costato la vita di ben 46 persone.
Un’epilogo tristemente appropriato, per una storia (o associazione folkloristica) che aveva avuto inizio in un cimitero. Quello di Clendenin, situato poco fuori i confini del centro abitato, dove cinque uomini si trovavano quella sera rinfrescante intenti a seppellire una salma nelle ore del crepuscolo autunnale. Quando videro, come avrebbero riportato soltanto in seguito, una “figura umana dotata di un grande paio d’ali” che si sollevava verticalmente e con un’agile manovra, puntava verso il tramonto scomparendo sui confini dell’orizzonte. Qualcosa d’inspiegabile, ma che sarebbe forse rimasto relegato ai discorsi da bar degli operosi scavatori, se non fosse stato per un’ancor più eclatante e impressionante conferma dell’esistenza di Qualcosa, destinata a concretizzarsi nel giro di appena una settimana. Il tipo d’esperienza che sarebbe stata normalmente associata ad un caso di avvistamento UFO, se non fosse per il modo in cui le quattro persone coinvolte, due coppie di giovani sposi di ritorno da una scampagnata in auto, concordarono nel descrivere il preciso aspetto della creatura. Un essere di pura tenebra fluttuante sopra l’asfalto della strada i cui occhi, illuminati dai fari delle automobili, brillavano di rosso come catarifrangenti da bicicletta. Colpiti dalla scena ma incerti su quello che avevano visto, furono quindi i due mariti Steve Mallette e Roger Scarberry a fare ritorno in un singolo veicolo, qualche ora dopo, per venire a capo del bizzarro avvistamento. Una scelta di cui avrebbero avuto modo di pentirsi amaramente, quando l’essere alato calò nuovamente sopra il tetto del veicolo, iniziando ad inseguirli per un lungo tratto a velocità stimate di circa un centinaio di miglia orarie. Al suo ritiro nei dintorni della luce cittadina, tuttavia, il dado era ormai tratto. I due si recarono presso l’ufficio dello sceriffo per segnalare l’accaduto ed il giorno successivo, parlando con la stampa locale, avrebbero creato uno dei misteri più strani ed ostinati della critpozoologia contemporanea.
Le spine di cactus che non nuocciono al palato della nave del deserto affamata
Come flussi che s’intersecano in un vasto delta fluviale, i cambiamenti dell’evoluzione incrociano le rispettive direzioni, mischiano le loro acque, avvicendano la propria forza cinetica nella realizzazione del grande obiettivo: convogliare l’acqua delle aspettative fino al mare delle circostanze finali. Così rincorrendosi, e cercando al tempo stesso di riuscire a primeggiare, lasciano indietro sedimenti, pietrisco, detriti. Mentre il piano dei primordi viene sovvertito ripetutamente, superando l’essenziale regola e la concatenazione della logica apparente. Prendi il caso, per comprendere quei presupposti, che una particolare creatura rappresenti l’assoluto perfezionamento, tramite lunghi millenni di minuti cambiamenti, dello stile di vita del grande mammifero all’interno di un territorio ostile. Il più terribile di tutti: l’arido, inospitale, scarno deserto. Alla stessa maniera, nel contempo, in cui particolari piante hanno scoperto il modo per riuscire a conservare umidità, resistendo con il proprio involucro coriaceo ai ripetuti assalti del clima e degli erbivori alla ricerca di una fonte di sostentamento. È perciò del tutto naturale che la seconda abbia un sapore quanto meno… Delizioso, per il primo e che costui farebbe pressoché qualsiasi cosa, per riuscire ad assaggiare il dolce gusto della polpa contenuta all’interno. Incluso sopportare l’agonizzante sensazione di essere trafitto ripetutamente nella bocca, nelle guance, sulle labbra e nell’arcata del suo grande palato. Fino a diventare, per usare un eufemismo, ESTREMAMENTE bravo a sopportarla.
Il che stupisce in primo luogo perché il qui mostrato cactus dell’Opuntia ficus-indica, inteso come pianta succulenta dalle riconoscibili foglie carnose a forma di pagaia, ha in effetti la sua origine nel territorio geografico del Nuovo Mondo, praticamente alle antipodi del primordiale territorio della bestia in questione. Che poi sarebbe, per dare un nome a questo volto, niente meno che il Camelus dromedarius da una singola gobba, ovvero quello che vediamo in genere associato a una qualsiasi storia o notizia, per non parlare delle confezioni delle sigarette, collegate a questo genere d’animali. Ma non necessariamente utilizzando gli occhi della mente, vista la collocazione ancor più iconica all’interno del senso comune del suo cugino C. ferus/bactrianus con la doppia gobba ed una provenienza più ad Oriente nelle steppe asiatiche fino alla Cina, dove sopravvive lo sparuto gruppo degli ultimi esemplari allo stato brado. Egualmente ghiotti, per quanto possiamo presumere, di queste foglie militarizzate ed auspicabilmente incommestibili senza un’adeguata preparazione umana, benché l’evidenza dei fatti ci dimostri su Internet l’esatto contrario. Come è possibile, dunque, che un genere di creature eurasiatiche dimostri l’effettivo possesso di tratti genetici adeguati alla consumazione di una pianta che, di contro, vede le proprie origini esclusivamente nel continente americano? La storia è più lunga di quanto potreste pensare e dal punto di vista anatomico, straordinariamente interessante…