L’effetto del pallone che fa muovere le navi

Magnus Effect

Vieni, dunque, sulla cima della diga Gordon in Tasmania fino a 126,5 metri da terra, con lo scopo di raggiungere una meta totalmente senza precedenti. Essere il primo uomo, donna o bambino, ad aver scagliato con estrema sicurezza il proprio pallone da basket da una simile altitudine, con lo scopo non del tutto ragionevole di fare centro in un canestro davvero lontano. Però sappi questo: che la scienza, nonostante il senso del tuo gioco e forse proprio in conseguenza di una simile arroganza, già si appresta a fare centro in mezzo alle tue orecchie, che sarebbe come a dire, resta pronto alla rivelazione. Di un oggetto sferoidale, come quello, che cade, cade, trasportato via dal vento. Eppure finisce sempre grossomodo nello stesso punto, fino a che…Si. Esattamente come dimostrato dai ragazzi del collettivo How Ridiculous, detentori a partire dallo scorso 14 giugno del bizzarro record in questione, ad un certo punto ti viene in mente d’imprimere una rotazione perpendicolare al suolo a questo semplice attrezzo sportivo, vedendolo scappare quindi verso l’orizzonte, rimbalzando quattro volte nel bacino sottostante. Incredibile! Pensaci, non è inaudito: il calciatore che vuole ingannare il portiere della squadra avversaria, cosa mai potrebbe fare, se non colpire la sfera con la punta ben piazzata su di un lato, costringendola a ruotare su se stessa…E se ciò avviene in senso orario, la traiettoria del tiro è destinata a dirigersi verso destra. Come chiaramente, si verifica il contrario se vai contro l’orologio. Ma sai dare un nome, a tutto questo? Voglio dire, a parte “palla curva”. Soltanto uno scienziato, a conti fatti poteva risolvere il problema.
È un’immagine così dannatamente facile da sottovalutare: Isaac Newton che giace, appoggiandosi con la sua schiena al tronco di quell’albero fatale della tenuta di Woolsthorpe. La mela ormai matura che oscilla lievemente a causa del soffio del vento, quindi si piega da una parte, d’improvviso, e cade. Di certo, un uomo intuitivo e geniale non può aver intuito l’esistenza della gravità “soltanto” da una simile, insignificante facezia? Chissà quanti esperimenti, allestiti in condizioni diurne come a luce di candela, condotti tra le alte mura dell’Università di Cambridge oppure via, lontano dallo sguardo dei colleghi potenzialmente invidiosi, doveva aver condotto fino a quel momento! Con quali astrusi calcoli, ormai persi al mondo e frutto della controversa analisi matematica, teoricamente ancora non “inventata” dal tedesco Gottfried Wilhelm von Leibniz, doveva aver incolonnato per comprendere la verità…Fatto sta che l’attrazione di ogni astro dell’allora recente visione copernicana, assieme a numerose altre norme ormai acclarate di fisica, astronomia e dinamica dei corpi in movimento, fu alla base della sua prima grande pubblicazione in tre libri, i Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (1687) come pure che, a partire da quel giorno, ogni qualvolta gli venisse posta la domanda, il professore e filosofo di larga fama (secondo alcuni, il primo vero scienziato della storia) era solito rispondere con una sorta di monologo, riportato ad esempio in un manoscritto del collega William Stukeley nel 1752: “Perché la mela cade verso il suolo e non fluttua, invece, verso l’alto? Dev’esserci qualcosa che la attrae. E la somma di tutte le forze generate dalla Terra deve in qualche maniera convergere nel centro del pianeta, altrimenti il frutto cadrebbe di lato, niente affatto perpendicolarmente. Inoltre, tale impulso deve essere proporzionato alla materia. In quanto se la Terra attrae una mela, mio interlocutore, stai sicuro anche di questo: anche la mela, a sua volta, attrae la Terra.” Eureka! Questa è forse la ragione di ogni cosa, a ben pensarci. Terza legge della dinamica, dal primo libro dei Principia: “Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria.” Ecco qui un assioma quasi filosofico, che può trovare applicazione in campi umanistici come la psicologia, la sociologia, l’economia. Ma che soprattutto si ritrovò riconfermato, ad ogni osservazione successiva delle cose naturali. Inclusa quella, risalente a quasi due secoli dopo (1852) del polimata dell’Università di Berlino, esimio Dr. Heinrich Gustav Magnus, colui che ebbe l’occasione di mettere nero su bianco per primo uno studio della ragione per cui, fin dall’alba dei tempi, tutti i palloni tendono a volare. A margine del quale dato, come spesso capita, qualcuno è pronto a giurare che in effetti proprio il solito Newton questa cosa l’avesse già notata, citando a più riprese “Il moto della palla sui campi da tennis a Cambridge”. Esiste dunque qualsivoglia cosa, che fosse al di là della gravitazione di quell’uomo dalla splendida parrucca bianca?

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I corrieri di Varsavia con il sangue freddo e i cuori nel bauletto

Motorcycle Warsaw

Un uomo cade a terra nell’ora di punta in mezzo alla città, in quanti si fermano a guardare? Quindici curiosi, dieci perché sono impressionati, cinque tentano di offrire il loro aiuto. Fra tutti quanti un paio, grosso modo, impugnano il telefono e compongono i tre numeri del Pronto Intervento. Si fa ancora in tempo per salvarlo…Forse, se la Luna ed i pianeti avranno il giusto allineamento. La prima variabile è la causa: attacco di cuore? Emorragia cerebrale? Magari solo un calo degli zuccheri. Ciò che conta, ad ogni modo, è giungere sul luogo in tempo per capirlo e in caso offrirgli un qualche tipo di assistenza. Il che non sarebbe un problema, in un mondo ideale. Se bastasse la sirena per far smuovere i palazzi, se nessuna auto si trovasse in mezzo a quelle strade da percorrere in velocità. Qualora l’ambulanza, guadagnadosi un bel paio d’ali, avesse il modo di fluttuare lievemente fino all’obiettivo. Tuttavia non sempre un elicottero è a disposizione, né risulta possibile farlo giungere in velocità. E un furgone carico di paramedici, per quanto agile e veloce, dovrà pur sempre arrendersi a determinate scomode evidenze: che le quattro ruote presuppongono una massa, una larghezza, e che l’insieme dell’una e l’altra qualità impedisce di filtrare fino all’obiettivo, fluidamente, in mezzo al traffico delle spietate circostanze. Un serio problema, a meno che…Fra tutte le costellazioni che risplendono sul caso e la fatalità, giungesse a palesarsi quella del Centaurus, resa manifesta al mondo fisico nei gesti e nelle doti di un particolare fornitore di soccorsi: il pilota quotidiano di una delle sette Yamaha XT660Z Tenere, gestite dalla fondazione polacca non a scopo di lucro Jednym Sladem (Una Sola Strada) fondata nel 2009 da Christopher Rzepecki, con lo scopo di promuovere la reputazione dei motociclisti, nonché far cambiare in meglio la legislazione nazionale in materia di sicurezza stradale. Ma che soprattutto, a partire dall’anno scorso, ha iniziato a salvare attivamente la vita della gente, grazie alle gesta degli spericolati volontari partecipanti al progetto MotoAmbulans, che in caso di necessità disegnano un linea di fuoco da un punto Y della città fino all’X che segna il rischioso imprevisto, l’incidente, l’individuo di cui sopra, troppo prossimo a lasciare questo mondo. E niente affatto strano a dirsi, c’è davvero molto che possa fare anche un singolo operatore armato di un kit medico e un defibrillatore automatico Philips FRx AED, soprattutto se può comparire come per magia, oltre i limiti di ciò che sarebbe lecito e ragionevole aspettarsi da un “comune” paramedico. Senza affatto sminuire quest’ultimo, che magari ha un’esperienza persino superiore in materia di prime cure, ma difficilmente nasce in ambito professionale come un grande appassionato di velocità, disposto a superare il rosso del semaforo frenando in modo poco più che simbolico. Operazione al limite del responsabile, questa, che viene mostrata più volte nella ripresa dell’intervento di uno dei loro mezzi nel quartiere di Saska Kepa di Varsavia, con lo scopo preciso, nel presente caso, di portare a destinazione del non meglio definito “materiale medico”.
E visto il ritmo della corsa, non ci sono molti dubbi su ciò di cui stiamo parlando: l’abile pilota in questione si sta prodigando a margine di una qualche operazione estremamente delicata, trasportando fino a destinazione presso un ospedale, assai probabilmente, un organo o del sangue.  Ed è una lunga serie di difficoltà ed ostacoli, quella che si trova ad affrontare presso questa zona ad est del fiume Vistola, dove venivano stazionate le guardie sassoni dei re di Polonia fino al diciottesimo secolo, un luogo caratterizzato da strade relativamente ampie, ma pur sempre insufficinti ad ospitare il traffico di una moderna metropoli da quasi due milioni di abitanti. Finché ad un certo punto, per giungere a destinazione in tempo utile, non gli resta che spostarsi nello spazio dedicato alle rotaie del tram, la cui presenza rischia di conoscere davvero da vicino, quando ne sfiora le fiancate una, due, tre volte con i gomiti, gli specchietti e tutto il resto.

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Le regole non scritte dei pit stop

Pit Stops

Ben fatto, missione compiuta, ottimo lavoro. Da una video-raccolta come questa, realizzata dall’utente di YouTube Rdwomack2 con lo scopo di mettere a confronto le soste ai box di alcuni dei più celebri sport motoristici di tutto il mondo, si riesce a comprendere immediatamente gli anni di perfezionamento tecnico e l’impegno professionale di chi si sobbarca il còmpito, una gara dopo l’altra, del cambiare quattro gomme, fare il pieno di benzina, regolare un alettone o due. In. Frazioni. Di. Secondo. È un curioso ambito questo, delle discipline con il volante al centro della situazione, in cui sussiste il metodo del gioco di squadra come l’approccio cooperativo di un’equipe, eppure molto poco la stampa di settore si sofferma sulle imprese di quegli altri oltre il pilota, tutti coloro che rendono possibile l’impresa tecnologica di far correre un veicolo ad alte prestazioni per 300, 800, fino a 5100 Km di seguito, facendo fronte al gioco dell’usura accelerata in parallelo. Ricorda solo i loro fallimenti. Questo forse perché, in un mondo ideale, la sosta ai box non avrebbe una ragione d’esistenza: correndo con veicoli a cuscino d’aria, o magnetizzati, o spinti innanzi dalla forza del pensiero, l’abilità dell’unicum sarebbe finalmente a farla da padrone. Tutto può essere semplificato, almeno in potenza. Si può eliminare il fattore rischio, ridurre il peso degli imprevisti sull’esito finale del problema. Ma il “primitivo” dell’epoca di Internet mono-pianeta o uno di noialtri odierni spettatori dagli spalti ancora materiali, non potrebbe fare a meno di chiedersi, a quel punto, dove sia lo sport.
È una questione che s’insinua appena tra gli strati della tangibilità: front-end e back-end, golfo mistico e proscenio. Nello spettacolo teatrale dei motori che rombano la loro furia, una curva protesa al massimo della portanza aerodinamica, la spinta calibrata nell’uscita presso il rettilineo, il sorpasso all’ultimo giro, decidono le posizioni, esattamente come l’uomo che imbullona lo pneumatico sul segno dei secondi. Giusto l’altro ieri (21/6/2015) sul circuito austriaco di Zeltweg, il pilota Sebastian Vettel si trovava a fare i conti nuovamente con questa disagevole correlazione, che già gli era costata in episodi precedenti della sua carriera con Infiniti Red Bull, prima di approdare, come i suoi insigni predecessori, presso le auree scuderie della Ferrari.  Al 38° giro, dopo un inizio gara decisamente non ideale che vede l’impatto tra le auto di Raikkonen e Alonso (illesi) seguìto da 6 giri di bandiera gialla, il quattro volte campione del mondo si dirige come da programma verso la corsia dei box, per ricevere l’essenziale risorsa di quattro gomme nuove, utili a condurlo verso lo speranzoso podio, risultato che avrebbe dovuto aiutarci a risollevare le sorti di questo campionato con ormai un vantaggio d’oltre 100 punti dei tedeschi di Mercedes sulle nostre rosse nazionali. Ma sotto gli occhi strabuzzati dei commentatori, un grido di sorpresa e sofferenza: “La pistola! La pistola non funziona!” Non di un’arma da fuoco stiamo parlando, chiaramente, bensì dell’attrezzo elettrico che trova l’impiego nell’avvitamento dei bulloni che assicurano le quattro ruote della monoposto ai semiassi, concepito per un cambio rapido e terribilmente funzionale. Passano i secondi. Ben tredici! Una vera eternità, in quel contesto, sufficiente a condizionare il resto della prestazione del pilota, che al termine dell’evento riesce ad ogni modo a conseguire una rispettabile quarta posizione, dietro Rosberg, Hamilton e Massa. Tutt’altro che sufficiente per cambiar le cose, ahimé. Impera, in un tale esito imprevisto, la regola dei “se” applicati alla causalità degli eventi. Se invece di guastarsi in quel momento, l’odiato attrezzo l’avesse fatto durante le prove o le qualifiche! Se quel giorno, attingendo al fornito inventario del camion di supporto, la squadra avesse preparato per l’uso sul campo uno dei suoi molti consimili tenuti pronti in caso di necessità…Se SOLTANTO, invece che a quel team antico ed orgoglioso, la sfortuna avesse arriso del suo ghigno malefico qualcuno di meno “importante” – almeno soggettivamente parlando, s’intende. Ma così non è stato e di questo ormai si parlerà. Ogni mondo dei sorpassi in pista ha le sue regole, che provengono talvolta da lontano, sia nel tempo che nelle idee degli organizzatori. Ed altre, invece, nascono praticamente l’altro ieri. Vedi ad esempio il caso, mostrato nel secondo segmento di Rdwomack2, di un imprevisto ai box di gara della nuovissima Formula E, la serie cominciata nel 2013 per dimostrare i meriti e le doti delle monoposto spinte da un motore elettrico, tanto spesso messe alla berlina dagli amanti della tradizione. Ora, simili oppositori per partito preso potrebbero ben dire che ci sia qualcosa di poco dignitoso nel pilota che, per la sosta ai box di metà gara, scende fisicamente dall’auto, per salire con relativa calma sopra un’altra pienamente carica (ciascun pit stop ha un tempo minimo, istituito per ragioni di sicurezza) ma c’è da dire che ciò limita di molto i possibili imprevisti, ripristinando, almeno in teoria, un senso d’assoluta competizione alla guida, solamente quella. Tranne il caso, qui facilmente dimostrato, di un pilota che non guardi a destra prima di uscire dal box. Le auto elettriche sono molto, troppo silenziose….

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Strani veicoli sull’asfalto più famoso di Germania

Nurburgring

Ah, il Nürburgring! Se si potesse realizzare un concentrato della passione collettiva per gli sport motoristici d’Europa ed infonderlo, come un fluido mistico e rombante, in mezzo agli alberi ed ai monti dell’Eifel…Neanche allora si otterrebbe, nonostante i buoni presupposti, un luogo di potere dal prestigio e l’importanza, la lunga storia e la rilevanza culturale di quelle 154/170 curve (i pareri, incredibilmente, tendono ad esser discordanti) dai serpeggianti e resistenti guard rail, le scritte sverniciate sopra il manto ruvido e percorso da generazioni di piloti leggendari: Tazio Nuvolari, Bernd Rosemeyer, Rudolf Caracciola…Che non per nulla furono chiamati ringmasters, come altri signori di certi Anelli molto meno ponderosi. Un tempio all’aria aperta, in buona sostanza, questo Inferno Verde, cui persino le più grandi compagnie automobilistiche si avvicinano con reverenza, per testare i loro ultimi modelli ad alte prestazioni. Ferrari, Porsche, Lamborghini, come allora ancora adesso, ma talvolta, incredibilmente, più ideali che effettive: perché non c’è miglior motore, rispetto a quello della fantasia. E il tracciato, forse proprio questo è il bello, non è altro che un tratto di strada semi-pubblica, dove il pagamento di un biglietto può permetterti di accedere al passo e al segno di una simile esperienza, guidare lungo i rettilinei del Flugplatz (l’aeroporto) dove le automobili leggere tendono a staccarsi da terra, giù nel Fuchsröhre (la tana di volpe) dalle ripide discese e con il culmine della spettacolare Karussell, forse la curva parabolica più celebre nel mondo dei motori, in merito a cui Juan Manuel Fangio un tempo disse: “Per superarla, devi mirare all’albero più alto.” E così tutti fanno. E poi qualcuno, interpretato quel consiglio in modo troppo letterale, finisce pure per conoscerlo parecchio da vicino. Ma non loro: gli strani, i fuori dalle righe. Tutte quelle persone che, pur partecipando del fenomeno e del mondo culturale abbarbicato attorno a questo vero e proprio lunapark per petrolheads, non si lasciano condizionare in ciò che hanno la voglia, e il gusto, di provare.
Eccone una ricca selezione, compilata dal canale di genere Auto Addiction Nürburgring Videos, divaganti tra il bizzarro, il comico, l’improbabile. Si comincia con un uomo in vespa, dotato persino delle borse e bagagli di un qualche lungo viaggio, che naturalmente non ha ritenuto di rimuovere prima di scendere in pista. Va pur fatto notare che l’accesso per la pista, nei giorni di maggiore traffico, viene effettuato mediante un semplice casello nello stile di un’autostrada, il quale può essere teoricamente scambiato per la via d’accesso ad un parcheggio; certo, sembra strano. Ma forse, l’alternativa lo è anche maggiormente: perché nello spezzone successivo, con uno sviluppo emozionante, la stretta carreggiata del Ring si ritrova impreziosita da un maestoso pullman grigio-argento, perfettamente in grado di occuparla fino a un buon 85%. Immaginate di pagare il prezzo del biglietto, comunque piuttosto ragionevole, e ritrovarvi bloccati nel traffico in quella che diventa quasi una normale strada di campagna! Ma subito la sfilata si guadagna nuovi gradi d’entusiasmo.

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