La strana torre gotica creata in Scozia per commemorare Braveheart

Fino al 2008, una strana statua armata di mazzafrusto campeggiava nel grande parcheggio alla periferia di Stirling, 41 Km a nord-est di Glasgow, all’ombra del colle ricoperto da una fitta foresta di Abbey Craig. Monolitica e dalle proporzioni non perfettamente riuscite, il corpo e la faccia soltanto parzialmente a rilievo, con la bocca spalancata in un silenzioso grido di rabbia o ribellione. Nonché una vaga somiglianza all’attore hollywoodiano Mel Gibson, ulteriormente resa esplicita dalla doppia dicitura, sopra piedistallo e scudo, di “FREEDOM” e “BRAVEHEART”. Oggetto senz’altro curioso, non del tutto privo di un certo fascino naïf, grazie allo stile distintivo dell’artista Tom Church. Eppure in grado di attrarsi, nel corso degli anni a partire dal 1997 della sua creazione, una quantità letteralmente spropositata di proteste tali da sfociare anche nel vandalismo, complice anche la vicinanza dell’Università cittadina. Questo chiaramente, perché per un’opera d’arte pubblica il contesto di collocazione è tutto. E non è mai un’idea molto riuscita quella d’onorare il cinema d’oltreoceano, presso quello che potremmo definire forse il luogo maggiormente sacro di un’intera nazione.
Chiamata spesso “la chiave di tutta la Scozia” Stirling è infatti oggi meta di pellegrinaggio per tutti coloro che vogliono apprezzarne l’antica importanza strategica, esemplificata in modo particolare da due notevoli strutture architettoniche: l’enorme castello risalente al XII secolo, utilizzato tra le altre cose per incoronare la regina Maria Stuarda; e la torre alta 67 metri che lo guarda dalla cima del sopracitato colle, costruita grazie a una raccolta di fondi risalente ad un assai più recente 1869. Appuntita e squadrata, come il campanile di una chiesa, ulteriormente impreziosita da un originale tetto dai multipli aguzzi contrafforti, grazie all’inventiva dell’architetto John Thomas Rochead, scelto all’epoca per rispondere all’esigenza di commemorare uno dei personaggi più ammirati e letterali punti di svolta nella storia dell’intera la nazione, la battaglia risalente al 1297. In quel frangente che figura in modo assai collaterale ed inesatto nella celebre pellicola su William Wallace, soprattutto per la mancanza del più importante elemento in grado di definirlo: lo stretto ponte in legno che attraversa(va) il fiume Forth. Ben più antico del cosiddetto Vecchio Ponte dalle molte arcate, risalente al XVI secolo, che può essere ancor’oggi osservato dalla cima panoramica del monumento. Quello attraverso cui il famoso patriota e cavaliere lasciò scaltramente attraversare una certa parte dell’esercito del tirannico Re d’Inghilterra Edoardo I, “la maggiore che avrebbe potuto sconfiggere” prima di scendere in velocità con la sua armata dalla cima di Abbey Craig, sbaragliando l’opposizione ed arrivando a uccidere il tesoriere del sovrano in Scozia, Hugh de Cressingham, con la cui pelle umana optò di farsi realizzare la bretella per il fodero della propria enorme spada. Un piccolo dettaglio, lasciato accidentalmente fuori dalla narrazione cinematografica degli eventi…

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L’imponente attrezzatura usata per forgiare un moderno albero di trasmissione navale

Mai sottovalutare l’incisività di un video nella promozione aziendale, specialmente quando si dispone di una fabbrica che sembra l’officina stessa del Dio Efesto, che arrossò la cima vulcanica dell’Etna nelle notti di lavoro ininterrotto per intere generazioni. Un colpo dopo l’altro, oppure… Sotto la pressione incalcolabile di una possente volontà manifesta. Perché plasmare il metallo non deve per forza richiedere, in maniera inerente, l’applicazione momentanea e ripetuta di una serie d’impatti, scaturiti dalla forza cinetica di un maglio. Quando risultati altrettanto validi possono essere ottenuti, per così dire, con le buone ovvero grazie all’uso del tocco “leggero” di una cara macchina, capace di veicolare una pressione pari o superiore alle 3.000 tonnellate per centimetro quadrato. Appena sufficiente per poter comprimere qualsiasi agglomerato d’atomi, inteso come il reticolo cristallino dell’acciaio riscaldato al calor arancione-rossastro (circa 870 gradi) così da essere perfettamente malleabile, morbido e cedevole dinnanzi al desiderio implicito di raggiungere uno Scopo finale. Ma indurre i semi della trasformazione a germogliare, ricercando il frutto originariamente richiesto dall’ignoto committente, non è sempre facile e per questo la sequenza, accompagnata in questo caso unicamente dai soli effetti sonori, senza musica o commenti fuori luogo, finisce per estendersi oltre i 12 minuti complessivi, offrendo una finestra siderurgica verso una delle industrie più spettacolari ed infuocate dei nostri giorni.
Un passo dopo l’altro, a partire dall’estrazione del billetto (blocco di metallo) ortogonale dalle profondità di una gigantesca fornace, che scopriamo presto appartenere alla compagnia tedesca di Remscheid, Dirostahl, grazie all’impiego di quella che può essere soltanto definita come una grande pinza motorizzata, simile a un muletto fuoriuscito dalla cinematografia della serie Terminator. Il cui passaggio, fino alla matrice di compressione, viene doverosamente seguito dalle telecamere, mentre il fluido che alimenta i macchinari si concentra nei condotti sovrastanti al macchinario principale dell’intera operazione. Ed è all’arrivo di un segnale del tutto inaudibile, sopra il frastuono dei motori e gli ingranaggi, che la cosa attentamente surriscaldata inizia ad essere premuta e poi girata, premuta e poi girata per un certo numero di volte. Ciascuna corrispondente alla creazione di una singola sfaccettatura del componente desiderato, che nel contempo continua imprescindibilmente ad allungarsi. È questo l’effettivo inizio, un colpo alla volta, di un procedimento in cui le tolleranze sono minime, così come le occasioni di distrarsi dall’esecuzione di un copione ben collaudato. Perché non è di sicuro facile creare un pezzo del peso di almeno 35 tonnellate, che dovrà ruotare vorticosamente a circa 250 giri al minuto…

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Il più pesante dei biplani, lentissimo tra i jet, che solevano chiamare Belfagor

Siamo spesso i primi ad affermare di subordinare l’estetica alla funzionalità, convinti sostenitori della logica e l’intelligenza, disdegnando mere considerazioni figlie della vanità ed i preconcetti privi di significato in ogni circostanza tecnologica o collaterale circostanza della vita. Eppure se torniamo con la mente a quell’eufemismo, famosamente utilizzato per pubblicizzare l’automobile compatta Fiat Multipla: “Per molti, ma non per tutti” torna prepotentemente nella mente l’universale concezione di un veicolo eccezionalmente utile, eppur mostruosamente privo di armonia nelle sue forme, e che proprio per questo non avrebbe avuto dei modelli successivi utili a raccogliere la propria eredità. E se tale cognizione si applica nell’universo dei veicoli stradali, ancor più essa riesce ad essere centrale per quanto concerne l’aeronautica, dove al concetto di “eclettica bellezza” non è semplicemente dato alcun permesso di esistere, come ampiamente esemplificato dalla vasta quantità di pagine specializzate online sul tema dell’Aereo più Brutto della Storia, di per se stesso un meme in grado di attirare l’attenzione delle moltitudini all’interminabile ricerca d’intrattenimento. Un’ideale classifica, nel suo complesso, ove campeggia spesso un simile modello risalente all’apice dell’URSS, figlio della propaganda ancor prima che il bisogno, e che pare giusto definire un fallimento tecnologico, nonostante si ritrovi ancora il detentore di una serie straordinaria di primati. Chi avrebbe mai pensato di trovarsi tra le mani, o anche soltanto ponderato di prima di quel fatidico 1973, l’esistenza dell’aereo agricolo più potente e avveniristico del mondo? Un vero e proprio turbojet del tipo in grado di sfruttare il ciclo di Brayton-Joule, come il tipo di velivoli che avevano saputo rivoluzionare la velocità ed i risultati ottenibili dall’uomo tra le nubi dei conflitti armati della Terra. Per poter muovere guerra, con le stesse mostruosità chimiche un tempo teorizzate dal generale italiano sostenitore del bombardamento strategico Giulio Dohet, ma verso creature assai più piccole e insidiose di noialtri: parassiti, batteri vegetali, bruchi e curculionidi affamati. I principali nemici del popolo, in altri termini, all’interno dei moderni kolkhoz e sovkhoz, collettivi comunisti dedicati alla coltivazione della terra, dal cui successo dipendevano le vite di milioni di persone in fiduciosa attesa. A un punto tale che il governo stesso, all’inizio degli anni ’70, tirando le somme sul principale apparecchio utilizzato all’epoca per la dispersione dei pesticidi a livello nazionale, l’ormai vetusto biplano Antonov An-2, non poté fare a meno di trovarlo insufficiente. Forse proprio perché troppo tradizionalista, dinnanzi all’immagine di un proletariato proiettato verso l’indomani…

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La storia straordinaria della spada nella roccia sulla Costa d’Oro

Sono sempre stati due, perfettamente complementari: un politico e un guerriero. Un sovrano e un religioso. Un eroe ed uno stregone. Uniti dalla visione comune di un futuro per il proprio popolo, il risultato remoto di una società congiunta, la speranza di un domani migliore. Soltanto non ci sono molti casi, al di fuori del territorio dell’antico impero degli Ashanti, in cui un paio di queste figure spesso contrapposte potessero convergere all’interno di una singola persona, tanto influente nonché infusa di un potere predestinato, tale da rendere possibile una vasta confederazione al compiersi di un singolo gesto. Il braccio sollevato verso il cielo con fare imperioso… La sciabola metallica inclinata strategicamente in modo tale da riflettere i raggi dell’astro solare. Prima di vibrarla, con possanza superiore all’umano, verso il centro esatto della radura tra gli alberi della foresta. Esattamente là dove, 327 anni dopo, si trova ancora. E non per quieta approvazione delle moltitudini, s’intende: giacché analogamente a quanto viene spesso celebrato in merito ad Excalibur dell’altro continente, ove vige una leggenda sono in molti a coltivare il sogno di riuscire un giorno a dimostrarsi ancor più forti ed influenti dell’antica profezia, susseguendosi nel tentativo di ereditare un regno. Anche se una simile estrazione, in questo luogo, avrebbe conseguenze assai più nefaste: l’immediata e irreparabile dissoluzione di tutto quello che Okomfo Anokye ebbe modo di lasciare al proprio popolo in eredità. Ovvero in altri termini, il concetto stesso della loro identità storica e sociale. Chi potrebbe mai mancare conoscere d’altra parte, nell’intero territorio dell’odierno Ghana ed anche al di là di quei confini, la figura di colui che potremmo definire come lo sciamano più influente dell’intera Africa Occidentale, al punto da aver dato il proprio significativo contributo nell’unificare i popoli spesso in guerra tra di loro della vasta etnia Akan? Fino al punto di creare una nazione che sarebbe stata in grado, per i secoli a venire, di resistere e persino sconfiggere in particolari frangenti l’enorme potere ed influenza degli eserciti coloniali europei.
Nato nel villaggio di Awukugua attorno al 1655, come per molti altri personaggi la cui vita è celebrata negli annali delle allegorie nazionali, Anokye attraversò una gioventù segnata da straordinari prodigi. A partire da quello stesso collegato alla sua venuta al mondo, in occasione della quale si narra come il figlio di Ano e Yaa Anubea giacesse con totale calma ed immobilità tra le braccia della levatrice, il pugno desto saldamente stretto e che nessuno, neanche il padre, riusciva a fargli aprire. Finché il bambino, guardandolo negli occhi, spalancò la mano all’interno della quale si trovava un talismano creato con la coda di una mucca bianca (podua) mentre pronunciava le parole “Ano…Kye”, il cui significato in lingua Guan è traducibile come “Guarda… Ano (nome del padre)”. Se non che molto appropriatamente, tale sequenza di sillabe apparentemente impossibili dalla bocca di un neonato sarebbe rimasta indissolubilmente associata alla sua persona. Che notoriamente, negli anni a venire, avrebbe avuto la capacità di scomparire all’improvviso dalla culla, causando grandi preoccupazioni nella madre, che correva per tutto il villaggio alla sua ricerca, soltanto per tornare infine ritrovandolo come se nulla fosse successo. Mentre un giorno, ormai raggiunta l’età scolare, Anokye disse ai propri amici affamati di portargli le stoviglie e i piatti dove erano soliti ricevere le proprie pietanze. E riempitoli con terra e fango, dopo aver pronunciato un incantesimo, li restituì ricolmi di prelibatezze dalla provenienza miracolosa. Punto a seguito del quale, prevedibilmente, il suo destino fu segnato, orientandolo verso la carriera di un Okomfo, o sacerdote animistico capace di fare da tramite tra Nyankopon, l’Onnipotente Padre Celeste, ed i suoi soggetti meramente umani. Tra i quali un uomo la cui missione, affidatogli dal corso stesso della Storia, avrebbe trovato il modo di rendere possibile con grande beneficio della collettività.

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