Giocattoli resuscitati con la forza della grafica 3D

SIGGRAPH Tops

Gira, trottola. Vola, aeroplanino: te lo ordina il coprocessore. Per decreto di una sola mano, questa mia destra servitrice, che insistentemente clicca con il mouse. E a vantaggio della sua compagna, testimone immobile, mentre meditabonda scorre sulla barba bianca. Mai più dovremo attendere il flemmatico Babbo Natale! Per creare vita e dinamismo ludico, sarà sufficente averne il seppur vago desiderio. Ciò soprattutto grazie a questi due nuovi software presentati nell’ambito del SIGGRAPH 2014 di Vancouver, l’annuale conferenza tecnica, finita proprio ieri, sugli ultimi sviluppi della visualizzazione digitale. D’ora in poi la strada per comprendere il funzionamento delle cose in grado di librarsi, e soprattutto infonderla a piacere, sarà veramente breve. Purché almeno uno dei due progetti finisca per venire commercializzato! Allora, piuttosto che applicarsi a fondo producendo tali e tanti fallimenti aerodinamici, potremo procurarci la versione virtuale della fabbrica degli elfi con le scarpe a punta, assai diversa da quella tradizionale, perché accesa delle luci vulcaniche del demone informatico. Ma tanto simile nei risultati, senza le gelide problematiche del Polo Nord.
Cominciamo, per doverosa precedenza, da uno dei giocattoli più amati dai bambini, fin dalle epoche remote: il rapido cono appuntito, variopinto, secondo la tradizione in legno e metallo, in grado di ricevere ed amplificare il moto rotatorio indotto. Un dono al mondo offerto generosamente dalle leggi della fisica. Le quali talvolta funzionano in modo tanto affascinante ed indiretto, da poter carpire l’attenzione umana solo grazie a un solo gesto. Quello di due dita strofinate, con un perno in mezzo. O un trapano a mano, una cordicella, le varianti sono infinite…Ai tempi dell’Antica Roma, secondo Catone, cose del tutto simili, una volta messe in moto dalla gioventù perditempo, si disponevano su dei quadrati tracciati sul terreno. Con la finalità di occuparne alcuni, sopra gli altri. Era un passatempo, questo, molto meno problematico dei dadi, perché ben distinto dal concetto di gioco d’azzardo. O così dicono! Le trottole sono state trovate presso i siti archeologici di moltissime culture e varie civiltà, venendo sviluppate spontaneamente, quasi da un’applicazione naturale dell’ingegno umano. E ancora oggi, grazie a una patina d’innovazione, si ritrovano nei giochi e anime di grandi compagnie giapponesi, vedi la Takara Tomy con Beyblade, oppure nelle fantasie di quelle americane, tra cui la Disney, con questo progetto avveniristico e portato innanzi dalla sua divisione di Ricerca & Sviluppo, la Science at Play, con sede presso la città di Zurigo. L’idea è veramente innovativa, benché venga da lontano: da tempo, in effetti, esisteva il concetto delle trottole asimmetriche. Una versione del giocattolo in questione dotata di una forma fuori del comune, in grado di ruotare solamente grazie ai contrappesi posti nel suo interno. In tale maniera, quasi da sempre, era possibile far girare su stesse ballerine, elefanti, draghi, uccelli e così via, ma che fatica. Neanche un team di scienziati, ad occhio, poteva creare in un baleno una simile cosa, tanto difficile da calibrare; ah! Sciocchi primitivi. A noi basta una stampante tridimensionale. Guidata dal software in questione: un CAD per trottole, praticamente. Con connotazioni ingegneristiche davvero non da poco. Cioé la capacità, automatica e flessibile, di adattare la struttura interna ad un qualunque tipo di involucro, sia questo affine a cose rotative per natura (come quelle già citate) alla tipica teiera dei software tridimensionali o ad oblunghi astrattismi senza senso. Il computer non si fa formalità. Che si può chiedere di più dalla vita, se non l’opportunità spiccare il volo? Beh, anche per questo c’è in arrivo la sapiente soluzione:

Leggi tutto

Una macchina per scaraventare i salmoni

Fish Cannon

La vita dei pesci di allevamento è già abbastanza difficile senza sperimentare la traumatica esperienza di essere tirati via dall’acqua, sollevati oltre i confini della propria casa e venire trasportati faticosamente a braccio, lungo percorsi sdrucciolevoli, verso le vasche di una nuova prigionia. E pensare che per propensione non dovrebbe avere alcun problema! Creature come queste, in natura, sono prive di radici. Un pesce vagabondo, com’è quello dalle carni rosa e tenere per eccellenza, non ha possedimenti terreni da lasciare indietro. Ma piuttosto un obiettivo troppo chiaro innanzi ai suoi due occhi scuri e acquosi: raggiungere la splendida compagna, presso le cime da cui scaturisce il fiume, oltre la bocca del palmigrado ursino, gli artigli del falco pescatore o gli stomaci dei lupi o topi troppo fortunati. Egli, pesce senza presupposti metropolitani, viaggia nuotando in salita sotto i fusti d’albero della foresta, senza mai guardarsi indietro, nella piacevole incoscienza della sua mortalità. Mentre il compagno ormai perduto da generazioni, frutto della selezione artificiale, vive in vasche meditando. Non è che la sua vita sia peggiore, in senso universale. Né particolarmente breve, di confronto: il salmone dell’Oceano Atlantico, normalmente, abbandona le acque della sua maturità dopo soltanto un anno, per intraprendere il faticoso viaggio che lo porta a riprodursi, svuotarsi di ogni risorsa e forza per morire soddisfatto. La libertà, per simili scagliose creature, vuole dire dedicare tutta la propria breve esistenza alla realizzazione di quel singolo momento: la trasmissione topica del proprio DNA.
Al confronto vivere in spaziose vasche, asserviti ai desideri e al gusto degli umani, ha alcuni lati positivi. La sicurezza di riuscire a prosperare, riprodursi. Benché disseminata di attimi di assoluto terrore, purtroppo ricorrente: stiamo parlando di quando si viene trasferiti da una vasca all’altra. Gli allevamenti chiudono, si spostano, diventano sovraffollati. A quel punto, è necessario traslocare. Per spostare 10 pesci. 100, 1.000 o 10.000. Per farlo con la massima efficienza, tranquillità, una ragionevole considerazione per l’igiene: questo è l’Hydrovision 2014 della Whooshh Innovations, un’azienda  (provate a dirne il nome quattro volte di seguito) che promette straordinari risultati in questo campo delicato, pregno e rilevante. Il segreto sta nell’utilizzo sapiente dell’aria compressa. Il meccanismo, che sta proprio in questi giorni riscuotendo un grande successo sui maggiori social network, consta di un lungo tubo flessibile, largo esattamente quanto il pesce da spostare. E di un poderoso motore elettrico a pressione. Si tratta, per usare un’analogia, della versione ittica dei tubi pedonali visti nel cartone Futurama, in cui un sistema simile veniva usato dai cittadini al posto del trasporto pubblico, con un significativo aumento di praticità nel muoversi attraverso i grandi centri urbani.  Per non parlare di quella magnifica emozione di volare…

Leggi tutto

La ragazza con un pescegatto nella gamba

Catfish girl

Quel tipico momento, in una giornata d’estate un po’ noiosa, quando trovi un animale morto sulla spiaggia e lo usi per passare il tempo con la tua migliore amica. È un gioco da ragazze, nulla più. Nessuna raccoglierebbe con le proprie mani una creatura potenzialmente pericolosa! Nessuna lo userebbe come uno scudiscio sul sedere!  Nessuna prenderebbe quella cosa maleodorante, facendola roteare sulla sabbia granulosa, prendendo attentamente la mira e…Il fatto è questo. Un cane di grosse dimensioni può anche incutere timore, specie quando non conosci la sua Razza (dicono che alcune siano velenose); per non parlare della Manta, che fluttua incombente tra le acque ombrose dell’Oceano sconfinato. Mentre un gatto, come bestia, è sempre facile da accarezzare. Ispira simpatia, persino nella sua versione senza scaglie, né peli, con due soli e lunghi baffi tubolari. Come un pesce, il pesce soprattutto, l’arma imprevedibile ed involontaria di un guerra tra la gioia e la natura.
Questo video, risalente al 2012, è stato probabilmente girato tra l’arcipelago delle Florida Keys ed il Golfo del Messico, gli unici luoghi al mondo dove al tempo stesso: A- Vive l’Ariopsis felis, o pescegatto testadura e B- Vengono i giovani in vacanza. Dando luogo a potenziali situazioni come questa, davvero complicata da potare a un gradevole coronamento. Perché non è tutto un gioco, questo. Nossignore, mio capitano. E lei non sta fingendo: è alquanto difficile, una volta che ci si ritrova a tiro del vendicativo siluroide ormai defunto, uscirne senza almeno una sgradita cicatrice. Molti pescigatto posseggono infatti, in corrispondenza delle pinne dorsali e pettorali, lunghe spine ricoperte di muco velenoso, in grado di bucare facilmente anche la suola di una comune scarpa da ginnastica. Figuriamoci, dunque, la sottile quanto dolorosa scorza della pelle umana. Già la rimozione del solo aculeo, in situazioni analoghe, richiede quasi sempre l’intervento di personale medico specializzato. Per non parlare poi della necessità di contrastare il rischio d’infezione, sempre in agguato, visti gli ambienti del basso fondale in cui amano ruzzare questi amichevoli spazzini.
È interessante notare come l’atmosfera divertita della scena cambi tono gradualmente. Per prima, a salvare la giornata ci prova l’amica e causa del problema. “Caspita!” Paiono pensare tutti: “Com’è possibile che il pesce non si stacchi dalla gamba” Ma tira e rigira, nulla viene via. Allora giungono due astanti di genere maschile, apparentemente esterni al gruppo, che si posizionano attentamente per avere un quadro chiaro della scena. Uno fa le foto col telefonino, l’altro regge il pesce e se la ride. Lei, la ragazza, sembra prenderla con stoicismo e notevole filosofia.
È possibile, in effetti, che sia ancora sostenuta dall’adrenalina in circolo nel sangue, non riuscendo ancora a concepire l’entità del “breve” inconveniente. Verso la fine dei 3 minuti e 39 secondi, finalmente si adagia cautamente al suolo; fiduciosa nel concetto per il quale se due menti sono meglio di una, allora dieci, venti sono ancora più efficaci. Allora inizia la consultazione…

Leggi tutto

Lo spietato dedalo sotto la città di Odessa

Odessa Catacombe

La luce del flash illumina, per un miserevole secondo, la natura e il senso della situazione. Siamo a casa di Anatoli, Borys, Ivan o Lyudmila. Fate voi. Purché si tratti di un qualunque abitante della quarta città dell’Ucraina per popolazione, sita sulle sponde del Mar Nero: questa luminosa, turistica, termale ed apprezzata Odessa, dal clima temperato, gli alti palazzi e splendidi musei. Con un cuore e un’anima, tuttavia, perdute agli occhi degli umani. Dove finirebbe accidentalmente per trovarsi proprio colui/lei che, nel nostro ipotetico scenario, avesse un’improvvisa voglia di ristrutturare la cantina. Forse per una ritrovata passione per i vini, la ragione per l’acquisto di tante preziose bottiglie. Bisognose del silenzio e della protezione della Terra. Oppure, per dare spazio alle nuove attrezzature ginniche, da collocare ben lontano dalle stanze in cui si fa vita sociale. Onde pedalare, o correre, in prossimità del nucleo energizzante delle gemme sotterranee, sprone a cancellare le sgradite calorie. Quanti pranzi e cene da bruciare, funghi, verdure e barbabietole! Cominciando grazie al fai da te, così: con un singolo colpo di piccone, dato sulle candide piastrelle della nonna. Aspettandosi soltanto il tonfo sordo del robusto suolo… Da disfare un po’ alla volta, per metterlo da parte e poi portarlo via.
Ma trovando invece, dietro la carriola arrugginita, l’assoluto vuoto dell’annientamento. Una stanza, anzi, un maestoso corridoio nero. La strada perduta e un refolo di vento intriso d’umido lamento; la propaggine, l’ennesima, di un pericoloso killer senza volto, l’assassino di innumerevoli ragazzi incauti, adulti ubriachi, animali domestici: la catacomba più vasta e pericolosa del mondo. Che non solo supera di molto la grandezza del secondo labirinto sotterraneo per estensione (quello di Parigi) ma che potrebbe facilmente unirsi ad esso, se soltanto un impossibile titano chtonio riscavasse, sul giro del minuto, questi tunnel tutti in fila, con un orientamento ben sicuro verso il vento di Ponente. Tale caverna senza fine, infatti, misurerebbe all’incirca 2500 Km di orrida cupezza, attraversando la Romania, l’Ungheria, l’Austria, la Germania e buona parte della Francia stessa. Come le strade di una città di superficie o i neuroni del cervello umano: cose, queste, che tuttavia nascono da progetti ben precisi. Sulle carte urbanistiche di sapienti pianificatori, piuttosto che nel senso logico della naturale evoluzione di chi vive, vegeta o respira. Mentre una cosa tale nasce dal sogno metaforico della Ragione, per citare Goya, che genera creature, o creazioni, degne di essere temute.
L’origine di questa non-città si perde parzialmente tra i refoli di nebbia sui confini della storia. Si sa per certo che nella zona, fin dal XVI secolo, sono esistite numerose cave di preziose pietre calcaree, tra cui un’apprezzata e candida varietà di marmo, quasi paragonabile per qualità al celebre prodotto di Carrara. Ma sempre più rara, col procedere degli anni, costringendo i minatori a spingersi a notevoli profondità. La maggiore espansione delle catacombe avvenne solo successivamente, a partire dal 1794, quando l’imperatrice Caterina II di Russia, in cerca del sempre sospirato porto sul Mar Nero, decretò che venisse costruito proprio lì, sopra i molti materiali validi a metterlo assieme. Sorse dunque in poco tempo, tale proto-insediamento, proprio dalle pietre che sparivano man-mano, fra le varie intercapedini delle robuste fondamenta. A questo modo la città sotto la luce fulgida del Sole, futura metropoli da oltre un milione di abitanti, nel frattempo si guadagnava una sinistra ombra. Il suo riflesso, distorto e metamorfizzato, tra i recessi e le viscere del mondo. Che si rivelò davvero utile, in un triste giorno ancora da venire: come per le sue consimili parigine, infatti, le catacombe di Odessa svolsero un ruolo di primo piano durante la seconda guerra mondiale. I partigiani sovietici, scacciati dalla superficie vi si rifugiarono, armati fino ai denti, sfruttando al meglio ogni singola opportunità di ostacolare il nemico.
In particolare sono note le gesta della squadra operativa di V.A. Molodtsev, i cui membri, rintanati in questi luoghi per periodi di anche 13 mesi, passavano le giornate giocando a scacchi alla luce di lanterne ad olio, mangiavano e organizzavano spedizioni di sabotaggio, e quasi sempre di successo, contro le forze dei tedeschi. Le loro gesta epiche furono lodate personalmente da Stalin e vengono oggi commemorate nel Museo della Gloria Partigiana, a Nerubayskoye, poco fuori Odessa. Proprio qui si trova una delle poche vie d’accesso sanzionate, nonché attentamente recintate, al massiccio labirinto metropolitano. Ma ce ne sono molte altre.

Leggi tutto