Spaventi olografici e pupazzi scarmigliati

Hologhosts

Non c’è riposo per gli empi perché, da che si usa far di conto, per ciascun bel gesto, a un angelo spuntano le ali. E per ogni volta che ti spaventi, a un diavolo viene donato il suo forcone. Poco importa la ragione. Ciò che conta è la fluidifica diffusione di quel succo adrenalinico, il fuoco dissacrante che ti scorre nelle vene, per un attimo soltanto, questo è chiaro, poco prima di scoprire che alla fine, dopo tutto, non sei morto l’altro ieri. Puoi ancora provare sentimenti, per far muovere quell’ago della bilancia. Verrà un giorno, forse è già venuto prima d’ora, in cui le forze della luce diurna incontreranno quelle delle tenebre profonde, al crepuscolo del mondo. E i morti cammineranno sulla Terra? Forse. Purché ce le abbiano ancora, le gambe. Il che va dimostrato.
Il problema fondamentale è che la paura, quel remoto punto di partenza, funziona come un muscolo all’incontrario. Più lo alleni, meno fa quello che deve. Ci sono mostri eccezionali, come Nosferatu col suo naso adunco, e Frankestein l’ominide assemblato dai cadaveri, che ormai suscitano solo il senso di un sorriso, verso l’ingenuità di chi è venuto prima. Per non parlare del fantasma classico, un lenzuolo con due buchi per vedere. Eppure pensaci, visitatore di un castello di brughiera, nell’oscura insicurezza della notte, a incontrare tale orribile presenza! Il movimento candido senza un alito di vento. Una presenza tanto orribile, e inumana, che non ha nemmeno il volto! Niente, questo è troppo. Ahimé, ormai non resta tempo (di salvarsi). Talmente questa classe di apparizioni, gli spettri spaventosi, sono inflazionati dall’antica letteratura e la quasi-recente cinematografia, che preferiamo odiare quegli zombies goffi e stanchi. I quali, sia chiaro, ben poco hanno a che vedere col folkore haitiano. Prima di tutto, perché sono troppi, di numero. E poi troppo innocui, relativamente.
Un vero essere incorporeo, se maligno, è virtualmente inarrestabile. Porta il freddo con la sua presenza. Stringe il collo senza fare un minimo rumore. I proiettili, non importa di che calibro, gli passano attraverso. Non è facile restituirne il senso. Rappresentare l’anima dei morti, come niente fosse, in diretta sotto gli occhi degli spettatori del momento. Resta fisicamente impossibile, per gli esseri umani, vestirsi di luce semi-trasparente. Quindi, che idea… I creativi visuali di AtmosFX, compagnia specializzata in decorazioni di Halloween, questa roba l’hanno concepita veramente bene. Losche figure, con o senza testa, infestano il salone di una casa come la nostra. Risplendono di luce d’ectoplasma, mentre fluttuano nell’aere, senza alcun bisogno di toccare terra. Sono, neanche a dirlo, un ologramma. Il che ci porta allo spavento supremo: com’è possibile, oh, signora mia, quando non esistono tecnologie…Che consentano, come se niente fosse, di creare immagini a tre dimensioni, addirittura illuminate! C’è il segreto. Ci hanno preso nella rete.

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Kokeshi, le bambole totemiche dei giapponesi

Kokeshi

Ci sono due tipi di giocattoli a questo mondo, declinati in ciascuna forma progettuale. Due tipi di aeroplani. Altrettante automobiline. Due guerrieri: soldatino, e generale. E pupazzette dalla foggia deliziosa, tra l’altro. Il primo tipo è raro e ricercato. Da qualche parte, non so dove, è custodita la perfetta bambolina giapponese. Siede sopra un piedistallo di broccato rosso, accanto a suo marito l’Imperatore. Con quattordici strati di splendenti vestitini, in sete raffinate e nello stile di passate Dinastie. Ha un copricapo alto e flessuoso, con gioielli che ricadono a cascata, incorniciandogli lo sguardo conturbante e connotando la sua posa rigida, impostata. Mi riesce facile immaginare le vicende che l’hanno portata lì, dentro allo scuro mobile di legno di ciliegio: era stata di una bambina di ottima famiglia, che l’ha ricevuta in dono, assai probabilmente il 3 di Marzo di qualche secolo fa, nell’occasione dell’Hinamatsuri, festa nazionale della sua categoria. Quindi, lì rimase. Dopo quella sera memorabile, nessuno l’ha mai più toccata, per paura di macchiare quell’eterea porcellana, o perdere la protezione offerta dagli spiriti malvagi. È un oggetto straordinariamente raffinato, questa perfetta bambola giapponese. Si chiama 雛人形 (hinaningyō).
La bambola perfetta giapponese, forse, è del tutto differente. Qualcuno l’ha comprata, durante un viaggio di piacere, presso la bottega di un “comune” falegname. Semplice e gioviale, un uomo forte, ma creativo, che lavora certamente tutti i giorni, per mangiare. E come lui, questa こけし (kokeshi) è semplice e diretta, distillata fino al nocciolo della questione. Ed è viva nello spirito, proprio perché immediata. La sua giovane proprietaria, assai probabilmente, l’avrà scelta di persona. Così felice, da quando l’ha ricevuta in dono dai suoi genitori, da portarla in giro nella onbu, la borsa-passeggino, lasciando che i raggi del sole ne scolorissero vernice e grana. Perché: non importa. Questo non è un giocattolo prezioso, da custodire dentro caso. Oppure, d’altra parte, lo è tanto maggiormente, proprio perché usato senza alcun ritegno.
Le kokeshi appartengono a quel tipo di artigianato popolare così tradizionalmente trascurato, dai libri di storia, che viene fatto risalire per derivazione dalle epoche più antiche. E si dice: “Fin da quando l’essere umano ha avuto la coscienza di se, ha cercato di plasmare a propria immagine i diversi materiali…” Solo che tale spiegazione assai vaga, in questo caso, si applica soltanto in parte. Perché questi particolari ninnoli cilindrici nella loro forma tradizionale, così colorati e caratteristici, un’epoca d’origine grossomodo ce l’hanno: siamo nel XIX secolo, quando fiorisce in Giappone un nuovo tipo di turismo. Gli abitanti dei sempre più vasti centri urbani, stanchi di lavorare tutto l’anno e senza un attimo di posa, riscoprono il piacere dei bagni termali, gli 温泉 (onsen). Dalla distanza d’Occidente, è facile dimenticare come quell’arcipelago sia ricco di attività geologiche più o meno minacciose, dai vulcani ai geyser, dalle fonti solferine ai terremoti. Per ciascuna prefettura, in effetti, abbondano i varchi d’accesso alle regioni del profondo, da cui sgorgano le acque calde in grado di curare ogni diverso tipo di malanno. O almeno, così si riteneva, e ancora in parte ci si crede. Partendo verso un certo tipo di pellegrinaggio, culminante con quest’immersione nella vasca naturale in assoluta nudità. Fra membri solo dello stesso sesso, come si usa ancora, o nella maniera di una volta, uomini e donne insieme, senza un’ombra di vergogna. Che fosse proprio questo, il merito dell’esperienza? L’annientamento dello stress, assieme al complesso artificioso di vergogna, attentamente costruito dalla società moderna. Da tali viaggi, ad ogni modo, si tornava ritemprati. Differenti nello spirito e nella presenza. Ed idealmente quasi sempre, col perfetto souvenir

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È giunta l’ora (di dare al porcospino la sua zucca)

Porcupine Pumpkin

Ah! Gioite, è la stagione. Il giorno e l’ora, l’orrido momento. Quando gli spiriti del mondo, secondo le credenze d’Oltreoceano, vagano su strade dissestate in cerca d’anime da annichilire. E noi non contenti, già di questo, lì a vestirci come zombie, poliziotti e giustizieri con il volto della morte stessa. Apotropaico, chiaramente, resta il senso della cosa: come nel grande Oriente, in cui le immagini dei mostri e dei dragoni, fin da quando esiste la pittura, son servite a scoraggiare spiriti maligni e la sventura, personificata. Almeno, nell’idea fondamentale di partenza. Poi, si cambia e si va oltre; finché ormai nessun ricorda, di quel fabbro buono a nulla, Jack-della-Lanterna, che il diavolo stesso, truffò. E che per il voler di quello già scornato, come ogni volta capita, venne alla fine condannato. Alla trasformazione, di lì e per sempre, in mostro occulto della Notte, con luce di ben fievole speranza e denti acuminati, ricavati dalla scorza di una rapa vuota.
Tali ortaggi sono ovunque, già intagliati ormai da tempo e messi sopra i davanzali (di chi preferisce, alla Befana, feste d’altri mondi culturali) Il momento è prossimo. E guai saranno certamente, per tutti quelli privi di un tal volto sghembo posto a guardia della casa! Presto visitata dai vampiri, dalle streghe et cetera. Il funzionamento? Davvero chiaro. Ogni cosa dalla forma circolare, nell’immaginario collettivo, è come un uovo. Da cui scaturiscono le cose più diverse. Non soltanto così, zucche. Esiste pure il caso di una sfera esatta, mezza bianca e mezza rossa, con un tasto in mezzo; come da copione, tale Pokéball può contenere…Le creature variopinte, di una festa senza fine, il carosello di battaglie del famoso videogioco giapponese. Come la zucca ospita fantasmi e pipistrelli, perché dal canto suo li crea, con il gesto dell’allontanamento. Tutto esiste, se ci credi abbastanza da giocarci. Esiste, addirittura il porcospino americano! Ma devi crederci davvero, oppure non verrà.
“Ho le spine dentro” Sembra dire: “Non toccarmi o te ne pentirai” E in seguito, cento altre cose differenti, con la rabbia e un senso di assoluta fame ed entusiasmo. Teddy Bear, come hanno scelto di chiamare la bestiola, non tace proprio mai. Le sue vocalizzazioni sono un continuo susseguirsi  di piagnucolii, lamenti e gridolini. Benché l’origine dell’ansia, a ben guardarlo, sia supremamente chiara: è frutto di una gioia sopraffina. Perché l’animale ha ricevuto, come dono stagionale, un’intero calderone di zucchette. Roba rara-rara-veramente, sulle tavole del mondo. Certamente, perché prive di sapore, soprattutto, e poi utili per l’altro scopo, quello protettivo di cui sopra. Eppure, ad averceli, compagni casalinghi come questi. Si vivrebbe molto più sereni…

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Il supplizio dell’abulico consumatore

Infomercials

“Non hai comprato, non hai comprato. E adesso, come farai?” Il classico venditore televisivo è un personaggio che dimostra di possedere, molto spesso, una spiccata componente diavolesca. Come le occulte presenze di Poltergeist, si manifesta dalle emanazioni elettromagnetiche dell’etere, per condurre innanzi una novella di assoluta perdizione. Ma a differenza di queste ultime, offre sempre una singola e remota luce nel profondo dell’oscurità. Qualche volta in senso letterale (incredibile! Dotata di una dinamo a pedali!) Avete presente la reclame lunga di stampo americano? In cui un prodotto bizzarro, estremamente specifico e relativamente costoso, viene proposto al pubblico passivo, con verve annessa del tutto comparabile a quella di una reliquia religiosa… Ce ne sono di vari tipi, eppure il metodo rimane sempre quello. Dimostrare l’assoluto senso di tragedia! Come quando andarono di moda presso i nostri lidi, per un tempo alquanto lungo, quei coltelli di fabbricazione giapponese che vantavano il nome di Scioo-gùn (pronunciato, pressappoco, proprio in questo modo). Chiaramente, la collettività telespettatrice d’Europa si è sempre prestata maggiormente a soluzioni di disavventure semplici nella composizione. Chiare ed evidenti, come la cucina. Ed era drammatica, la sequenza di presentazione, in cui nulla si tagliava, senza l’uso di Scioo-gùn. Il pane diventava quasi pari a un blocco di cemento. Le zucchine erano dei pilastri d’alabastro, per quanto rovinavano gli attrezzi da cucina. E le cipolle una bomba chimica, pronta ad esplodere in mancanza di lame adeguate, almeno degne di essere impiegate da Jack Ketch, il boia decapitatore.
Eppure tutto questo non è nulla, al confronto con una mattinata educativa trascorsa presso certe lunghezze d’onda, che rimbalzano fra le periferie dei 48 stati, più le Hawaii ed il gelo impressionante dell’Alaska. Lì migliaia di demiurghi, ogni giorno, convincono individui impressionabili dell’esistenza di un Problema. Non sempre lo stesso, a descriversi, eppure indubbiamente Quello, nei suoi primi fondamenti. “Tu, uomo/donna/bimbo/cane: inefficace fallimento” Così comincia, quasi sempre. La rappresentazione, praticamente teatrale, di una macchina del quotidiano ormai del tutto priva di energia. E l’incapacità, tipicamente umana, di trovare approcci alternativi ad un fastidio, non importa quanto grave. “Tu, tu, tu. I tuoi vestiti sono pieni di pieghette, il tuo cane perde peli ovunque, la tua casa è un groviglio di polvere. La tua automobile ha un cattivo odore. Tu! Non sai cucinare, né lavare, né stirare….” Finché alla fine, privati della forza d’animo, non si scorge da quel vortice l’immagine dell’ultima salvezza: un prodotto, sangue, carne e plastica di Lui, il venditore. La suprema suggestione di salvezza.

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