Giù nel varco tra le rocce, la valanga umana

Line of the Year

Ciò che sale, sale a un certo punto scende. E quando scende apriti cielo, per non ostacolare il suo passaggio. Guardalo e giustifica l’impresa. Giganti sconfinati vanno in giro per la Matanuska-Susitna e la penisola del Kenai, nel gelo dell’Alaska, e fanno pratica con il karate. O almeno, così pare a giudicare da certe particolari formazioni rocciose delle Tordrillo Mountains, dette chutes (o scivoli) del tutto simili ad un taglio netto, dato con il bordo della mano, da qualcuno che non teme il peso della pietra dura e combattiva. E se le avete viste, ammirando tali e tanti canaloni, il passo successivo è chiaro: occorre dominarli, dimostrare finalmente chi comanda. Ovverosia, la neve, che determina l’approccio dell’esploratore. Più comunemente detto, lo sciatore.
In questo video rilasciato l’altro ieri dalla Matchstick Productions con l’irrinunciabile patrocinio di Red Bull, si può ammirare cos’ha fatto Cody Townsend, nell’ottica della realizzazione del suo nuovo film, DAYS OF MY YOUTH, poi rilasciandolo, generosamente, come trailer dell’idea. È magnifico. È probabilmente, senza precedenti? Tutt’al più, ci va vicino. Esistono cose, nel profondo e bianco Nord…Veri e propri fiumi di neve, che vengono a valle, senza posa, dalla cima di quei picchi. Così nasce, per l’effetto di quell’insistenza, un tale miracolo d’erosione, un canalone degno, niente meno, che di Luke Skywalker, appena ritornato all’apogeo. Ce ne sono almeno dieci simili nei dintorni, stando al sito ufficiale dello ski resort rilevante, tra cui il più famoso viene definito con l’appellativo amichevole di Manhattan, misura oltre 300 metri di lunghezza e circa 15, d’ampiezza. Un’esperienza sciistica, quella, che se pure non adatta ai principianti, può costituire l’attimo di adrenalina per chiunque, tra noi mortali, si decida per percorrere le strade mediamente/estreme della vita. Ma di certo niente a che vedere con quest’altro buco, l’alta e oscura fessura, senza altro nome o un senso ultimo, che quello di metterti alla prova. Nella precisione o nel coraggio di rischiare per…
Uno scarico del lavandino: così sembrava, quello spazio verticale, nel momento d’apertura della scena madre, quando in un dì assolato Townsend, con la sua troupe, si apprestava ad aprire, come si dice in gergo, la “Discesa più folle dell’anno” Non che fossimo tutti lì pronti, per venirgli dietro! Perché fino a quel punto i temerari ci erano giunti, a quanto ci viene fatto capire, grazie alle pratiche pale di un elicottero, che già si alza e vola via. A quel punto, cosa fare? Se non raccomandarsi al dio del tuono, al dio Vulcano (che tanti millenni fa, questi rilievi li aveva creati) e ad altri innumerevoli volti Divini, prima di sporgersi quel tanto, appena necessario, perché la gravità facesse il resto. Dev’esser stata un’esperienza…

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Carri-nani armati di volàni

Tankette

Lo spostamento autonomo è da sempre stato, nell’ambiente dei giocattoli, un punto cardine della questione. Poiché non importa quanto è piccola una cosa, l’automobilina, il camion dei pompieri: se cammina sembra vera. Se non usa pile, pare magica, persino…Appunto come queste splendide invenzioni, cromate, dell’utente giapponese スターリング (da leggersi probabilmente: Stirling) che se ne vanno, su e giù sul suo tappeto, grazie unicamente ad una spinta muscolare. Quella data, da principio, con un gesto relativamente faticoso, la mimési dell’interminabile avanzata, che segue, di lì a poco e poi procede, avanza, divora centimetri e decine di corpuscoli o animelle. Come può essere una cosa tale? Come mai, se spingi prima, poi si muove, dopo, ancora? È un fenomeno della meccanica. Già, la ruota che conserva, nell’inerzia, l’intenzione di partenza, che ricorda e gira meccanicamente, così esegue, senza lapsus, la missione di giornata. Col volàno, non ti sbagli. Guarda e grida! Se non vòlano, poco ci manca.
Una pura e semplice rivoluzione. Giacché tra i popoli dei piccoli, come gli gnomi, oppure gli elfi della tradizione, non è facile trovare bestie valide che li possano trainare. Non ci son cavalli piccolini, a parte i pony. Hai voglia, cavalcare un topo! Non puoi farti trasportare da una tartaruga, se non hai pazienza. E un motore con i crismi ultramoderni, per sua implicita natura, può ridursi nelle dimensioni. Ma soltanto fino a un certo punto e poi del resto, ne hai bisogno? Quando è facile in alternativa, farti trasportare da una soluzione semplice, assai più chiara e luminosa. Sottinteso: con l’aiuto di un gigante, che ti spinga. Il solo problema di questo particolare approccio motoristico, ciò che gli impedisce di trovare applicazione tra gli umani full-size, è che la ruota di metallo, colei che accumula il moto angolare, in qualche modo devi metterla in funzione. E la forza necessaria è sempre quella, del tuo viaggio intero, ma ben concentrata in un momento oppure, a dire tanto, due.
Qui entra in gioco la persona vera, che s’immagina quegli altri, per il suo divertimento. L’uomo è forte, grande, l’essere che domina il tappeto e il pavimento. Assieme a tutto quello che lo ingombra, inclusa la mobilia e i modellini. Così ti svegli, una mattina, e guardi il frutto di tanta fatica: 15 centimetri di splendido metallo, con un lungo cinturino a far di cingolato (chissà se in Giappone li vendono, tali componenti, per i tanti appassionati di montaggi sbarazzini) e dici: “OGGI”. Allora sposti tutto verso i muri. Metti un’asse lignea 2-by-4 in diagonale, dal terreno fino al tavolo da pranzo. E mandi innanzi la tua splendida (Queen) Vittoria…

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L’arte di disporre piante negli acquari

James Findley

Un’isola vulcanica, completa di felci giganti, rocce ricoperte da uno spesso strato di muschio e strani arbusti, quali mai se n’era visto l’eguale. E il tutto riprodotto, per il suo intrattenimento, dentro una vasca da 150 cm di lunghezza e 1800 litri di capienza. Una simpatica miniatura, secondo la metrica degli habitat completi ed autosufficienti. Ma un gigante, tra quelli artificiali fatti per venire messi sotto un tetto con le tegole spioventi. Questo è Nature’s Chaos, l’acquascape che James Findley finì di allestire dal 2011 e che da allora è stato esposto, con orgoglio certamente motivato, presso il suo negozio di settore The Green Machine, sito nella città di 61.000 abitanti di Wrexham, nel Galles settentrionale. Un settore molto ampio, il suo, che và dalla comune vasca per i pesci rossi all’idroponica, dalle grandi teche attentamente riscaldate per i pesci tropicali, alle ultime innovazioni nel campo dell’ecologia simulativa a base vegetale, tale alternativa umida, ed estremamente complessa, al puro e semplice giardinaggio di terra.
Il risultato è a dir poco accattivante. Perché a differenza di quei templi semi-selvatici della potatura sotto il sole crudo, e che la pioggia bagna con variabile insistenza, qui tutto è sottoposto all’assoluto predominio del creatore umano, persino la fauna di supporto – laddove, invece, è assai difficile che gli uccellini o i bruchi ascoltino la volontà del giardiniere. Mentre guarda, e stupisci! Piccoli pesci, come gli appartenenti al genere dei Corydoras variopinti, oppure i Falsi Neon (Paracheirodon simulans) coloro che donano l’argentovivo al fiume Orinoco, percorrono gli spazi circostanti la favolosa montagna immaginifica, mentre particolari specie di gamberetti, come spazzini naturali, si aggirano sul fondo scuro, in cerca di scorie o delle alghe indesiderate, come erbacce dentro a un tale tempio. Eppure gli abitanti semoventi non sono mai il punto principale di un vero acquascape, che dovrebbe nascere, secondo la prassi, dalla passione dell’artista per le cose che rispondono maggiormente della sua visione. Un ecosistema ben riuscito, per una simile mentalità, sarà dunque quello che richiede meno interventi successivi, riuscendo piuttosto a sopravvivere grazie alle interazioni tra le parti. Ogni pesciolino, ciascun espediente utilizzato nella disposizione, mira soprattutto a questo: l’ottenimento di un supremo ed ottimo equilibrio. Non a caso, questo campo dello scibile ha visto in Asia, e in particolare nel Giappone dello Zen, il suolo fertile, striato, presso cui maturare le sue valide messi creative.
Nulla è superfluo, tutto serve ed è anche per questo, anzi soprattutto, splendido alla vista. L’alta Eleocharis parvula, con le sue propaggini serpentiformi, crea l’effetto allusivo di un’interminabile eruzione, che và a perdersi verso la superficie dell’acqua, cangiando verso un rosso fiammeggiante. Tutto attorno, rocce affiorano, a malapena, tra i folti cespugli di Staurogyne repens, importati direttamente dal Rio Cristalino, nell’Amazzonia del sud. E sotto queste verdeggianti colonne della composizione, all’ombra di tanta conturbante clorofilla, fusti e steli, innumerevoli luogotenenti attorcigliati. L’aspetto migliore di un acquascape ben riuscito è che questo non sarà soltanto frutto della mente e del gusto umano; bensì, pure, automaticamente, l’habitat perfetto per i suoi piccoli eppur numerosi, scagliosi inquilini. Simili creazioni, in effetti, costuiscono de facto l’unica maniera artificiale di osservare la vita acquatica alle prese con il suo contesto primigenio, l’ambiente primordiale da cui provengono, in senso lato, oppure prettamente evolutivo. Una vera e propria finestra sulla natura, dunque, da disporre come niente fosse in casa propria. O nei luoghi pubblici adeguati. Che può essere piccola, media, oppure grande, molto grande, come in questo caso. Si può fare ancor più grande? Beh…

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La vita con un mini-termitaio sulla scrivania

Termitat

Siamo recentemente giunti in prossimità di quel periodo dell’anno in cui si pensa, soprattutto, a cosa regalare. Ed è difficile, nell’odierno panorama del commercio informatizzato, non essere sviati dalle mille offerte, dalle strane merci e dai poliedrici gadget divergenti, offerti da tanti portali e siti dell’E-Commerce, di un domani senza centri commerciali, né negozi, ma soltanto schermi, il gesto di cliccare e soprattutto l’intenzione di spuntarla ancora. Cosa regalerai a tuo suocero, se non un drone a forma di banana? E a tua cognata un orsetto gommoso di 30 cm, rosso e verde e giallo, tremulo quanto una tazza di budino. Ma il dono più importante, questo è noto, frutto della percentuale maggiormente ragguardevole d’ogni comune tredicesima, sarà per noi medesimi homines novi, tutt’altro che immuni dai richiami del possente marketing virale. E qui, apriti cielo e corda del borsello. Perché tutti sono pronti a venderti qualunque cosa, addirittura: un sogno. Parliamone per due minuti.
Chris Poehlmann, dall’alto della sua fiammante campagna di Kickstarter, ci offre la possibilità di possedere il più incredibile dei passatempi. Immaginate un topolino bianco, sotto una campana di vetro, con un pezzo di prezioso camembert. L’intero apparato, come da preciso manuale, fatto per essere esposto in casa vostra, da guardare e rimirare, onde trarne un gran divertimento. Sarà, questo piccolo animaletto, perfetto e sempre in salute, per un tempo esatto di tre anni. Non dovrete mai pulirlo. Ogni giorno mangerà il formaggio, senza che questo, miracolosamente, accenni ad esaurirsi. Ed ogni sera lui vi guarderà, coi suoi teneri occhi neri, ringraziandovi di una così gradita prigionia. Ecco, Termitat: quasi la stessa cosa. Con una piccola distinzione: se per caso, non volesse il Fato, vi dovesse cadere la campana, ed infrangersi, potreste perdere la casa. Ebbene si. Whoops! L’ho chiamato topolino bianco? Ecco, l’errore è quasi perdonabile, visto come questi esserini rosicchino, anche loro, tutto il santo giorno. Senza contare che anche il colore è uguale: puta caso ci trovassimo in Australia, queste qui le chiameremmo, senza timore di fraintendimento, le piccole Formiche Bianche. E in America, dove le case sono tanto spesso in legno, forse con maggior sofismo d’espressione: il terrore di chi abita, il nemico del geometra, l’orrido demonio che sminuzza. Ma non ci formalizziamo e poi del resto, le abbiamo nominate già nel titolo! Termiti tipiche, tutte quante tese a sopravvivere, mangiando.
La distinzione, che normalmente è il dove, questa volta è invece il come. Giacché nessuno mai, nel corso della storia nota, ha mai portato insetti di questa genìa tra le proprie quattro mura. Preferendo dopo tutto, persino i biologi incalliti, gli entomologi e tutti gli altri curiosi, di andarsele a cercare nel profondo di svettanti boschi, tra la polvere ed il nulla delle praterie, ‘ste animelle. E per forza! Non c’era Termitat, aha. Chris Poehlmann, nel suo video di presentazione, illustra l’origine ed i punti chiave dell’idea. Che gli venne qualche tempo fà, a seguito dell’interessante esperienza lavorativa di mettere assieme un habitat per insetti sociali in un museo californiano. Lui allora, che aveva lavorato in questo particolare campo da oltre 25 anni ed era ormai stanco delle solite formiche, prese lì l’iniziativa, senza precedenti, di affettare un grosso ramo di abete e chiuderlo nel plexiglass, assieme a qualche ottimo esemplare di Zootermopsis angusticollis, le termiti della costa del Pacifico, largamente odiate dall’Oregon allo stato di Washington, dal Montana alla Columbia Inglese. Il risultato fu fantastico, a vedersi.

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