La rivoluzione delle macchine inconsuete

Rotational golf cart

Il coraggio di esserci, provare ciò che mai era stato dimostrato prima d’ora: è possibile indurre un moto rotativo in un furgoncino elettrico ed erratico, affinché lo spazio necessario per percorrere un chilometro, due, quattordici persino, ammonti grossomodo a quello di una piccola piazzola? L’area rimanente di un parcheggio, la corsia d’ingresso solamente, quella, nello specifico, del parcheggio affiliato al campus dell’University of Loyola, in quel di Chicago Illinois. Visione tolemaica: le apparenze dimostrano con chiarezza innegabile la realtà dei fatti: coi piedi saldamente sull’aiuola, siamo fermi ad osservare questa dannata cosa, del cavallo senza cavaliere, il carro privo di un cocchiere, stranamente abbandonata al suo/nostro destino. Intuizione galileiana: il soggetto del nostro stupore, quel carrello pazzerello, sembra soltanto che si sposti, mentre in effetti è il mondo che vi ruota attorno (sarà invero applicabile, una simile premessa, al caso qui rappresentato…) Madornale, Wilkinson. Perfettamente grossolano, degno di una cella in Vaticano. Ciò che conta non è il moto del contesto, bensì la ragione delle circostanze.  Ecco le domande che dobbiamo porci: cosa trasportava quel furgone? Chi lo guidava, qual’erano i suoi sogni e le sue aspirazioni? Perché il primo poliziotto, accorso sulla scena con fervore, invece di aprire semplicemente lo sportello, colpisce il finestrino con il manganello, spaccando quel che non aveva un simile bisogno. Ah. Comprendere i remoti sentimenti di chi si trovi al cospetto di una tale circostanza non è facile, guardando da lontano. La tremenda frustrazione. L’odio transitorio per gli stolti ed i folli che l’hanno causata. Come, come, Kingdon Come (Sia Fatto il Tuo Regno) si è arrivati ad una simile ingiustizia verso l’uomo e la natura? Quale serie di sfortunati eventi, per usare l’espressione Snicketiana, può averci condotto a a un tale grado d’eccessiva sofferenza! Mi rivolgo a te, supremo demiurgo degli automi ed i sistemi meccanizzati, Skynet. Chè se pure T. Genysis, l’ennesima iterazione dell’antica saga, dovesse rivelarsi derivativo ed insoddisfacente, poco abbiamo da temere: i segni sono manifesti, i tempi assai maturi. Presto avremo l’occasione di sperimentare sulla nostra pelle quella stessa narrazione di macchine pericolosamente intelligenti, destinate a replicarsi all’infinito. Ed allora chi ci salverà, dal segno orrendo della fine, tranne gli eroici addetti alla sicurezza ed all’IT management!
In qualche modo, lungo la sequela dei momenti che compongono quel video, si finisce per assimilare la propria visione a quella degli astanti, i giovani testimoni accidentali che sottolineano la scena con commenti quali “Non ho mai visto niente di simile.” e “Questa è la cosa più fantastica che mi sia mai capitata!” E beato l’entusiasmo di chi non conosce i casi della vita. Nessuno aspira per la sua carriera futura, a consegnar ciambelle nei diversi bar dell’università. E/o portare via la spazzatura dei dipartimenti di chimica e di biologia (possiamo soltanto sperare che i furgoni usati per le due mansioni siano differenti!) Eppure il mondo è pieno di bisogni, e nulla può corroborarli meglio, che il sudore della propria fronte. Letterale, qualche volta, o assai più frequentemente, ai nostri giorni tecnologici e automatizzati, emanazione metaforica del gesto lieve che manovra il meccanismo, preme quel pulsante, ruota il pegno del volante. Preme l’acceleratore e ti trasforma, per un tempo limitato, nell’oggetto e l’ingranaggio di un sistema, due binari della stessa cosa. Apposizione e predicato al verbo che è il verbalizzare: rendere per oggi manifesta l’intenzione collettiva di risolvere un problema. Così, esso è stato, per colui che puote(va). Osserviamo dunque un breve attimo di silenzio, per il povero Richardson (tanto per usare un nome di fantasia) questo ormai ex-corriere di certo chiaramente identificabile, cui era stato affidato il compito di far spostare la massa del presente furgoncino, con la qualifica di mini-trasportatore. Che per un caso imprevisto del destino, d’improvviso è stato volatilizzato dagli eventi, proprio mentre vigorosamente si appoggiava sul pedale, manovrando per immettersi su quel viale. Non è certo colpa tua, mio caro Richardson se quel veicolo, pochi secondi dopo, ha sviluppato un irrefrenabile desiderio di salvarsi dallo stesso orribile destino.

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La montagna senza sale ricomincia a camminare

Quick clay

Pare l’effetto speciale di un film catastrofico, oppure in alternativa, il risveglio di un mostruoso Leviatano. Eppure si tratta di un fenomeno scientifico chiaramente dimostrabile, che pur appartenendo alla sfera della geologia, parte da una reazione chimica così semplice e basilare da potersi configurare come l’ultima pagina di un libro di ricette: la Peppina fa il caffè. Che nella canzone, fra tutti gli ingredienti menzionati, mancava il più classico collante usato dai bambini che vogliono fare i cuochi svalvolati: la comune terra raccolta ai giardinetti, un ammasso granulare, grossomodo solido, che può cambiare da uno stato all’altro sulla base dell’aggiunta fluidificatrice d’acqua, trasparente rito di passaggio verso la più metaforicamente gustosa, ma nei fatti del tutto imbevibile, conseguenza della moka posta sopra quei fornelli plasticosi. Ma non c’è nulla di simulato, nella scena qui catturata grazie all’uso del cellulare d’ordinanza ad opera di Alexander Giniyatullin, abitante della cittadina ad accesso limitato Zarechny, nell’Oblast di Penza, Russia sud-occidentale. Un luogo che si trova, allo stato dei fatti attuale, estremamente lontano dalle coste di qualsiasi specchio d’acqua significativo. Eppure in parte poggia, come del resto buona parte dei paesi europei ed americani al di sopra di una certa latitudine, presso delle terre che diecimila anni fa, durante l’ultima grande glaciazione, furono del tutto ricoperte dalle acque degli oceani sconfinati. Immaginate, volendo mantenere il termine di paragone culinario, il peso specifico di un cubetto di ghiaccio dentro a una bevanda. Finché integro, appena estratto dal surgelatore, tale elemento resterà saldamente collocato presso il fondo del bicchiere. Per poi sciogliersi gradualmente, diminuendo la sua massa ed iniziando infine a galleggiare. Ora, è grossomodo questo ciò che accadde su scala planetaria, per il lungo periodo, destinato ad esaurirsi solamente attorno ai primi timidi passi della civiltà egizia, quando ancora i mammut camminavano sul suolo dei paesi della Scandinavia giusto all’altro lato dello spazio geografico d’allora. Territorio cge riusciva a presentarsi in uno stato alquanto differente dal presente: perché il peso di una calotta artica notevolmente più estesa rispetto ad oggi, in tardivo corso di scioglimento, favoriva il fenomeno della depressione isostatica, ovvero l’effettivo abbassamento delle terre emerse, finché il mare poté ricoprirle, modificando la composizione chimica del suolo. Un mutamento significativo e duraturo, eppure tutt’altro che eterno. Nulla, del resto, può davvero dirsi tale.
Così ci ritroviamo, in questa scena risalente al primo del mese, presso una strada non meglio definita di quello che fu uno dei principali centri nevralgici industriali dell’Unione Sovietica. Un luogo pieno di fabbriche, centrali nucleari ed addirittura, secondo credenze piuttosto diffuse, gli stessi stabilimenti presso cui venivano assemblate le armi atomiche durante tutto il periodo della guerra fredda. Che scenario…Consigliabile, per una frana! E che strano esempio, questo, di una tale cosa…Pare di assistervi direttamente assieme al giovane testimone improvvisato. L’intera collina che lentamente si mette in moto, con fare placido dapprima, poi maggiormente rapido e virulento. La lieve pendenza del paesaggio, tutt’altro che significativa, non fa che enfatizzare il moto surreale di un simile sommovimento, tutt’altro che rapido e frutto di cause che possano dirsi chiare. Una valanga, in quanto tale, non è ardua da comprendere: la neve sta su, finché gli pare. Nessuno avrebbe alcun dubbio: un’improvvisa vibrazione può bastare a mettere in moto le masse biancastre verso il fondovalle, per il semplice effetto della gravità contingente.
Mentre, che differenza. Ecco qui una massa di terra all’apparenza millenaria, che lì era rimasta attraverso innumerevoli cicli stagionali, senza mai mostrare l’intenzione di tradire l’uomo. Addirittura vi poggiavano i pali della luce, che all’improvviso rimettersi in moto delle circostanze, diventano come stuzzicadenti sovradimensionati, stritolati dalle fauci incomparabili della natura.

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Un salto a piè pari nel buco del verme d’Irlanda

Poll na bPeist

Non c’è scena maggiormente impressionante. La studentessa ventunenne in visita Aparajita Gupta, che viene ripresa dal musicista Brian Smith tra la furia dell’oceano dalle rocce sopra Poll na bPeist, la celebre formazione geologica rettangolare dell’isola di Inis Mór (Inishmore) la più grande dell’arcipelago delle Aran, nell’Irlanda occidentale, il cui nome tradotto vuol dire “Tana del verme” ovvero il drago. Con le onde che ad un tratto aumentano ulteriormente la loro potenza, sembrando voler divorare tutto quanto. Si fanno più alte, ancora e ancora, finché una, particolarmente spaventosa, non raggiunge la piccola figura umana e… La spuma la ricopre, torna indietro e se la porta via. Ben poco ci resta da guardare tranne il mare, il cielo, il buco. Di lei non v’è traccia alcuna.
Sono il Re del Mondo, Rose! La frase simbolo della scena culmine del film dai maggiori incassi della storia, finché non venne superata dall’uscita di quell’altra geniale creazione di James Cameron, praticamente Pocahontas pelle-azzurra nello spazio. Ma tutti ricorderemo, ancora molto a lungo, l’abbraccio plastico che inscenò un giovane Di Caprio (Jack) con la sua amata Kate Winslet dalle braccia aperte verso al cielo (Rose) proprio all’apice massimo del transatlantico, ove le linee divergenti delle sue murate s’incontravano a formare il piedistallo di quel dannato amore tragico per eccellenza, destinato a infrangersi contro la rigida realtà di gran ghiacciolo da 200.000 tonnellate ca. Del resto stare in bilico sul bordo, spingersi innanzi fino al limite massimo dell’area utile a disposizione, ha da sempre costituito un gesto riservato ai saggi governanti, ai coraggiosi eroi. Ettore, figlio primogenito di Priamo, che scruta dalla cima della rocca di suo padre l’odiato nemico greco in avvicinamento; Re Cuor di Leone che si sporge sul camminamento del suo penultimo castello in Terra Santa, poco prima di rendersi conto che è tornata l’ora di rivolgere il suo sguardo in patria, dove le macchinazioni del fratello minacciavano la sua sovranità; Re Carlo I perso nella contemplazione di una Londra sempre più riottosa dall’alto barbacane della Torre, esattamente dove, soltanto qualche giorno dopo, i ribelli puritani avrebbero esposto il risultato della sua decapitazione.  Ma è soltanto successivamente che un tale desiderio, il superamento del senso di vertigine, e per inferenza della propria stessa concezione di mortalità, sarebbe diventato veramente universale. E un tale preciso momento può essere facilmente individuato a posteriori e per immagini, grazie all’aiuto della storia dell’arte: vedi il dipinto Der Wanderer über dem Nebelmeer o il Viandante sul Mare di Nebbia, dell’autore romantico Caspar David Friedrich, in cui un giovane nerovestito e di spalle si staglia sopra un precipizio roccioso, con il bastone da passeggio stretto in pugno, al posto delle antiche spade guerrieri, ed i capelli scompigliati al vento. Quale fantastica vista sopra l’incontrollabile potere della natura! Chi non avrebbe voluto essere al suo posto, Romanticamente trasfigurato dalle circostanze? Da lì questo l’irrequieto desiderio di partire, raggiungere i luoghi più alti e porsi al di sopra di colui che non ha voglia, né coraggio di provare. Wanderlust: ciò che un tempo era il privilegio dei potenti, ma che oggi, grazie agli avanzamenti tecnologici e culturali, è diventato un sacrosanto diritto di noi tutti, incluse le studentesse indiante in visita presso il vasto mare d’Irlanda.  Il che non vuol dire, del resto, che sia il caso di ignorare le comuni norme del buon senso.

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Streghe resuscitate e spiriti del fuoco della notte

La Bruja

Dicono che l’Inferno sia soltanto un luogo e che compiendo buone azioni, con intento o spirito devoto al mondo, si possa riuscire ad evitare di finirci dentro. Ebbene, in verità le dico: beato chi ci crede. La dimensione del possibile terrore occupa precise coordinate su degli assi cartesiani, alla stessa maniera in cui può farlo un sentimento, il ricordo di un giorno ormai lontano. Poiché basta un attimo di distrazione, l’allentamento momentaneo delle proprie difese psichiche, per far scivolare innanzi il rotolante macigno delle catacombe, verso cui non resta che gridare, finché sopraggiunge la follia. Si, piacere mio. Victor Von Vorpalkrauserstein, cacciatore d’incubi, perforatore dei cuori polverosi nelle antiche bare, scioglitore delle rare ragnatele tra le dimensioni. Di certo avrà sentito parlare di me, altrimenti, ah! Non sarebbe qui. Spero che il mastino che si manifesta negli ombrosi pomeriggi della mia tenute non le abbia morso le caviglie. Jeff è un tipo a modo, basta fornirgli a giorni alterni un femore umano da sgranocchiare. Oh, oh, oh. Sto scherzando, naturalmente. Jeff non mangia…Cose…Morte.
Dunque, mi sembra che per telefono si stesse parlando di un evento ectoplasmico di classe due. O mi sbaglio? Niente affatto. Ecco, una “bambina” pressappoco e tanto per parlare per metafore. Ridicola astrazione. È chiaro che un’esemplare giovane appartenente alla razza di vo-ah-EHM, noialtri non abbia ragioni per vagare solitaria nella notte della brughiera inglese, presso Blackburn nel Lancashire. A meno, naturalmente, che non si fosse persa o che facesse parte di una troupe televisiva, impegnata nella realizzazione dell’ultimo reality per pinzilloccheri e merletti, la gioiosa presa in giro delle aspettative pubbliche o del senso comune. Molto, molto divertente. Pensi che una volta conoscevo una simpatica signora della vecchia guardia, la quale addirittura: ottantasette anni, due bypass, ma l’avesse vista! Ancora si svegliava tutti i fine settimana alle 6:30, per andare a correre sui campi da golf vicino casa sua. Ebbene un giorno, per farle uno “scherzo” suo nipote si è vestito con la pelle di un alligatore. E uscendo all’improvviso dalla trappola di sabbia, gli ha fatto: “BUH”. Si, proprio così…. Conoscevo una signora, finché l’ombra oscura della fine, temporaneamente manifesta tra gli alberi decidui, non ha posto fine alla sua lunga vita senza-scaglie né speranze di rivalsa. Certi scherzi tendono a evocare le creature con gli spiriti del male, agevolando la pericolosa progressione degli eventi. Non si può dire che esista, in questo cupo mondo, un solo fiabesco lupo in grado di resistere alla tentazione di lasciare il segno, soprattutto su chi chiama impunemente la sua orribile presenza. E come dicevamo, la bambina. Di certo lei potrà capire: mestieri simili al mio tendono a cambiare per l’impatto del progresso tecnologico. Per esempio, il mio celebre antenato Vilnius Vorpalkrauserstein, sulle prime battute di una richiesta d’assistenza come la sua, avrebbe già iniziato a oliare la preziosa lancia-sega delle anime tramandata per secoli di padre in figlio nella famiglia. Strumento che oggi, se vuole, lei può facilmente ammirare alle mie spalle, all’interno della bacheca che si trova a 1,70 m da terra alle mie spalle, proprio accanto all’orologio d’ambra e dragonite iridescente. Pensi che secondo la leggenda, certi fantasmi impallidivano alla semplice vista di un tale implemento benedetto, dissolvendosi in una nube carica di pestilenze. Si, capisco. No, non sto parlando di quello che IO, consiglio in questo caso. Ma se vuole…D’accordo, come non detto. Ecco, la pistola con proiettili d’argento, pure quella può servire! Però ancora più utile, per chi percorre quotidianamente il sentiero del sovrannaturale, è un rapido giro esplorativo tra le pieghe del mondo digitale, lo scaricamento di qualche decina, dozzina, cinquantina di sequenze video da YouTube, per costituire un repertorio di esperienze pregresse, onde comprendere quando usare il pugno di ferro, oppure quello di velluto. Ma veniamo-al-punto: la strega di Blackburn, in effetti, si era già resa manifesta, verso il mese di gennaio, come ampiamente documentato sui siti dei giornali di zona. All’epoca l’evento fu scartato come un semplice scherzo studentesco ad opera dei frequentatore della vicina università, proprio così. Però dunque, lasci che le racconti del mio ultimo lavoro, appena completato in quel di Chita, proprio sopra la Mongolia, verso le propaggini più orientali della vasta Russia senza fine…

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