I mostri anamorfici di Nagai Hideyuki

Nagai Hideyuki 1

La vista è un senso facile da ingannare, che può nascondere tra luci ed ombre le più recondite verità. Annusare significa trovarsi vicino, udire suggerisce l’idea di presenza o comunicazione, gustare permette di assumere in se l’essenza delle cose… Toccare con mano, più di ogni altro gesto, è la prova di fatto che annienta ogni effimera illusione. Ma basta una superficie bidimensionale, valorizzata da linee e colori disposti nel modo giusto, per creare un mondo alternativo, completamente separato dalle realtà fisiche dell’ambiente in cui ci muoviamo. L’opera di questo artista non esprime la sua originalità unicamente nella scelta del soggetto. Perché Nagai Hideyuki disegna i mostri come se fosse uno di loro: creando occulti e mistici miraggi. La rassicurante barriera del foglio di carta, concettualmente insuperabile, nelle sue creazioni appare tuttavia estremamente debole e sottile, quasi insufficiente. Si tratta di illusioni anamorfiche (ne abbiamo già parlato) ovvero impossibilità grafiche che assumono la propria vera forma unicamente se osservate dal punto giusto. Solo che stavolta sembrano uscite da un romanzo del fantastico di H.P. Lovecraft. Intellettualmente pericolose e per questo, più di ogni altro aspetto, affascinanti.

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La sfortunata fuga dell’improbabile uomo zebra

Tama Zoo Zebra

Gli impiegati del Tama-Zoo di Hino, a Tokyo, si addestrano con rigore militare e senso di responsabilità a fronteggiare ogni emergenza, anche le meno comuni. Come la necessità di ricatturare una zebra fuggita dal suo recinto, in seguito a un terremoto, che corre senza controllo per le strade minacciando di travolgere o scalciare gli scossi e impreparati visitatori. Ma poiché simulare con pieno realismo tale eventualità, di fatto, non potrebbe prescindere dal verificarsi di un qualcosa di non troppo distante dall’emergenza stessa (cosa potrebbero mai usare? Cavalli addestrati o…?) L’ultimo giovane guardiano assunto dal parco zoologico viene camuffato per l’occasione con un costume a strisce degno del personaggio dei cartoon Marty la Zebra, ricevendo il compito non facile di dar vita recitativa allo sfortunato animale. Ciò causa il verificarsi alcune imprecisioni: innanzitutto, la risultante creatura assomiglia più a un essere mannaro bipede lievemente ubriaco. Poi, problema non indifferente, incorre nel rischio di essere scambiata, per via del suo muso equino su corpo vagamente umano, per uno dei famosi disturbatori di matrice internettiana che, acquistata online l’iconica maschera in lattice da cavallo, talvolta costituiscono la frangia più scherzosa e innocua del movimento Anonymous.

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L’artista giapponese che crea immagini dalla scrittura

Kaoru Akagawa

L’arte digitale ci ha insegnato che tutte le immagini presentano un aspetto imprescindibile e costante: la scomponibilità. Le rappresentazioni visuali di ogni tipo, infatti, possono venire suddivise in parti sempre più piccole e per nulla indipendenti. Settori, dettagli, puntini e infine pixel, la loro frazione minima e più indivisibile; ciò che potrebbe definirsi l’atomo della grafica, almeno quando s’impieghi il microscopio di un PC. Kaoru Akagawa sfida questa definizione con la sua particolare versione della pittura tradizionale giapponese, in cui le figure vengono assemblate gradualmente non più da singole frazioni prive di significato, ma con sequenze di lettere e parole della sua lingua; il metodo prevede sostanzialmente file verticali dell’alfabeto hiragana, disposte ad arte e dal tratto più o meno spesso a seconda dei casi, in grado di comporre mediante l’impiego esperto della loro forma naturale le linee riconoscibili di fiumi, foglie, strade… Persino la famosa grande onda di Hokusai. Si tratta della più originale unione tra antiche tradizioni e sensibilità moderna. Lo stile inconfondibile dello shodō che incontra quello dell’arte figurativa, usati insieme per creare ciò che lei stessa definisce sul suo sito, con un neologismo multilingua, Kana de l’Art. O per usare il nome del canale di YouTube che ospita il video, vera e propria avant-garde.
Un tipo di creazione che, a mio parere, si potrebbe giungere a identificare come una più meritevole ASCII art, la procedura informatica diventata celebre agli albori di Internet, che si usa per creare immagini con le sole lettere della tastiera. Ma trasferita totalmente in un mondo fisico e tangibile, fatto di inchiostro, pennello e un singolare quanto affascinante talento individuale.

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Le buffe reazioni a catena di una serie TV giapponese

Pitagora Switch

La semplice gravità, per sua natura, non sembrerebbe appartenere all’ambito delle forze più creative e imprevedibili. Una sfera su uno scivolo cadrà inevitabilmente verso il basso, il pendolo continuerà la sua oscillazione per un tempo tutt’altro che infinito, i pezzi del domino messi in fila, disposti per la loro tipica caduta controllata, si sdraieranno sempre sullo stesso lato. O almeno questo è ciò che avviene in assenza di un secondo ingrediente: l’ingegno. Perché è pur sempre possibile cambiare lo stato di partenza, creare un’ambiente speciale in cui la fisica della materia venga mediata da fantasia e voglia di divertirsi. Per usare il termine statunitense, una macchina di Rube Goldberg. L’incredibile e mai codificata invenzione che dall’apparente disordine esegue compiti precisi e funzionali…benché preferibilmente inutili. Come far comparire improvvisamente, da un qualcosa d’ineffabile, il titolo di questo programma della TV giapponese, PitagoraSwitch. Si tratta di una serie in onda dal 2002, con episodi della durata di 15 minuti. Una trasmissione che utilizzando questi divertenti sketch, inframezzati da dialoghi tra buffi e colorati personaggi, ha lo scopo di far conoscere ai bambini le scienze dei fenomeni e degli esperimenti razionali.

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