Con questo pallet, la strada sarà solo mia

Tomas Moravec

Sono in ritardo, disse l’uomo. E trovò il modo nuovo di affrettarsi: il rettangolo di legno largo 1200 x 800 mm (misura standard) modificato con delle metalliche ruotine, larghe appena il giusto perché potessero transitare lungo le linee dei tram di Bratislava, in Slovakia. Lo chiamavano il bancale. Come uno skateboard, ma più largo. Pare un gommone, però fatto per l’asfalto. Sollevato da terra di un altezza di 144 mm, con una serie di piedi laterali che lo rendono, concettualmente, affine all’hovercraft col suo cuscino d’aria. Un attrezzo normalmente usato per spedire, che invece qui diventa un mezzo di trasporto per andare (spediti) senza motore o altri ausili di ulteriore brio, che la discesa, il peso e l’intenzione dell’artista: lui è Tomáš Moravec, nato nel 1985 a Praga. Che qui ci dimostra, nell’opera appropriatamente intitolata pallet, dal nome inglese dell’oggetto, un’utile implicazione delle misure standard, disponibile soltanto quando si ha il coraggio, straordinario, di evidenziare le strane corrispondenze tra le cose. Tutti possono infilare una cosa tonda, vedi ad esempio un pennarello, dentro al combaciante buco circolare. Nessuno riuscirebbe a farlo, invece, se quest’ultimo fosse quadrato. Ma che dire della via di mezzo, di un pertugio romboidale? Dove lo strumento metaforico, quell’oggetto colorato e scrivente, potesse entrare facilmente, con soltanto il rischio di incastrarsi…Ciò è in effetti il punto, in questo caso slovacco, di rotaie distanziate, tra di loro, giusto un metro, contro il metro e 435 millimetri della Praga natìa dell’utilizzatore; tentazione troppo grande. Tranne che l’eventuale blocco improvviso, del bancale che correva su rotaie, avrebbe avuto conseguenze alquanto più nefaste. Chi lo sa! A lungo ci aveva pensato, forse vagando per l’Europa, finché non gli è riuscito di trovare un luogo adatto al suo esperimento, questo centro urbano dalla lunga storia e il ricco patrimonio artistico, tra le maggiori capitali mitteleuropee. E adesso eccolo lì. Mentre scivola per le strade di Petržalka, lungo il Danubio, verso le antiche mura dello Staré Mesto, il centro storico di Bratislava. Lo sguardo è fisso, la posizione composta. Il contegno quello tipico di un supereroe dei nostri tempi. Grossomodo.
Perché il concetto è non soltanto interessante, dal punto di vista visuale, ma anche utile in potenza. Fu subito dopo la seconda guerra mondiale che gli spedizionieri civili, avendo osservato le pratiche dell’aviazione militare, scoprirono le implicazioni pratiche del mantenere il carico sempre sollevato dal terreno. Non solo per proteggerlo da eventuali infiltrazioni d’acqua nell’area del magazzino, bensì soprattutto affinché la forca del muletto, l’essenziale mezzo di trasporto e spostamento della nostra epoca moderna, potesse facilmente penetrare quel miracoloso spazio vuoto, ricavato dalle intercapedini del legno fumigato. Un pallet come questi, non lo getti mai via. Sarebbe un sacrilegio! Eppure una volta ricevuta la spedizione, se non ne hai una di ritorno, cosa mai potresti farci… se non diventare TU il carico…

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L’unico rimorchio con la casa dentro

Conqueror UEV 440

Casa vuole dire meccanismi. Utili, come il forno, il frigorifero, il climatizzatore. Dannosi, qualche volta: la schematica ripetizione delle piccole incombenze necessarie, far la spesa, far di conto, far la lavatrice. Questo continuo incasellar le ore in pratici pacchetti preconfezionati. La mente, purtroppo, incapsula le cose. 7:30 suona la sveglia e se non suona…Potresti anche decidere di andare via. Verso dove, non si sa. Il vero viaggio è l’avventura che distrugge il quotidiano, una fatica, la sfida contro i presupposti dell’urbana tradizione. Non soltanto aprir la porta su dintorni nuovi, dalla pratica ed accessoriata camera di un pregevole resort. In questo gesto catartico, come inevitabilmente avviene, ci sono gradi differenti di difficoltà.
Conqueror Australia produce un “sistema di fuga cittadina” dicesi UEV, che potrebbe definirsi la suprema gemma tecnologica di questo ambiente. Il Sacro Graal di un mondo in viaggio, fatto di giovani ed anziani, ingiustamente messo alla berlina nei programmi motoristici, come l’implacabile Top Gear. Questo non è un caravan che possa bloccare il sorpasso, o che ostruisca i punti di passaggio nelle strade a due corsie. Ne rallenta eccessivamente il suo veicolo da traino, visto il peso complessivo, relativamente contenuto, di una tonnellata o poco più. Qui si parla di un vero rimorchio fuoristrada: sistema scheletrico in acciaio rinforzato, resistente agli urti ed alla polvere del deserto. Con prese d’aria pressurizzate. Per non parlare delle sospensioni con massicce molle elicoidali, o del sistema frenante a controllo elettronico istantaneo, di molto superiore alle sue precedenti alternative idrauliche, troppo imperfette per farne tali usi spregiudicati. Questo arnese può piombare giù da una collina ripida e scoscesa, dritto dentro a un lago, poi riemergere perfettamente asciutto. Dove veramente conta. Ovvero nella parte interna, piena di sorprese ultra-moderne. Cambiare le cose per svegliarsi, qualche volta, vuole dire percepirle in modo nuovo. In altre mirabili alternative, invece, basta trovare il modo di portarle via con se.
Nelle verdeggianti profondità della Foresta Nera, tra pini e abeti centenari, la natura ti avvolge come un manto. Sovrastati dai soffitti merlettati, da festoni vegetali e invisibili visitatori canterini, ci si lascia indietro il quibus della vita cittadina, assieme ai suoi problemi e ai benefìci, troppo dati per scontati. Niente bagno, questo no. E neanche Internet, a meno di disporre dell’antenna con parabola satellitare. Ma dietro il SUV di marca, saldamente unito con un traino dotato di protezione anti-detriti, l’ultimo modello della serie rilevante, l’UEV-440, nel video tanto riccamente lusingato. Giungere nella radura, sgranchirsi un po’ le gambe. Questo gesto, alla fine, non è che l’inizio.

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Come trasportare 30.000 tonnellate

Dockwise Blue Marlin

Quando abbocca un gigantesco tonno pinne blu, tra le alte onde dell’Atlantico del Nord, i pescatori fanno festa pregustando un facile guadagno. Con ottime ragioni: questo pesce è l’argentovivo dei migliori sushi-bar, che fin dagli anni ’60 hanno preso a prediligerlo fra le diverse alternative. Vale una fortuna! Penseranno, riavvolgendo freneticamente il mulinello. E se invece il galleggiante al traino della loro imbarcazione, persa nel tramonto del Mar Ligure, dovesse muoversi soltanto un poco e senza convinzione, allora già sapranno che si tratta della spigola, un pesce poco combattivo e diffidente. Fondamento, ad ogni modo, di parecchi piatti prelibati. Pian pianino, per non farla spaventare, agiteranno ad elica la loro esca, per poi strattonarla, d’improvviso, con la forza di un tirannosauro sanguinario. Ma nelle fasce tropicali degli Oceani  Indiano e del Pacifico, come pure nei Caraibi, talvolta, può spuntare fuori il marlin blu, santo Graal degli sportivi con la canna.
Questo particolare omonimo del combattente pinnuto raccontato da Hemingway ne “Il vecchio e il mare” è lungo 206 imponenti metri, però può immergersi per 13, soltanto. Non è un pesce ma un nave, e per inciso, di un tipo assai particolare. Ha 2712 BHP di forza propulsiva, che usa a ritmo sostenuto, senza fare soste, mentre migra dalla Cina fino al porto della suggestiva Rotterdam, patria della filarmonica d’Olanda. Per portare a compimento la consegna, al ritmo degli ottoni e delle viole, di tre pontoni galleggianti e di ben diciotto chiatte, pensate apposta per i fiumi dell’Europa. Ma fabbricate all’altra parte del Capo di Buona Speranza, che un tempo mieteva vittime tra i più possenti galeoni. Vecchi ricordi, oramai. Merito della moderna ingegneria, come pure della visione di chi mette in acqua cose come queste: la compagnia Dockwise delle Bermuda, il cui motto è: “Creare valore, realizzando l’inconcepibile.” Una missione niente affatto facile. Adatta, dunque, per la classe di navi da trasporto semi-sommergibili dal nome di MV Marlin, disponibili in due colori – la nera e la blu. Quest’ultima, che compare nel presente video, risalente al 2012, non fa che dimostrare i meriti della paziente tartaruga…

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L’utilità del cingolo motorizzato a batteria

Mtt track

Il mezzo di trasporto creato dal canadese Yvon Martel, invenzione concettualmente semplice quanto geniale, può fare veramente molte cose. È come un mini-carro armato, grossomodo, oppure come un gatto delle nevi. Fluttua sopra la neve con la leggiadria di un muflone norvegese in primavera, però resta silenzioso quanto un alce in autunno, quieto dopo la stagione degli accoppiamenti. Veicolo compatto, relativamente leggero, risulta (quasi) semplice da caricare nel portabagagli di un’automobile di medie dimensioni. Se vuoi lo porti ovunque, pure per le scale. Trascina legna, pietre, cose, acqua, pietre, persone, alcune volte tutte assieme, su e giù per i pendii delle taighe subartiche o foreste boreali del Quebec. Non deve mai fare benzina, perché funziona a batteria. Ci attacchi il trapano, la sega e la trivella elettrica per bucare il ghiaccio di un lago d’inverno, due minuti prima di metterti a pescare. Giunta l’ora della ricreazione, si trasforma in un divertimento niente affatto male, soprattutto se ci attacchi bagnarole nere plasticose. L’estate, quando non serve, messo in piedi nel garage, ti occuperà due metri cubi scarsi. Verrebbe voglia di andare a trasferirsi sulla neve, non fosse che…Questo potenziale fulmine di guerra non è ancora in vendita al concessionario. Manca ancora una grande compagnia che si faccia avanti, con una proposta valida ad aggiudicarsi l’esclusiva. Il punto forte dell’MTT-136, acronimo della dicitura My Track Technology, è proprio questa straordinaria versatilità. Oltre ad un’invidiabile facilità d’impiego. Si guida con le inclinazioni del corpo, appoggiandosi a un manubrio. È anche possibile usarlo per spostarsi direttamente con gli sci, praticamente al posto della classica una muta di cani. Se dovesse interessarvi finanziarlo, c’è il brevetto disponibile sul servizio Google Patents.
Quando si considera la maggior parte dei moderni mezzi di trasporto elettrici, a una o più ruote, ci si rende conto che se pure nacquero con ampli orizzonti, i propri limiti li hanno trovati nel tempo. Il Segway, mezzo urbano per assolutissima eccellenza, doveva fare molte cose: viaggiare da un capo all’altro di affollati centri abitati, monopolizzare chilometriche piste ciclabili, sostituire l’automobile e lo scooter… Ma a conti fatti non si può reinventare la mobilità di un popolo a vantaggio di pochi compratori di un singolo dispositivo, specialmente quando tanto nuovo nell’approccio. Le strutture sono quelle, gli spazi niente affatto definiti e l’abilità di guida latita, suo malgrado…

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