La forma fisica di Longcat ci ha lasciati: Internet piange l’Altissimo felino

Come i venti di Saturno, flussi d’energia percorrono le strade alterne della Terra, tracciando strisce simili al disegno di una tigre tra l’erba. Qualche volta quindi, se le condizioni sono giuste come capita una volta ogni 6283 anni, essi convergono a formare l’occhio di una candida tempesta. L’arcana genesi che imposta, nella sua forma priméva, le ragioni stesse d’una fine incombente: Catnarok, è il momento di cui parlo, e con ciò l’araldo di una tale fase in mezzo agli uomini, l’eroe memetico di un’Internet ormai cambiata, il gatto-lungo Longcat. Antico più di Facebook, Twitter, Instagram e Whatsapp stessi, forgiato tra le scure pagine di un tempo in cui “postare qualcosa” significava caricare l’immagine su MySpace, e che ritorna nelle cronache a distanza di 16 anni dall’acquisizione della fama imperitura per l’inevitabile triste notizia. A darcela, “La regina senza corona Kochi” (無冠の女王みーこ@高知 – Mukan no jyomiko Kochi) ovvero colei che qualche tempo fa si era presentata al mondo come la padrona giapponese del gatto, disperdendo le nubi di un mistero durato una decade e mezzo: raggiunta l’età veneranda di 18 anni, decisamente rispettabile per un felino domestico, l’amato animale che aveva il nome terreno di Shiro (白 – bianco) si è ammalato improvvisamente e nonostante la corsa dal veterinario, verso le tarde ore del pomeriggio è purtroppo passato a miglior vita. Spalancando la porta dei ricordi assieme a una fondamentale incertezza: che cosa sarà, adesso, dell’antico popolo dei Lulz?
Volendo analizzare il fenomeno Longcat con occhio critico, tentando in qualche modo di risalire fino alle sue instabili radici, è impossibile non fare un parallelo con altri gatti diventati celebri su Internet, come ad esempio il leonino colonnello Meow, l’arrabbiato Grumpy Cat o Fatso-alias-Keyboard Cat, il gatto sovrappeso che veniva fatto “suonare” il pianoforte elettronico grazie a un singolare trucco scenografico di Charlie Schmidt, in quel di Spokane. Ciò che fondamentalmente differenzia la più insensata e longilinea macro degli albori, tuttavia, è proprio il suo non conformarsi al concetto odierno di celebrità a tutti i costi, dato il sostanziale esistere per molto tempo in maniera totalmente separata dalle branche del marketing, merchandising e ogni altra forma di commercializzazione, nella maniera in cui soltanto Internet riusciva ad essere, prima dell’invenzione del concetto stesso di Social Network. Senza mai trovare l’identità, in effetti, di un gatto reale semplicemente perché tutti pensavano che neppure esistesse, essendo piuttosto il frutto di un fotomontaggio oppure in forma ancora più fittizia, il semplice disegno collaborativo di una serie di Anon(-imi) alla ricerca di un qualcosa che potesse sopravvivere alla natura transitoria dei loro post. Longcat ebbe successo fin da subito proprio perché si configurava, nella sua inerente verticalità, come un formato assolutamente perfetto per il web: perché le immagini della grande bulletin board nipponica 2ch.net, dove si ritiene abbia avuto origine, così come quelle di 4chan e le altre versioni occidentali coéve, non venivano ancora tagliate o rimpicciolite dai sofisticati script informatici dei nostri giorni. Per cui scorrendo verso il basso gli ultimi post, la testa del gatto compariva all’improvviso ma nessuno sapeva, in effetti, in che momento sarebbe riuscito a farlo anche la coda, né cosa avrebbe trovato posto tra questi due punti. Gradualmente e inesorabilmente, come sempre capita per i fenomeni comunitari autogestiti, la lunghezza di Longcat continuò quindi ad aumentare. E così le storie fatte circolare sul suo conto, nella versione testuale delle fissazioni memetiche del Web, chiamata convenzionalmente copypasta. E fu allora che la situazione iniziò a diventare “leggermente” più complicata…

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Elementare, Internet: non è una lavatrice per foche

L’avrete forse visto negli ultimi giorni, data l’alta circolazione sui social network, nei blog di settori e le innumerevoli copie caricate su YouTube, Instagram e altrove. Il video di appena 15 secondi in cui un pinnipede, chiaramente appartenente alla specie Phoca vitulina (o foca comune) sembra volare magicamente all’interno di un grosso anello immerso parzialmente in una piscina, in realtà definito nel titolo stesso come uno speciale passaggio pieno d’acqua molto trasparente, costruito “da qualcuno nel suo giardino”. Questo nonostante sul fondale siano visibili dei grandi edifici, difficilmente riconducibili a quella che potremmo scegliere di definire una sfera di tipo privato. Il che costituisce, ancora una volta, un significativo fraintendimento, laddove l’effettiva provenienza della scena è facilmente collocale, grazie ai numerosi materiali promozionali che ne raffigurano l’elemento centrale, fino al parco acquatico marittimo di Noboribetsu, situato nella parte meridionale della fredda isola giapponese di Hokkaido.
Potente riesce ad essere, nei campi della pubblicità e delle relazioni pubbliche, l’effetto di un gioco di parole degno di questo nome. E non ci sono dubbi che il termine zenigata, normalmente usato per riferirsi a un certo tipo di moneta giapponese dell’epoca pre-moderna con il buco in mezzo, risuoni familiare anche in Italia, a causa del suo impiego come nome del famoso poliziotto e antagonista della “buona” canaglia dei cartoni animati Lupin III. Il che non può costituire certo un caso, data l’eminente omonimia con il suo celebre collega di un’epoca distante. Quello stesso Zenigata Heiji (銭形 平次) protagonista d’innumerevoli romanzi, serie tv e film, che era solito catturare i ladri nella città di Edo impiegando l’abile lancio di quelle pesanti e formidabili monete, trasformate per l’occasione in proiettili precisi come quelli di un arma non-letale delle forze dell’ordine di epoca contemporanea. Ma del tutto identico è anche il nome utilizzato nella lingua corrente giapponese per riferirsi all’animale del nostro video virale, chiamato per l’appunto in patria d’adozione zenigatāzarashi (銭形海豹) causa la presenza sul suo manto vellutato di un alto numero di macchie a forma d’anello, per quella che potremmo chiamare una loro arbitraria quanto accidentale somiglianza nei confronti delle tradizionali monete di quel paese. Quale miglior trovata, detto questo, che mettere nel corso dell’orario d’apertura certi esemplari del comparto zoologico del parco all’interno di una così speciale piscina/palcoscenico, chiamata per l’appunto nella comunicazione in lingua inglese [The] Sealing Pool? Affinché potessero essere ammirati da un pubblico perennemente armato di cellulare-cum-cinepresa, verso l’ottenimento di una diffusione sistematica nella percezione fortemente globalizzata di un’Era.
La piscina con moneta “fluttuante”, di suo conto, non è che un singolo elemento degno di nota all’interno dell’ampio catalogo offerto dal parco, dominato dall’improbabile riproduzione 1:1 del castello danese di Egeskov, famoso anche per la quotidiana parata dei pinguini e lo spettacolo unico al mondo della vasca della Via Lattea, che ospita migliaia di sardine illuminate ad arte con bagliori cangianti, al fine di rassomigliare alla visione onirica di un sogno cosmico senza tempo. Come conseguenza di un’inclinazione non soltanto creativa, ma anche tecnicamente competente dello staff del parco, fortemente apprezzabile nelle implicazioni più profonde di quel brevissimo spezzone che ci ha consentito di conoscerne l’esistenza…

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Il regno artropode della Preistoria conservato sotto il suolo della Romania

Appiattita dalla catalogazione orizzontale di Internet, ogni tipo di sequenza cronologica tende a passare in secondo piano: così la notizia fotografata e riportata sui social recita: “Ritrovata caverna vecchia di 5,5 milioni di anni con quasi 50 specie animali sconosciute alla scienza.” Subito seguìta dal commento cupamente umoristico: “Gente, richiudetela immediatamente. Questo NON è l’anno adatto!” E come dargli torto? Ma vediamo anche stavolta, per onor di cronaca, di creare l’ordine dal caos ridefinendo il labile confine tra realtà e fantasia. La grotta in questione, situata nella regione rumena di Costanza sulle coste del Mar Nero, è un effettivo ritrovamento accidentale a seguito di un sondaggio speleologico di prospezione mineraria durante la dittatura comunista di Ceaușescu, sottoposto presto ad approfonditi studi e valido a cambiare alcuni basilari presupposti sulla nascita e l’evoluzione della vita. La sua scoperta, tuttavia, risale al remoto 1986 e senza alcun recente nuovo sviluppo, in questa turbolenta prima metà dell’anno 2020, salvo il carosello tipico dei tentativi reiterati di chi tenti di aumentare il proprio numero di clicks. Ciò detto, l’esistenza stessa di questo network di gallerie noto al mondo con il nome di Movile costituisce di per se un fatto tanto importante per la storia in essere delle scienze biologiche da poter cogliere in un simile frangente l’opportunità rara, e preziosa, di approfondirne (letteralmente) ogni sepolta nozione, recuperando cupe consapevolezze su qual sia l’origine di tutto e assai probabilmente, anche il nostro remoto futuro.
La prima esplorazione di questo arcano luogo viene collegata normalmente alla figura eclettica dello scienziato e speleologo Dr. Cristian Lascu, recatosi sul posto col suo team dell’Università di Bucarest per l’opportunità di annotare per la prima volta alcune delle più improbabili diramazioni sotterranee dell’albero della vita. Come narrano le cronache e i successivi rilevamenti, delle non più di 100 persone abbastanza folli o coraggiose da inoltrarsi lì sotto nel corso degli ultimi 34 anni, Movile è un crogiolo di circostanze ecologiche tanto estreme ed improbabili da poter essere paragonato all’ambiente di un diverso pianeta. Oltre una discesa verticale con la corda di circa 20 metri e superato un primo ambiente quasi anaerobico fatto di pertugi angusti e serpeggianti, l’esploratore con equipaggiamento per immersioni si ritroverà infatti ad accedere al livello più profondo, completamente occupato da un lago sulfureo e maleodorante. All’interno del quale brulica la più improbabile, nonché inerentemente misteriosa, collezione di pallide creature. Tutte prive di occhi e perfettamente adattate a vivere nel buio eterno, principalmente appartenenti alla classe degli aracnidi, benché non manchino isopodi, coleotteri, vermi nematodi e gasteropodi. Lumache scivolano sulle pareti, dunque, mentre i ragni costruiscono sottili tele, mirate non a catturare mosche inesistenti bensì collemboli saltatori, insetti noti con il nome anglofono di springtails. Altrove sanguisughe dall’aspetto alieno si affollano presso le poche sacche d’aria sotto il soffitto a volta della caverna, dove cacciano i vulnerabili vermi di terra, finiti erroneamente in questo inferno dalle circostanze tenebrose. Mentre l’uomo, inconsapevole, s’interroga sulle ragioni della loro esistenza…

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Ma la Cina ha davvero inviato 100.000 anatre guerriere contro le locuste pakistane?

Un antico modo di dire cinese recita, all’indirizzo del proprio nemico, la terribile maledizione: “…Che tu possa vivere in un’epoca DAVVERO interessante” e non ci sono dubbi che volendo analizzare questo inizio di 2020, l’attuale situazione umana sia perfettamente in linea con un simile anatema. Abbiamo già avuto, nell’ordine: prove tecniche di guerra mondiale, la peggiore pandemia degli ultimi 100 anni, capace a sua volta d’inasprire la latente crisi dell’economia globale, un principino che ha lasciato la famiglia reale (tipico stereotipo delle profezie di Nostradamus) e la cosa più vicina a un’invasione aliena che sia lecito aspettarsi nel procedere insicuro della storia. Già, 400 miliardi di locuste, le creature che dal nulla sorgono per cavalcare i venti, con inenarrabile irruenza, minacciando di fagocitare ogni risorsa agricola sul passo della loro meridiana. Così che all’inizio della settimana scorsa non furono in pochi a sollevare un sopracciglio, leggendo l’apparentemente improbabile notizia che la Terra di Mezzo, proprio quel paese ove ogni fibra del destino parrebbe intenta a convergere, stava per schierare un intero esercito a vantaggio del proprio vicino il Pakistan, attualmente minacciato dalla più probabile e devastante crisi alimentare a memoria d’uomo. Un’armata composta, tuttavia, non da uomini e i loro bagagli, bensì il più implacabile prodotto dell’evoluzione insettivora: l’anatra di Pechino, in numero di 100.000, schiera dopo schiera di candide divoratrici, pronte a fare scempio, in linea di principio, delle insettili divoratrici/saltatrici. Un’idea non soltanto già utilizzata, a quanto pare con successo (nel 2000 per contrastare uno sciame che si era formato nella regione autonoma dello Xinjiang Uygur) ma capace d’incarnare ogni possibile vantaggio ragionevole dettato dalle circostanze: la anatre sono infatti mansuete, gregarie e quindi facili da controllare, estremamente voraci con la loro capacità di fagocitare 200/250 locuste al giorno ciascuna e soprattutto valide a esser convertite in ottimo cibo, a loro volta commestibile, una volta che la crisi sarà stata finalmente risolta. Nell’esecuzione del progetto delineato, secondo la prima versione irradiatosi a ondate memetiche a partire dal notiziario serale della Ningbo Tv, da una speciale task force costituita dal governo cinese al fine di elaborare metodi preventivi all’ulteriore diffusione di quella che potrebbe costituire, in ultima analisi, la più grave catastrofe del corrente, memorabile inizio d’anno bisestile. Un metodo tradizionale secondo quanto riportato dallo stesso capo dell’operazione Wang Fengle, già utilizzato al fine di annientare passati episodi verificatosi all’interno dei confini del suo stesso paese e che proprio per questo, nell’opinione pubblica fatta patriotticamente rimbalzare da un’angolo all’altro del social network Weibo, sembrava aver colpito in maniera significativa l’immaginazione dell’intero popolo d’internauti cinesi, permettendo, presumibilmente, ai pakistani di tirare un ragionevole respiro di sollievo. A meno finché a qualcuno, nel giro di una ragionevole manciata di giorni, non è venuto in mente di mettere in fila una ragionevole serie d’osservazioni…

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