Lo spirito della sopravvivenza ecologica è la risultanza di una serie di parametri ambientali, posti in relazione con le caratteristiche biologiche degli animali, da cui derivano percentuali di sopravvivenza rilevanti per determinare l’andamento dell’evoluzione. Immaginate ora di essere in possesso, come specie, di una serie di caratteristiche capaci d’influenzare l’inerente correlazione di tali parametri, determinando possibilità d’accesso a luoghi totalmente inaccessibili alla maggior parte dei più pericolosi nemici o concorrenti. Luoghi come un antico e vasto bacino idrico, all’ombra di un vulcano, tanto alcalino e salato per il contenuto delle precipitazioni in essere da risultare corrosivo per la pelle, gli occhi ed ogni altra parte anatomica di ogni possibile visitatore. Fatta eccezione per gli uccelli che al di sotto di quei flutti pescano, col becco nero e ricurvo, generose quantità di alghe cianobatteriche dal vermiglio pigmento. Così come rossa è l’acqua del lago Natron in Tasmania, che ne è colmo fino ai limiti, e rosa i suo principali abitanti, tutti rigorosamente occasionali, che qui giungono regolarmente durante la stagione secca per deporre il singolo grande uovo bianco, sopra le isole sicure degli agglomerati d’evaporite salina. Quale miglior modo di assicurarne la schiusa d’altra parte, nelle possibilità a disposizione del tipico fenicottero minore (Phoeniconaias m.) che un fossato invalicabile per iene, licaoni ed altri carnivori di terra, ove coltivare, in vasti assembramenti, la realizzazione della propria discendenza futura. E non è un incidente del destino se alla stima più probabile, è stato determinato come circa il 75% dei nuovi nati di questa specie non particolarmente comune, allo stato attuale, possano far risalire i propri natali a questo particolare paesaggio alieno, unico persino nel variegato e vastissimo paesaggio africano.
Una possibilità massimizzata come dicevamo, piuttosto che inficiata, dalla limitata biodiversità di questo ambiente, dove l’assenza quasi totale di pesci fatta eccezione per tre appartenenti al genere Tilapia ha favorito la proliferazione nutritiva dei batteri estremofili, tra cui il prevalente Arthrospira platensis noto all’industria dei cosmetici col nome non del tutto corretto di alga spirulina, trattandosi di un procariota del tutto privo di struttura fogliaria. Per cui l’alta quantità della sostanza corrosiva che da il nome al lago, quel natron composto in parti equivalenti di carbonato e bicarbonato di sodio, costituisce una fonte d’energia potenziale tutt’altro che indifferente, capace di permetterne la proliferazione a oltranza, ulteriormente favorita dalla posizione geograficamente remota di questo luogo, distante (per ora) da ogni possibile fonte d’inquinamento o alterazione dei delicati equilibri chimici da parte della mano umana. Mentre con il progressivo aumento delle temperature e conseguente ridursi del livello delle acque, soprattutto durante i mesi estivi, la sopravvivenza dei fenicotteri viene garantita in questo luogo più che in altri, data l’emersione di un maggior numero di siti adatti a nidificare e una concentrazione superiore del brodo vivente che costituisce la parte maggiore della propria dieta. Un idillio il cui futuro, nelle decadi a venire, appare ormai tutt’altro che sicuro, ahimé…
luoghi
Sorseggiando caffè turco nel salotto volante di Hasan Kaval
Si tratta senza dubbio del più classico, magnifico e al tempo stesso terribile dei sogni: fluttuare senza peso tra le nubi, senza rete, senza funi di sicurezza, senz’alcuna sicurezza di riuscire ad atterrare. Tutti l’abbiamo provato, magari in un momento particolarmente stressante della nostra vita ed in un certo senso, tale esperienza è diventata una parte inscindibile del nostro stesso rapporto con la gravità terrestre. Dura del mondo che al tempo stesso sembra imprigionarci e proteggere la nostra stessa esistenza, impedendoci di volar via come se fossimo dei palloncini pieni d’idrogeno o metano. Una presa di coscienza, questa, che tanto spesso conduce alla ribellione.
Così tra aerei e deltaplani, o semplici paracadute, tanto spesso spicca il metodo che avremmo valide ragioni per definire “il perfetto punto d’incontro” tra le alternative. Poiché parapendio significa, nel contempo, poter fare affidamento sulla forza del vento e l’aerodinamica di un qualcosa che non può cadere (salvo casi eccezionali) ma elegantemente fluttua, trasportato come fosse il cuore di una magica mongolfiera. E di aspetti vagamente sovrannaturali ne traspaiono diversi, nella storia raccontata dall’ultima coppia di video dell’istruttore di volo a vela turco Hasan Kaval, diventato famoso improvvisamente la scorsa settimana grazie all’iniziativa di trasformare la sua poltrona rossa in un insolito velivolo, con tanto di lampada, poggiapiedi e televisione (accesa) sintonizzata sui cartoni animati di Tom & Jerry. Episodio, questo, valido ad accaparrarsi tali propositi di fama con i suoi milioni di visualizzazioni online da giustificare il rilascio di un’intervista, possibilmente seduto ad un tavolo e di fronte a un paio di tazzine accompagnate da una scatola di lokum, il tipico dolcetto turco di gelatina ricoperta dallo zucchero a velo. All’interno del suo ufficio, chiaramente, che poi sarebbe l’azzurro tratto di cielo tra la Terra e il Sole a Ölüdeniz, sopra il vasto Mar Mediterraneo che ogni cosa avvolge, in una scatola di un profondo azzurro più splendente di una notte ammantata di stelle. Ecco circostanze, dunque, in cui la stessa persona incaricata di fargli da controparte non poteva certo essere chiunque, così che l’amica o forse studentessa del maestro di parapendio parrebbe tutt’altro che messa a disagio, dall’evidente distanza del paesaggio sottostante ai due, mentre con assoluta ed invidiabile nonchalance allunga il microfono recante il logo “AA” (Air Adventures?) verso l’alto lato del tavolino quadrato, avendo cura di non rovesciare la tiepida bevanda o l’accompagnamento gastronomico di tale insolita situazione. Il che parrebbe sottintendere, al tempo stesso, un qualche tipo di meccanismo magnetico o egualmente certo, affinché il semplice spostamento d’aria implicato dalla progressione durante l’esperienza fluttuante non faccia piovere le suddette cose sopra il pubblico in appassionata attesa, laggiù. Perciò è chiaro, dai molteplici e apprezzabili dettagli, che siam qui di fronte a un vero e proprio professionista…
Foto sporca sulla sommità dell’Everest rivela l’inquietante stato delle cose
La tuta gialla d’ordinanza, il passamontagna con respiratore, gli occhiali scuri per non essere abbagliati dall’energia troppo vicina dell’astro solare. Potrebbe essere chiunque, mentre non è affatto arduo indovinare quale sia, in questa famosa foto dello scalatore canadese Dean Carrere risalente all’estate scorsa, l’effettivo scenario di provenienza. Lo lascia intuire il suo stesso abbigliamento da sport estremi e la pronunciata curvatura della Terra ricoperta da una fitta coltre di nubi, con la sensazione latente di trovarsi in bilico sullo strapiombo più alto immaginabile. Il che non è certo scorretto, visto che si tratta della vetta più distante che sia mai stata toccata da piedi, ciglia e mani umane. E che tale rimarrà, almeno fino allo sbarco su Marte, visto come nulla superi da queste astrali parti gli 8.848 metri del monte Everest, non per niente chiamato comignolo sopra il pinnacolo situato in cima al tetto del mondo. Detto ciò i più perspicaci, ed anche tutti gli altri, non tarderanno certo nel notare una strana qualità variopinta del fondale innanzi a cui si staglia la figura umana, costituito da un letterale ammasso d’oggettistica disordinata, tutt’altro che diverso dall’aspetto di una comune discarica di bassa quota. Ora nell’interpretare correttamente questa foto, in prima battuta, occorre innanzi tutto connotare di una descrizione l’effettivo componente principale dell’accumulo: in realtà nient’altro che le celebri bandiere di preghiera, con l’immagine del Cavallo del Vento, dedicate dalla locale popolazione degli Sherpa alla grande Dea Madre della Montagna. Il che non riesce a costituire del resto altro che il primo strato di quello che è notoriamente uno dei affollati luoghi inaccessibili presenti nelle guide turistiche di alpinisti, esploratori e facoltosi poseur: l’Everest è sporco, a dirla tutta, e nessuno sa realmente quale sia un modo possibile per riportarlo alla sua antica dignità spirituale. Inquinato e carico di spazzatura, a partire dai multipli campi base sulle sue pendici, noti luoghi malfamati e frequentati da truffatori di varia provenienza, nonché circondati da effettive discariche, periodicamente svuotate dagli operatori ecologici deputati dalle autorità nepalesi competenti. Ma è quello che si trova sopra, procedendo verso l’ultima e unica destinazione possibile, che presenta una crescente quantità di problemi. Dove l’uomo passa, in effetti, è inevitabile che restino dei chiari segni della sua preoccupazione rivolta esclusivamente al momento che sta vivendo, come in questo caso bombole vuote di gas e ossigeno, incarti del cibo, stoviglie e attrezzature da scalata ormai giudicate inutili in corso d’opera. Una conclusione tutt’altro che rara per tali oggetti, quando si considera il grado di ridondanza che caratterizza una di queste spedizioni di gruppo, il cui prezzo tende ad aggirarsi tra i 20.000 e 100.000 dollari, a seconda del livello di preparazione dei committenti dell’ennesima scalata. Gli unici finanziatori di una macchina possente, che attraverso le decadi si è rivelata un letterale pilastro economico della regione, per non dire il paese intero. Ma può dirsi veramente sostenibile, anche nell’epoca futura, questo luogo che dovrebbe fare della sua unicità contestuale il punto forte di ogni eventuale visita, mentre lo stato dei fatti correnti è la chiara risultanza di un passaggio ed utilizzo eccessivo, coniugato dalla stessa chiara “maleducazione della gente” che è possibile incontrare pressoché ovunque? Ecco, tutto può essere risolto, in linea di principio…
Il bacio di una strana giostra in bilico sulla città spropositata
Lo stretto vagone sopra cui ci trovavamo aveva appena terminato una vertiginosa curva parabolica, dopo la picchiata ad oltre 40 gradi di pendenza, spostando il mio campo visivo dagli alti palazzi della megalopoli e la ruota panoramica più alta del paese alle verdi pendici del monte Tianchi. E fu così che mentre ci trovavamo all’apice del giro sulle montagne russe “Drago della Giungla” del Luna Park Happy Valley, presso la confluenza del fiume Azzurro ed il Jialing, improvvisamente in cima alla montagna notai… L’oggetto. Per un attimo, mentre tentavo di comprendere una tale vista, non potei fare a meno di trattenere il fiato: due giganteschi manichini, uno azzurro ed il secondo giallo, facilmente identificabile anche dalla distanza come una figura femminile, puntavano le lunghe braccia verso il cielo, fin quasi ad incontrarsi. Al posto della mano di ciascuno, per quanto mi riusciva di distinguere, un vassoio dalla forma conica, non del tutto dissimile da una piccola pagoda. Giusto mentre le montagne russe raggiungevano la fine, e cercavo di voltar lo sguardo per scorgere ancora la bizzarra meraviglia, vidi la mia amica e guida in questo viaggio di scoperta seduta a fianco con la mano davanti alla bocca, tentando di coprire un evidente sorriso. “Hai visto, mio caro? Hanno costruito una statua di noi due!” Quindi con fatica, capii dov’erano finiti; con un sobbalzo improvviso, il primo dei pupazzi ricomparve all’improvviso sopra la linea dell’orizzonte, ruotando vorticosamente su se stesso. La sua impossibile consorte lo seguì da presso.
Immaginate una città vasta quanto l’intera nazione austriaca, con una popolazione pari alla metà di quella dell’Italia. 30 milioni di persone che vivono, respirano, giocano e s’incontrano, a diversi livelli di una struttura urbanistica che sarebbe un’eufemismo definire tentacolare. Di sicuro i partecipanti ad una tale moltitudine avranno già provato tutto, assaggiato di tutto, vissuto qualsivoglia tipo d’emozione. O almeno questo sembrerebbe aver guidato i proprietari e gestori della nuova “Area Turistica dell’Amore” presso il nucleo abitabile distaccato di Baima, nel distretto di Wulong, riva settentrionale del grande fiume, approvando con entusiasmo il progetto di Yang Kai per una nuova Incredibile Attrazione Unica al Mondo, chiamata per l’appunto Fēitiān zhī wěn o “Bacio Volante”. Frutto di quella necessità comune a tutte le culture di rappresentare un sentimento e già che c’eravamo, farlo usando un approccio o un metodo che possano essere chiamati estremamente significativi. L’architettura, dopo tutto, è il prototipo di un lascito immanente alle future generazioni così come l’arte, anche quando frutto di un particolare gusto che volendo essere ingenerosi, potremmo giungere a chiamare pacchiano o addirittura un po’ naïf. E sia chiaro che queste non sono mie parole bensì quelle delle moltitudini di commentatori, che nelle ultime settimane a partire da un’inaugurazione collocabile attorno al maggio scorso si sono affollati, ad intervalli regolari, per offrire esperte considerazioni o validi commenti nei confronti di questa impegnativa aggiunta estetica all’entroterra cinese. Ben pochi, tuttavia, hanno cercato d’esplorare il suo effettivo significato…