La crudele vespa smeraldo e la sua cugina italiana

Emerald Cockroach Wasp

L’archeologo scoperchia una tomba ben sapendo che al suo interno troverà: ricchezze, conoscenza, oggetti molto significativi. E…Un lieve accenno di presentimento, come il fiato di una belva, l’aria carica di mistica e maledizioni. Perché ogni rosa ha le sue spine, e più essa è dolce, chiara e profumata, maggiormente tali aculei giungono ad infiggersi nel palmo di una mano impreparata. E così anche le gemme preziose, sopratutto quando possiedono una lunga storia. Gli amanti dei fossili tra voi, certamente conosceranno le ammoniti o ammoliti, resti fossilizzati di un antico ordine di cefalopodi, andati estinti attorno al Cretaceo Superiore-Paleocene (65 milioni di anni fa). Il cui guscio, tramutato in pietra, può talvolta assumere l’aspetto di un opale iridescente, che riflette la luce del Sole sulla base dell’angolo da cui si scelga di guardarlo. Azzurro, viola, rosso metallico ed un verde simile a quello usato per i fondali fisici del moderno cinema virtualizzato. Non è forse, tutto ciò, magnifico? Basta sostituire con la mente la piramide sul Nilo con i picchi delle Rocky Mountains statunitensi, il più grande ed improbabile ex-habitat di simili bestie marine, per trovarsi in una situazione simile a quella di Howard Carter, il rinomato, e successivamente sfortunato, scopritore della tomba di Tutankhamon (1922). Che si disse all’epoca, per poi trarne molti articoli, romanzi e film, che fosse stato visitato dalla mummia stessa del faraone, per finire fatalmente maledetto assieme al resto della sua spedizione. Vero o falso, cosa importa…Se la lumaca di mare ritornasse a muoversi, se avesse il metodo e il potere di compiere un’impresa in questo mondo! Molti dei suoi “archeologi” o per meglio dire paleontologi, accorrerebbero con entusiasmo per assistere all’evento. Ma pienamente coscienti dell’impossibilità di questo evento, ben si guarderebbero dal farsi avanti tra la folla. Ecco, dunque, un simile colore. Tanto splendido che porta la sventura. E se io vi dicessi, a questo punto… Finalmente! Che esso vive ancora? Nell’armatura chitinosa di un insetto, tanto spietato che al confronto addirittura Nosferatu, quel collega succhiasangue del faraone resuscitato, sembra un simpatico compagno di avventure…
La vespa smeraldo (Ampulex compressa) è un’abitante dell’Africa, dell’Asia meridionale e di alcune isole del Pacifico, tra cui le Hawaii. Si tratta di un parassita entomofago, ovvero una creatura che sopravvive, e sopratutto si riproduce, a discapito di un’altra specie di artropodi, ovvero nel caso specifico gli scarafaggi. Tra i più detestabili abitanti del pianeta, che talvolta invadono le case, diffondendo ovunque il loro odore e la sgradevole presenza. Liberarsene, notoriamente, non è facile: puoi schiacciarli, avvelenarli, farli a pezzi con una racchetta moschicida. Ma essi sono prolifici, ed i figli dei figli ritornano immancabilmente a farti visita, giorno, mattina e sera. Per morire sotto il tacco dei nostri stivali, ancòra, ancora e ancora. Credevate, dunque, che non avreste mai provato empatia, o dispiacere, per un simile animale derelitto? Ripensateci. Perché il tratto distintivo dell’intera famiglia relativamente piccola delle vespe Ampulicidae (“soltanto” 170 specie) è proprio la loro formidabile abilità nello sfruttare la blatta comune come una risorsa assai preziosa. Immobbilizzandola e privandola, persino, della volontà. È una visione atroce, quella messa in mostra, ed abilmente narrata, nel presente video della compagnia di produzione Team Candiru, il cui regista ha recentemente partecipato ad un breve botta e risposta sul sito Reddit.com. Nel quale si assiste alle abitudini di caccia di un essere che, in effetti, si nutre unicamente di nettare. Una volta…Adulto.
La scena inizia con la vespa smeraldo che, scovata la sua vittima diverse volte più grande di lei (bella forza, siamo in un terrario!) vi atterra sopra e la punge in corrispondenza del suo “cervello” periferico che controlla il movimento delle gambe posteriori, al fine di impedirgli di fuggire durante l’operazione successiva. Quindi, ricercando attentamente un secondo punto cruciale del sistema nervoso del malcapitato, inietta nel ganglio sub-esofageo (SEG) una seconda dose di veleno in grado di creare un vero e proprio zombie-scarafaggio…

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L’ultima speranza delle api: l’energia del Sole

Thermosolar Hive

Immaginate per il prossimo paragrafo una società perfetta, in cui ciascuno ha il proprio ruolo, ogni bisogno del singolo è risolto dalla collettività, e l’abbondanza permea tutto di un’alone di magnifica serenità. Zero carestie. Un’abitazione sicura, inattaccabile dai predatori. Nessun pericolo dalle intemperie. Si tratterebbe, in effetti, della perfetta realizzazione di un paradiso in Terra, praticamente privo di qualsiasi controindicazione. Tranne quella, del tutto trascurabile, di veder sottratto il proprio miele. È una tassa ragionevole, nevvero? Del resto, se c’è una cosa che amano le api, è lavorare. E ciò che viene tolto, sarà ben presto ricreato. A meno che… Esiste una legge universale in natura, che determina il tendere di ogni creatura verso uno stato d’equilibrio generale. Così accade che il troppo benessere, dovuto alla benevolenza degli umani, le ha rese insetti prosperi, ma anche vulnerabili al destino. Di una catastrofe biologica letteralmente senza precedenti. Il cui nome, come molti già sapranno, è varroa. Varroa destructor, per la precisione. Una cosa molto piccola. E rossastra. Dalle eccessive zampe. L’individuo sovversivo, che penetrato in Paradiso dalle viscere del mondo, lo contamina con la propria presenza. Succhia il sangue e diffonde atroci malattie. Molto lentamente, si moltiplica. Finché al termine, non resta altro che un alveare silenzioso!
L’unica speranza dal loro punto di vista, allora, è arrendersi… Sperare in una morte rapida e indolore… Del resto, è improbabile che un’insetto possa comprendere l’incombenza minacciosa dell’Apocalisse…. Mentre noi, che invece sappiamo addirittura metterla in parole, siamo davvero inermi innanzi all’estinzione delle api? A giudicare da quanto sono qui a proporci, tramite la piattaforma di crowdsourcing INDIEGOGO il Dr. Roman Linhart e Jan Rája, dell’Università di Palacky in Olomouc, Repubblica Ceca, non sarebbe possibile fare un’affermazione più distante dalla verità. Gli strumenti esistono, sono tecnologici ed innovativi. Tutto quello che serve: 20.000 dollari per cominciare. Non a caso già in molti hanno scelto di offrire il proprio contributo. Dopo tutto, in gioco c’è molto di più del solo miele! Il video di accompagnamento del progetto, usato per indurre il grande pubblico a comprare i gadget che sostengono la raccolta fondi, quando non il prodotto stesso con consegna in un imprecisato futuro, esordisce con una celebre affermazione, da sempre tradizionalmente e stranamente attribuita al fisico Albert Einstein: “Se le api dovessero perire, l’intera umanità le seguirebbe entro un periodo massimo di quattro anni.” Una profezia facente riferimento, ovviamente, non tanto al crepacuore per la scomparsa del nostro gustoso miele, quanto per il contraccolpo ecologico dovuto alla scomparsa di queste fondamentali impollinatrici, da sole responsabili per la continuazione ininterrotta di circa un terzo delle specie vegetali adatte alla nostra consumazione. Ed ecco, dunque, il loro piano di salvezza: creare un nuovo tipo di alveare artificiale, per così dire “standard” da sostituire alla classica scatola di legno usata dagli apicultori. Che possa, grazie alle sue particolari caratteristiche progettuali, sterminare letteralmente l’odiato parassita della società ronzante. Grazie a uno strumento ambientale letteralmente gratuito, e da sempre a nostra massima disposizione: l’estremo calore dell’astro solare. È un sistema interessante per affrontare il problema. Basato sull’energia solare. Del resto, fin dai primi anni ’90, i giornali scientifici internazionali avevano pubblicato diverse ricerche, prevalentemente provenienti dal Giappone, mirate a dimostrare come il varroa fosse naturalmente vulnerabile a temperature superiori ai 40°, tollerate invece facilmente dalle loro vittime a noi care. Si era capito, quindi, come un possibile approccio alla rimozione di un’infestazione fosse il surriscaldamento indotto, per periodi a medio termine, tramite l’impiego di appositi dispositivi. Un proposito, tuttavia, decisamente complicato…

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