Ombre oltre lo stipite del barbo gigante, la carpa che nuota sul trono fluviale del mondo

La forma tondeggiante del frutto di mangostano era sospesa a metà strada tra la terra e il cielo, in mezzo ai tronchi svettanti dell’antica foresta asiatica meridionale. Come altrettante spose prossime alla cerimonia nuziale, le forme degli arbusti dipterocarpacei ricoperti dal velo intricato del fico strangolatore presenziavano alla scena inumidita, illuminata dalla luce obliqua dei pochi raggi solari capaci di oltrepassare la fitta barriera della canopia. Come una creatura leggendaria, quindi, il grande pesce giunse a sovrastare la radura, vestito di un elegante abito grigio e bianco, punteggiato dalle scaglie iridescenti simbolo della propria eminenza, con sfumature blu, arancione e color del bronzo. Occhi tondi e pinne striate simili alle ali di un insetto, nonostante l’assenza di barbigli più che sufficienti ad identificarlo come un qualche tipo di carpa. Eppure qualche cosa non dev’essere conforme, viene da pensare, nel momento in cui la splendida creatura fluttua nelle immediate vicinanze di quel pomo e apre la sua bocca. Quindi senza nessun tipo di esitazione, spalanca la sua bocca e lo trangugia al volgere di pochi attimi sul grande cerchio delle ore. Tempo, luogo, circostanze: l’epoca è quella corrente, nonostante le apparenze facciano pensare alla Preistoria; siamo in Thailandia, nei dintorni del bacino idrico del fiume Mae Klong; dove per qualche settimana, la pioggia è caduta copiosa, allagando avvallamenti interi nella configurazione topografica della foresta. Come avviene certe volte e con magnifico guadagno del Catlocarpio siamensis, uno dei pesci maggiormente distintivi, nonché minacciati al corso attuale delle generazioni, tra le plurime entità e specie del consorzio acquatico locale. Ed è difficile non ritornare con la mente, al suo cospetto, attorno alla tematica del beneamato pesce koi, ciprinide d’allevamento giapponese, le cui dimensioni talvolta notevoli possono corrispondere a un valore materiale pari a quello di un’automobile sportiva, o un piccolo appartamento. Eppur senza raggiungere in alcun caso l’inimmaginabile portata del qui presente cugino, i cui esemplari più notevoli sono stati registrati al conteggio di circa 300 Kg x 3 metri di lunghezza sotto il gancio di pesatura dei pescatori locali. Sebbene, sia importante specificarlo, mai successivamente all’anno 1994 dopo il quale la media misurabile si è assestata attorno ai 50-60 Kg per esemplare, quando si riesce ad essere davvero (s)fortunati. Questo perché il pesce in questione, nominato animale nazionale della Cambogia nel 2005 per decreto reale ed inserito in diversi programmi di conservazione dei paesi limitrofi, tra cui Vietnam, Siam e Thailandia, dovrebbe idealmente venire subito liberato, pena l’accumulo di sventura su colui o colei che è stato abbastanza folle da andare contro il volere del Dio del fiume. Una notazione che purtroppo non parrebbe valida per i turisti, mentalmente condizionati a trarre significativa soddisfazione dall’aver preso visioni di programmi televisivi come la serie spettacolarizzata di River Monsters, Benché nessuno, presumibilmente, dovrebbe giungere a definire questi pacifici giganti come dei “mostri”…

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La longevità in battaglia del Defendo, formidabile arte marziale canadese

In un segmento antologico della tv generalista americana, due ospiti si trovano sul palco dello storico Tonight Show condotto da Johnny Carson. Uno è immediatamente riconoscibile, per le distintive fattezze e l’imponente statura, come Lou Ferrigno, attore e culturista famoso per aver interpretato l’Incredibile Hulk nell’omonimo telefilm degli anni ’70. L’altro è un uomo in età avanzata che non gli arriva neanche alle spalle, fisicamente ordinario (e a dire il vero, anche un po’ sovrappeso) con tutto l’aspetto rassicurante del pensionato che si appresta a lanciare contro le bocce nel centro sociale del suo vicinato. Terminata la breve introduzione del presentatore, utile a qualificarlo come Bill Underwood, ex-militare ed eroe di due guerre mondiali di nazionalità canadese, al gigante viene dato in mano un coltello. “Fatti avanti, ma lentamente.” Lo invita il singolare personaggio. E in un solo fluido movimento, gli afferra il polso, lo tira in alto girandolo di almeno 120 gradi, e poco dopo averlo costretto a gettare l’arma, subito accompagna l’imponente forma in terra, mettendolo completamente al tappeto. Di sicuro, l’intero svolgersi della sequenza ha molto poco a che vedere con il vero attacco di un malintenzionato. Eppure all’occhio attento di uno spettatore preparato in materia, l’evidente perizia con cui il movimento viene messo in atto dal veterano è di gran lunga superiore a quella di un semplice studente di auto-difesa. Senza contare come non rientri formalmente nel catalogo di alcuna arte marziale tra le più famose del mondo contemporaneo. Sciroppo d’acero, partite di hockey ed orsi nel bel mezzo della foresta: questi gli stereotipi associati normalmente al principale paese a settentrione degli Stati Uniti. Cui ben pochi assocerebbero, in linea di principio, la collaudata metodologia per trasformare il proprio corpo in un’arma letale.
Meno che mai, paradossalmente, i primi istruttori militari incaricati verso la fine degli anni ’30 di preparare i membri delle forze speciali nordamericane, incluse quelle statunitensi, presso il sito all’epoca segreto del Camp X, situato sulle sponde del lago Ontario, vicino la città di Toronto. I quali assieme ad avanzate tecniche di spionaggio e l’utilizzo di ogni arma da fuoco nota, insegnavano ai loro studenti il miglior modo per prevalere in un confronto a mani nude, concepito all’epoca come un misto poco pratico di pugilato, lotta greco-romana e combattimento di strada. Questo, almeno, finché successivamente allo scoppio del secondo conflitto mondiale il celebre personaggio di William E. Fairbairn, marine inglese, non venne chiamato sulla scena per dare il suo contributo alle stagnanti circostanze. Lui, con un passato tra la polizia della Concessione internazionale di Shanghai, mentre contrastò per l’intero periodo interbellico la variegata criminalità della vasta metropoli d’Oriente, aveva coltivato ed appreso un vasto novero di strategie mutuate dalle secolari tradizioni del Kung-Fu e il Jujutsu di quelle terre. Iniziò quindi una fase di letterale trasformazione e adattamento ad-hoc, assieme ai colleghi di quest’uomo, generalmente identificata nella storia del combattimento a mani nude come la nascita delle combatives, un gruppo di tecniche e metodologie capaci di condurre alla moderna corrente del CQC militarizzato (Close Quarters Combat). Ma non tutti i membri della base lavorarono direttamente sotto la sua egida, né avrebbero dimostrato di averne bisogno. Come chiaramente esemplificato dall’arruolamento e arrivo sulla scena di un tarchiato veterano della grande guerra, l’ormai quarantenne ex-pilota canadese Underwood, cui era stato rifiutato il servizio attivo nel successivo conflitto, definito dai suoi superiori “Una cosa da giovani.” E che in tale modo avrebbero forse continuato a pensare, finché in un confronto pienamente richiesto ma non del tutto amichevole, tre diversi combattenti in corso d’addestramento dal peso e muscoli decisamente superiori, non attaccarono allo stesso tempo il buffo ospite recentemente giunto alla base. Finendo per venire ricoverati, a quanto si narra, tutti e tre all’ospedale. Così che da quel momento, Bill Underwood avrebbe ricevuto il soprannome di Giant Killer (Ammazzagiganti) che all’epoca della partecipazione allo show di Carson, si trovava ancora associato alla sua persona…

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La derelitta lampadina gigante nei sobborghi atomici di Forest Hills

“La guerra… La guerra non cambia mai.” Afferma la voce fuori campo, con il sottofondo di una musica nostalgica dai ritmi Jazz, il campo lungo della telecamera che si avvicina gradualmente al profilo riconoscibile di una città. Che ben presto può essere identificata come Pittsburgh, in Pennsylvania, simbolo sopravvissuto almeno in parte alla fittizia apocalisse della serie videoludica Fallout. Nell’immoto panorama, ove neppure piccoli animali o uccelli paiono aggirarsi tra le case del caratteristico vicinato statunitense, almeno un singolo elemento, tuttavia, appare immutato tra il fantastico e il reale, la speculazione degli artisti ed il soggetto fotografico di una particolare tipologia di turisti: è un colossale serbatoio piriforme di metallo ricoperto dalla ruggine, adagiato sopra una catasta di mattoni malmessi in mezzo ai vialetti erbosi delle abitazioni. Sul suo fianco un tempo scintillante, ora rivolto al cielo, campeggia con palese orgoglio l’imponente logo della compagnia elettrica Westinghouse. Famosa negli Stati Uniti, oltre che per oltre un secolo e mezzo di onorato servizio, a causa dell’accesa rivalità nei confronti della General Electric sotto l’egida dell’intransigente Thomas Edison all’inizio del XIX secolo, in quella che sarebbe passata alla storia come “guerra della corrente”. Ciò che però non tutti sanno, soprattutto all’estero, è che dopo aver perorato per anni la causa ed infine prevalso, grazie all’evidenza, con l’idea dell’elettricità trasmessa tramite il flusso alternato (AC) rispetto a quella diretta (DC) preferita dal loro avversario, la compagnia fondata da George Westinghouse nell’ormai remoto 1886 ebbe l’opportunità ed il desiderio di fare da apripista in un altro modo di approcciarsi alla generazione di quel fluido che alimenta l’epoca contemporanea: sto parlando del processo per la creazione dell’energia atomica o nucleare, diversi anni prima che fosse possibile anche soltanto garantire l’induzione intenzionale del decadimento radioattivo, figuriamoci il suo sfruttamento controllato da parte dell’umanità in attesa. Un processo, questo, ricercato tramite una vasta serie di ricerche ed esperimenti, all’apice del quale si sarebbe collocato, a partire dal 1937, l’abnorme edificio di Forest Hills.
Per comprendere il contesto di una simile struttura occorre dunque figurarsi lo scenario di quell’epoca, antecedente di svariati anni al cambio di paradigma indotto dall’equipe di Enrico Fermi e gli altri ricercatori agli albori dell’Era Atomica, quando ogni passo doveva essere compiuto inizialmente in via sperimentale, poiché semplicemente non si disponeva di un catalogo di cause ed effetti attentamente calibrati nell’interesse di ottenere il risultato finale. In tale ambito si muoveva il Prof. Dr. William E. Schoupp, esimio fisico teorico coinvolto dall’azienda per costruire qualcosa d’inusitato: il primo generatore energetico di Van de Graaff su scala industriale. Ovvero in altri termini, la versione su scala ingrandita dell’oggetto sperimentale inventato meno di una decade prima dal collega dell’Università di Princeton Robert J. Van de Graaff, proprio al fine di analizzare il comportamento delle particelle inosservabili all’interno di una situazione sotto l’assoluto controllo della scienza. Consistente, essenzialmente, nella rapida rotazione di un nastro situato verticalmente all’interno di un cilindro e fin dentro una grande sfera di metallo, ove si sarebbe concentrato un significativo potenziale di elettricità statica. Un meccanismo che in molti associano unicamente alla tipica esperienza “scientifica” di far poggiare le mani sopra la suddetta calotta ad un soggetto consenziente, sorridendo quindi assieme a lui per il sollevarsi spontaneo dei suoi capelli. Benché come spesso capiti, la stessa cosa trasportata su una scala superiore può ottenere risultati molto più notevoli, e potenzialmente pericolosi, di questo…

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Tagliategli la testa! Come suona la più sincopata invettiva dell’opera di Pechino nel mondo moderno

Quando ci si trova nella necessità di esprimere un concetto complicato all’interno di un testo musicale, al giorno d’oggi è particolarmente difficile superare l’efficienza rappresentata dal parlato rapido e la musica ritmata di un pezzo hip hop, enunciato alla massima rapidità consentita dall’apparato fonatorio umano. Forse per questo, la maggiore quantità dei pezzi di denuncia sociale o j’accuse nei confronti dell’autorità costituita rientrano nella categoria delle canzoni cosiddette parlate, prodotte da persone che hanno fatto del volume di parole al minuto un importante punto cardine della propria dialettica, sistematicamente deputata alla comunicazione di un fondamentale messaggio ai propri ascoltatori. Un’associazione di massima tanto forte nell’attuale cultura globalizzata, che il mondo di Internet non ha esitato un anno fa a ribattezzare questo pezzo dal notevole significato tradizionale, postato da qualcuno con intento semiserio su YouTube, come il “rap cinese” per eccellenza, accompagnato da commenti satirici di vario tipo a spese delle attuali contraddizioni ed idiosincrasie del più vasto paese dell’Estremo Oriente. Eppure il Ching Cheng Hanji (a.k.a. Il caso di Chen Shimei) è giunto a costituire negli ultimi due secoli un importante pilastro non soltanto della tecnica e teoria musicale a fondamento della cosiddetta Opera Cinese o di Pechino, forma teatrale celebre per i suoi costumi appariscenti e il trucco elaborato dei personaggi, ma soprattutto dei principi di legalità applicati ai potenti uomini politici di allora come adesso, troppo spesso esenti dal pagare per le conseguenze delle proprie immorali o crudeli scelte di vita. In tale accezione recitata, piuttosto che semplicemente pronunciata con intento di svago ed intrattenimento, al termine di una rappresentazione di circa due ore e mezza, come coronamento insperato e lieto fine (se così possiamo dire) del tragico dramma familiare di una donna ed i suoi due figli. Ad opera di niente meno che il supremo giudice Bao, personaggio leggendario che per molti secoli ha saputo personificare la giustizia che vince su tutto, sia nel mondo materiale che al cospetto di divinità e spiriti notturni capaci di vivere in eterno. Ma non di sfuggire alle sentenze elaborate da colui che soprannominavano il Draconico Disegno, all’interno della lunga serie di romanzi, novelle ed opere teatrali che costituivano il genere del Gong’an, o “racconto poliziesco” attestato fin dall’epoca della dinastia Yuan (1279 a seguire). Questo perché l’originale ed effettivamente vissuto Bao Zheng, due secoli prima di quella data, era stato un importante magistrato e prefetto alle dipendenze dell’Imperatore Rezong di Song, prima che il folklore popolare o le iperboli di storie lungamente ripetute facessero di lui una figura ultraterrena affine a quella dei potentissimi Immortali della tradizione taoista. Il che fa sorgere spontanea la domanda di cosa ci facesse, esattamente, un personaggio come questo in un corte di giustizia di epoca Qing nel XIX secolo d.C, intento a suggellare il fato di un suo collega di fronte alla consorte del sovrano e sua figlia, supremamente indisturbato da simili contrariate ed implacabili eminenze…

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