Il pesce che s’insinua nel sommerso deretano

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Lasciate che vi presenti Cet. Ecco, si tratta di un tipo veramente alla mano. Qualcuno arriverebbe a definirlo un ragazzo semplice, quasi banale. E con questo intendo, un onesto lavoratore lungo esattamente 32 centimetri, dalla forma grossomodo cilindrica, internamente suddiviso in cinque segmenti perfettamente simmetrici, privo di cervello, dotato di bocca aspiratrice tentacolare, pelle avvelenata piena di bitorzoli e un efficientissimo foro retroattivo di eliminazione delle scorie dal quale tra l’altro, guarda caso, respira. Il che, incidentalmente, ci conduce dritti al suo mestiere: vedete, per comprendere a pieno Cet, occorre sapere che fa lo spazzino dei fondali bentonici, fino alla profondità di 8-9 Km dalla superficie. Si potrebbe definire la sua vocazione per nascita, ovvero il metodo in cui non soltanto lui, ma i suoi stessi genitori, e i loro prima ancora, nonché l’intera linea famiglia variegata fin dalla creazione degli oceani del pianeta, si sono guadagnati da mangiare risucchiando al loro interno la sabbia intrisa di minuscoli organismi ed…Altre cose, per filtrarla e renderla più pura. Proprio così: funziona tutto all’incontrario, quaggiù. Dove Cet defeca, non c’è sporcizia. Ma l’estrema purezza del canto degli angeli, il profumo neutro dei fiori di campo. Qualcuno potrebbe addirittura raccogliere quei piccoli cilindri a forma di salsiccia, e usarli per farne degli ottimi castelli di sabbia, completi di merlatura, pista per le biglie e tutto il resto.
Ora, questo essere perfettamente soddisfatto della propria vita, che dal punto di vista scientifico (se fosse mai stato a scuola) potrebbe dirsi un orgoglioso appartenente alla classe delle oloturie o cetrioli di mare, non sperimenta numerosi eventi atipici nel corso della sua esistenza. Persino il momento dell’accoppiamento, nel caso in cui la specie presa in analisi preveda in effetti i due sessi separati, non comporta altro che il rilascio automatico di sperma ed ovuli nella corrente, confidando nella natura per fare il resto. La maggior parte dei predatori, nel frattempo, lo ignorano bellamente, consapevoli che un solo assaggio basterebbe a indurre in loro l’avvelenamento. Senza ombra di dubbio, si può dunque dire che il momento più eccitante per lui è l’occasionale incontro, e successiva convivenza, con un serpeggiante coinquilino del profondo, il carapide chiamato pesce perla. “Ma come può esistere la convivenza tra costoro…” Mi sembra di sentire l’ottima domanda: “Quando nessuno dei due possiede una casa?” Semplicissimo: l’uno dovrà vivere DENTRO l’altro. Il pesce. È il pesce che sceglie di farlo.
Una visione bizzarra. Una scena inquietante. Uno di quei casi in cui sarebbe meglio, coscienziosamente, mettere da pare l’umano desiderio di creare termini di paragone, immaginandosi allo sconveniente posto del nostro inconsapevole eroe. Ritorniamo dunque al nostro Cet, intento a strisciare lentamente verso misteriose destinazioni grazie all’impiego dei suoi minuscoli piedini a tubo, dotati di ventose per assicurarsi ad uno scoglio in caso di necessità. Quando all’improvviso, un’ombra scura e serpeggiante si avvicina alla sua massa grinzosa, guizzando da una parte all’altra in cerca di qualcosa. Qui no, qui no, sembra pensare, mentre esamina la parte frontale, i lati e il dorso dell’essere cilindriforme, che comunque non ha occhi per notarlo e quindi preoccuparsene in alcun modo. Finché alla fine, Eureka! Il pesce è riuscito nella sua missione, d’individuare la straordinaria posizione, in altri termini l’argenteo bassopiano, che qualcuno, un tempo, avrebbe definito l’ano. Ora l’effettivo ingresso, o invasione che dir si voglia (qualcuno, esagerando, giungerebbe a definirla una penetrazione) è particolarmente rilevante da osservare, perché avviene alla velocità del fulmine del tuono. Così dove un attimo prima c’erano due esseri, ne resta soltanto uno, con il carapide che sembra fare un gioco di prestigio, ed in un attimo sparisce all’intero del cetriolo di mare. Perché succede? C’è davvero una ragione? La natura può essere così crudele? Beh, la realtà è che non c’è alcun aspetto negativo in questo splendido momento di condivisione. Tanto che persino chiamare il pesce un parassita, non sarebbe del tutto corretto. Anche se è lui, che riesce a trarne il più significativo dei vantaggi, ovvero la sopravvivenza…

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Sembravano alghe, invece era un drago di mare

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L’animale fantastico per eccellenza, la prova materiale che una creatura innaturale, per quanto frutto della fantasia dell’uomo, può trascendere la più pura leggenda per entrare prepotentemente dentro il regno delle cose vive. I draghi? Camminavano su questa Terra. Sotto forme radicalmente differenti tra di loro. C’era il loro aspetto di lucertole, scagliosi esseri sovradimensionati, nella sagoma remota di svettanti dinosauri, il lungo collo placido e le zanne acuminate dei carnivori veloci. Mentre la capacità del volo, in qualche maniera indiretta, era presente nel battito d’ali degli uccelli ormai estinti, come l’Argentavis magnificens, dalla titanica apertura alare di ben 7 metri. Ma chi ha detto che la nostra controparte leggendaria, interlocutore dei tanti dialoghi nella caverna del tesoro, debba necessariamente essere mostruoso, impressionante, togliere il fiato con la sua maestosità… Quando esiste il caso dei draghi invisibili, sognati dai bambini e dagli adulti, visitatori di sfrenati ed invidiabili sogni notturni. Benevoli, pacifici, eloquenti. Ed ogni via di mezzo, come di consueto, resta altrettanto possibile, se non addirittura probabile. Così verso la parte meno estrema dello spettro, eppur rientrando certamente nella categoria in oggetto, troviamo un piccolo abitante delle coste meridionali d’Oceania, presso le ultime spiagge del pianeta fino alle propaggini del continente congelato del Sud; probabilmente, lo conoscerete di fama. Altrettanto probabile, è che non l’abbiate mai visto: poiché non è affatto facile, trovare, fotografare e giungere a toccare il Phycodurus eques, uno dei pesci più incredibili e accuratamente mimetizzati del suo intero gruppo. Al punto da assumere non soltanto il colore, ma anche la forma e le movenze automatiche del substrato che abita, in prossimità di recessi rocciosi, strutture costruite dall’uomo e bassi fondali diseguali. Non si tratta, in altri termini, di un abitante delle massime profondità. Né del resto avrebbe la necessità di spingersi fin laggiù, quando il suo camuffamento è tanto straordinariamente efficiente, e per di più perennemente attivo, visto come l’evoluzione lo abbia reso ciò che è, fin dalla nascita, in maniera affine ad una subdola stregoneria.
Sarebbe ben difficile, del resto, non restare basiti di fronte a tanta insolita bellezza: il dragone foglia, come viene comunemente chiamato, è una creatura lunga generalmente fino a 24 cm completamente ricoperta di escrescenze dalla forma chiaramente vegetale, che si diramano dalla sua testa, dal collo, dal dorso e dalla coda. Tuttavia, contrariamente a ciò che potrebbe sembrare, esse sono immobili e non aiutano nella locomozione; gli unici strumenti di locomozione della creaturina sono infatti due pinne semi-trasparenti, che gli permettono di muoversi in maniera estremamente cauta, venendo preferibilmente trasportato via dalla corrente. Il che è assolutamente proprio, e desiderabile, perché lo assiste nel passare ulteriormente inosservato. Mentre gli occhi di un sub umano, allenati e propensi ad individuare una cosa tanto meravigliosa, inevitabilmente riescono a scoprire i suoi tratti fisici al di là dell’apparenza, tra cui il lungo muso incurvato verso l’alto, che fa pensare da vicino alle narici di un coccodrillo, e per inferenza, a quelle dei protagonisti sputafuoco dei bestiari medievali. Che tuttavia non serve affatto nella respirazione (il pesce dispone di caratteristiche branchie con aperture circolari) ma costituisce piuttosto una sorta di piccolo aspirapolvere, usato nel fagocitare i gamberetti ed il krill di cui si nutre l’affascinante proprietario. La testa, dal canto suo, ha una forma notevolmente allungata, non del tutto dissimile da quella del cavalluccio marino comune, che dopo tutto appartiene pur sempre alla stessa famiglia dei Syngnathidae. Ma è il resto del corpo, a risultare totalmente fuori da ogni termine di paragone: il dragone foglia, nel suo tentativo di assomigliare per quanto possibile a un rametto sradicato,  è ricurvo e tortuoso, proprio come i temutissimi serpenti riportati agli angoli delle tradizionali mappe nautiche. La somiglianza con la creatura delle fiabe e leggende che gli da il nome in effetti, almeno da questo particolare punto di vista, risulta essere assolutamente lampante. Ma non pensate di toccarlo…

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La lumaca più grande che abbiate mai visto

Black Sea Hare

A seguito delle feroci scorribande, i pirati si recavano presso una spiaggia nota solamente a loro, scavavano una buca e vi depositavano una parte del bottino. Ciò rappresentava, se vogliamo, il gruzzolo per la vecchiaia, la loro pensione. Ma la vita in mare è già davvero molto dura, e questo senza aggiungere i problemi di un brutale fuorilegge. Così questi individui, predoni e malviventi, spesso finivano per incontrare da vicino palle di cannone, lame di baionetta, punte di sciabola o i denti acuminati di uno squalo, dopo essere stati gettati fuoribordo dalla vittima che si trasforma in trionfatore. Lo scrigno del tesoro, dopo un tale evento, rimaneva incustodito per chiunque avesse voglia di cercarlo, ricordando, come da manuale, che la “X” marca il punto, ma non sempre puoi sapere ciò che troverai laggiù. E non è poi così diversa dalla vita del cacciatore di tesori, anche quella del naturalista cercatore, colui che cerca di trasmettere la sua passione, in Tv o sul web, mediante l’entusiasmo di scovare le creature più bizzarre, misteriose, all’apparenza aliene del pianeta Terra. Coyote Peterson, protagonista di tre differenti serie dagli alti valori di produzione ospitate sul suo canale Brave Wilderness, è molto bravo in questo. Perciò quando l’abbiamo visto dirigersi verso le pozze di marea (tidal pools) sulle coste del Pacifico, in prossimità della città di Los Angeles, ben sapevamo che lì c’era un qualche cosa di straordinariamente speciale, una creatura degna di essere spontaneamente approfondita. La lepre di mare, grossa e nera, più impressionante che sia mai stata inquadrata da telecamera umana.
Ci si arriva per gradi, ovviamente. Altrimenti come sarebbe mai possibile costruire un adeguato grado di suspense? In questa occasione speciale, il conduttore si è anche procurato l’assistenza di Aron Sanchez, presentato al pubblico come un esperto di questo particolare bioma naturalistico, caratterizzato da significativi e frequenti processi di mutamento ambientale. I due a quel punto, senza neppure l’aiuto di una vanga o un coltello fra i denti per autodifesa, iniziano a cercare in parallelo il ricco patrimonio vivente di cui sopra, la cui presenza, per quanto assai probabile, pare stranamente ardua da riconfermare nel momento attuale. Anche perché il gesto stesso di muoversi nel mezzo degli scogli tra cui l’acqua resta ferma da una fase all’altra della giornata, e proprio per questo rese frastagliate e scivolose come non mai, richiede un senso d’equilibrio e una cautela che probabilmente, eluderebbe i più. Non è certo un caso se questa particolare location, pur con tutte le sue notevoli attrattive naturalistiche, risulta vergine di strutture artificiali e ragionevolmente incontaminata dal turismo. Cammina e ri-cammina, proprio quando i due sembravano pronti a gettar via la spugna (ma questo forse era dovuto) si ode Sanchez che conferma, esultante: “L’ho trovata!” (per i più impazienti, succede al minuto 3:44). Sulla scena accorrono, dunque, Coyote con la telecamera. Per mostrarci qualcosa che non dimenticheremo tanto facilmente.
La lumaca era lì, in attesa. Un mostro da 60 cm abbondanti, peso stimato: 4 Kg e mezzo. Ma sia chiaro che siamo assolutamente nella normalità di questa particolare specie di gastropode opistobranchio, la Aplysia vaccaria, creatura che comunemente viene definita lepre di mare nera. Il libro Pacific Coast Nudibranchs di David Behrens, pubblicato per la prima volta nel 1980, citava addirittura un esemplare da record che fu registrato misurare 99 cm dalla testa alla punta della coda, per ben 14 Kg di peso. Praticamente, quello di un cane di taglia media. Chi avrebbe potuto esimersi, trovandosi dinnanzi a un tale essere, dal tendere le mani e raccoglierlo immediatamente, per portarselo a pochi centimetri dal volto? Certo non lui…

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La lumaca Pikachu e gli altri Pokémon di mare

Pikachu Slug

Mostri elettrici, squittenti, insettili, volanti. Con il potere del fuoco oppure l’elettricità. Persino creature psichiche o costituite d’ectoplasma. Talmente variegata è l’ecologia fantastica del regno animale “ombra” creato da Satoshi Tajiri, che l’unico modo possibile per classificarne gli esponenti e quello di ricorrere a una serie di tipi o classi differenti, ciascuna più o meno efficace nel contrapporsi alle diverse alternative nell’eterna lotta che costituisce la vita di queste creature. Caratteristica dominante dell’intera situazione diventa, quindi, il colore. Chi non ha mai visto quel particolare tipo di poster o illustrazione, in cui gli originali 151 Pokèmon vengono disposti nella forma di un anello sfumato, in cui l’estremità destra è verde (Bulbasaur, Weepinbell, Metapod, Oddish…) quella inferiore tendente al blu (Squirtle, Nidorina, Zubat, Articuno…) poi si passa procedendo in senso antiorario verso le tonalità violacee (Muk, Cloyster, Gengar, Starmie…) rosse (Jynx, Mr Mime, Tentacruel, Parasect…) ed infine si approda all’arancione e giallo (Sandslash, Charmander, Paras, Ponyta…) Questione estremamente curiosa, quando si considera che il primo episodio della serie, nato su Gameboy, era stato concepito per essere fatto funzionare su uno schermo totalmente in bianco e nero. Ma il più giallo e rappresentativo di tutti i Pokémon, ad ogni modo, resta lui, il più fedele amico del protagonista del cartone animato Ash Ketchum, topo ad alto numero di volt dalle graziose guanciotte rosse, caratteristica cromatica mutuata direttamente dal pappagallo calopsitta (Nymphicus hollandicus). Mentre invece, da dove potrebbe provenire il resto della sua livrea, inclusivo della coda saettante nonché della caratteristica punta nera di ciascun orecchio conigliesco? Stiamo parlando di un mistero che ha lungamente appassionato non soltanto gli appassionati, ma anche un particolare mondo accademico dei nuovi scienziati naturali, sempre alla ricerca di un metodo per accaparrarsi l’attenzione dei giovani e del grande pubblico perennemente alla ricerca di una Storia. E fu così che nel profondo del Pacifico, tra le tiepide acque che si trovano tra l’Indonesia e lo stato insulare della Repubblica di Vanuatu, ma anche in prossimità della costa africana dell’Oceano Indiano, escursionisti e studiosi estatici hanno cominciato a fotografare una particolare piccola creatura (misura media: 6 cm) nominalmente appartenente al nome comune di una variegata serie d’invertebrati, le così dette lumache di mare. Un po’ per la sua naturale ed affascinante tendenza a ricordare per associazione degli animali di terra ben diversi sotto ogni punto di vista biologico, esattamente come la pelosa Jorunna Parva (detta il coniglietto degli abissi) di cui parlai qualche tempo fa su questo stesso blog, ma anche e soprattutto per l’assoluta somiglianza con quella che è giunta a costituire, negli anni, una vera e propria icona popolare dei nostri tempi. Tanto che sarebbe difficile, gettando lo sguardo nella sua direzione, non tentare istintivamente di accarezzarla.
Per entrare finalmente nello specifico, stiamo parlando della Thecacera pacifica, uno strisciante mollusco gastropode appartenente al gruppo dei nudibranchi, creature dalla curiosa caratteristica anatomica di presentare i propri organi respiratori all’esterno del corpo, onde favorirne l’ossigenazione anche vista la piccola massa complessiva dell’animale. Al punto che essi costituiscono, come forse avrete già intuito, il ciuffo vagamente spettinato di escrescenze presenti verso la parte retrostante dell’animale. Mentre le sue orecchie, o corna, altro non sono in realtà che rinofori, ovvero i particolari organi di senso, tattili ed olfattivi, che costituiscono per simili esseri il mezzo migliore per osservare ed apprezzare il mondo. Ma soprattutto, trovare la preda: non abbiate infatti alcun dubbio. Nonostante la graziosa apparenza, siamo al cospetto di un pericoloso carnivoro, temuto da tutti gli esseri microscopici che trascorrono la propria vita tra i sedimenti dei fondali marini.

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