Nella filosofia tradizionale del Taoismo non esistono i concetti di aldilà o reincarnazione, perché niente ha mai fine. Al momento della morte ciò che era stabile diviene fluido, trasformandosi materialmente e spiritualmente per dare origine a esseri nuovi e differenti. L’anima e il sangue degli uomini generano piante, animali e creature fantastiche in base alle condizioni del cielo e della terra, in un ciclo infinito di partenogenesi e trasformazioni. Come raccontato dal maestro Chuang-tzu “Dai vecchi bambù esce l’insetto z’ing-ning, che diventa leopardo, poi cavallo, poi uomo. L’uomo torna nel telaio cosmico, per tessere”. Ma esistono fenomeni prodotti dalla nostra mano, come l’ikebana e la coltivazione dei bonsai, che nella ricerca del bello impiegano ciò che è naturale secondo gli schemi personali e soggettivi degli artisti. Nell’ultimo lavoro di Makoto Azuma, scultore di piante proprietario di un haute coutoure floreale nel quartiere di Moto-Azabu a Tokyo, il legno morto di un piccolo albero di ginepro, appartenente alla specie Sabina chinesis, è stato immerso in un acquario, dove ricoperto da muschio e alghe sembra ritrovare il fogliame della sua precedente esistenza. La pianta terrestre si è dunque trasformata in creatura acquatica, dimostrando in tale perfezione artificiale l’immortalità della sua essenza.
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Da robot leggendari a eroi di cartone, i pepakura di Wakabua
I mecha giapponesi e i guerrieri sentai non sono semplici supereroi tecnologici. Sarebbe facile guardare i cartoni animati di quel paese o i colorati, buffi e un pò kitsch telefilm d’azione del genere tokusatsu (Power Rangers…) ritrovando in essi un’espressione creativa equivalente ai più stereotipati tra i fumetti americani, in cui un giustiziere mascherato dai poteri soprannaturali agisce seguendo un proprio codice a vantaggio del bene comune. In realtà i combattenti fantastici del Giappone moderno sono qualcosa di molto più simile ai samurai delle loro leggende guerresche: personaggi con tecniche, armi o veicoli particolari, generalmente ereditati da parenti o appresi come mistiche cognizioni da un qualche tipo di saggio maestro, intenzionati ad elevarsi al di sopra dei propri umani, comprensibili difetti. E tra le più diffuse culture giovanili della corrente così detta degli otaku, spicca in modo particolare il collezionismo dei loro modellini, talvolta in scatola di montaggio, altre da dipingere o semplicemente da acquistare a caro prezzo e esporre su qualche mensola insieme alle immancabili collezioni di manga e videogiochi. Il designer Wakabua, grazie a un suo particolare talento, ha però deciso di fare tutto da solo: nel suo laboratorio di Warabi, prefettura di Saitama, realizza infatti modellini di cartone piegato e dipinto, in base alle procedure artistiche del pepakura, o paper-crafting. Alcuni sono persino trasformabili.
Le originali sculture-panino di Thomas e Quentin, grafici francesi
La vera arte culinaria è diversa da tutte le altre, perché subordina l’espressione creativa al sapore dei cibi. Ci sono piatti in cui la visione d’artista diviene importante, come nel caso dei dolci d’alta pasticceria preparati per le grandi occasioni, ma il più delle volte ciò che davvero conta è il buon sapore di quanto ci si appresta a gustare. Avete mai sentito elogiare la presentazione visiva di un umile panino con l’hamburger? Ma grazie al lavoro di due grafici francesi, forse, le cose stanno per cambiare. Come artisti contemporanei che abbiano scelto di limitarsi a un singolo e stravagante materiale, Quentin e Thomas vestono i loro straordinari panini di volta in volta sulla base degli ultimi avvenimenti, delle uscite cinematografiche e delle inclinazioni del momento. E’ il caso di Crabzilla, il mostruoso panino mutante con granchio, lattuga, arance e pomodori. O del panino spaziale dedicato a Neil Amstrong in occasione della sua recente dipartita, in cui scaglie di cocco vengono utilizzate per sbiancare il “suolo” lunare e semi di sesamo costituiscono stelle distanti nel cielo galattico. Ci sono poi panini raffiguranti la fine del mondo, il film de Lo Hobbit o l’ultimo di James Bond. Per non parlare di quello impacchettato come un regalo di Natale, o del bizzarro pollo-panino…. Sul loro Tumblr è presente la serie completa. In tempi di crisi è importante sapersi reinventare e forse nessuno l’ha fatto meglio di questi creativi del mondo pubblicitario, trasformati dalle circostanze in cuochi-artisti dall’inesauribile fantasia visuale.
L’antica scrivania robotica del re di Prussia
Non dev’essere stato facile succedere agli oltre 40 anni di regno di uno dei più grandi condottieri militari della storia, antonomasia stessa del concetto di monarca illuminato nella turbolenta Europa del XVIII secolo. Eppure questo fu il destino imprevisto di Federico Guglielmo II di Prussia (anni di regno 1786-1797) detto dai suoi contemporanei der dicke Lüderjahn (grassone buono a nulla) il nipote di Federico il Grande e che era diventato improvvisamente erede al trono in seguito alla morte di suo padre, un generale della guerra dei sette anni. Questo corpulento sovrano, elogiato in giovane età dal celebre zio per il suo comportamento esemplare durante l’assedio di Schweidnitz, passò alla storia come dongiovanni intemperante e sfrenato festaiolo, più appassionato al godersi la vita che nel gestire le complesse vicende storiche della sua nazione, minacciata in quegli anni dalle nuove forze politiche nate a seguito della Rivoluzione Francese. Appassionato di occultismo, legato a mistici e società segrete, si trovò a gestire una corte ricca di intrighi ed amanti, sempre condizionato dai vecchi e ostinati amministratori che erano rimasti in carica dai tempi dello zio. Ma una cosa e certa: Federico Guglielmo sapeva apprezzare l’arte. Ne è una prova la sua scrivania più famosa, detta scrittoio di Berlino, un capolavoro d’ebano meccanizzato con tanto di orologio prodotto dai fratelli Roentgen, costruttori di mobili tra i più importanti della loro epoca.