È uno stile comunicativo moderno e divertente, quello usato dall’autore di Instagram e YouTube Batuush, esperto conoscitore di più di un meme internettiano, che utilizza senza soluzione di continuità col fine di sdrammatizzare quella che poteva facilmente diventare la solita seriosa trattazione di una simile faccenda. Ovvero l’effettivo funzionamento di uno dei molti simboli dell’organizzazione sociale stessa del suo paese, quella casa utilizzata da oltre 3.000 anni e che raggiunse la sua massima diffusione geografica, a quanto possiamo determinare, a seguito delle conquiste di Gengis Khan: una tenda, ma non è una tenda. Bensì una casa mobile semi-permanente, se vogliamo, con capacità d’isolamento termico encomiabili quanto l’eccezionale facilità di smontaggio e trasporto presso il luogo di soggiorno familiare variabile in base al ciclo continuo delle stagioni. Questa iurta o come viene detta più appropriatamente in lingua mongola “ger” che la famiglia Batgerel apre alle telecamere con evidente senso d’accoglienza, permettendoci di apprezzare, con rara chiarezza, l’effettiva disposizione degli spazi fisici all’interno. I quali quando si considera la forma tonda dell’edificio, potrebbero risultare piuttosto caotici se non fosse per una precisa organizzazione tradizionale, che vede la porta idealmente disposta sempre a sud ed a partire da quella, uno schema paragonabile alle lancette dell’orologio. Così che gli uomini di casa, e tutti gli oggetti appartenenti al mondo maschile (incluso il classico violino con la testa di cavallo) trovano posto nella metà ovest, mentre quelli femminili (inclusi gli attrezzi da cucina) si trovano ad est. Nell’area perfettamente opposta all’ingresso, nel frattempo, è collocato uno spazio sacro dedicato qualche volta a Buddha ma più spesso, come nel caso qui mostrato, mantenuto libero per gli ospiti d’onore della casa, che dovranno raggiungerlo sempre girando rigorosamente in senso orario attorno alla focolare centrale che può essere considerato l’effettivo cuore della ger. Sbagliatissimo, a tal proposito calpestare la soglia o rivolgere i piedi verso il sacro fuoco, che protegge la casa dagli spiriti maligni! Particolarmente interessante risulta essere, nel corso della descrizione, il discorso sulla quantità ridotta di oggetti superflui posseduti dalla famiglia, soluzione inevitabile dato lo stile di vita nomade, che comunque non prescinde alcune utilità del mondo moderno come l’antenna satellitare chiaramente visibile all’esterno ed un televisore con tanto di altoparlanti in abbinamento. Il tutto alimentato, a quanto sembra possibile capire, da una o più batterie per automobili, importante strumento per chi vive fuori dalla griglia elettrica delle città. Le proprietà personali di ciascun membro della famiglia sono invece contenute in pratiche cassettiere dalla forma di un parallelepipedo, decorate con l’immagine di leoni e altre creature mitologiche che si scrutano a vicenda. Fatta eccezione, s’intende, per il grazioso mobile rosa dedicato alla figlia piccola, con tanto di zainetto in tinta che figura nell’inquadratura a margine del breve documentario di Batuush.
E c’è una dialettica particolarmente schietta ed accessibile, nel modo in cui un simile ambiente viene presentato in divenire, con le qualità di un vero e proprio luogo della vita quotidiana, piuttosto che l’attrazione turistica di altri luoghi in giro per il mondo, anche grazie all’effettivo comfort d’utilizzo e soggiorno all’interno di queste mura, perfettamente paragonabile a quello di una casa contemporanea nel suo primario ambiente d’impiego. Le grandi steppe del centro asiatico potranno infatti essere anche fredde ma non sono di sicuro umide, permettendo a un simile sistema abitativo di assolvere perfettamente alla sua funzione per tutti i mesi dell’anno, così come aveva saputo fare attraverso innumerevoli generazioni…
Asia
L’insetto a causa del quale non tutta la frutta è vegana
Sarebbe bello, sarebbe pratico senz’altro, se il colpevole si presentasse immediatamente visibile sotto i nostri occhi: il vorace verme del lucente pomo, nel suo buco prelibato, parassita della pianta che è sfuggito, in qualche modo, al processo di trattamento, preparazione e commercializzazione del frutto. Quando assai più subdola e decisamente meno facile da rilevare, si prospetta l’indiretta presenza del minuscolo Kerria Lacca, creatura affine alla comune cocciniglia europea, che dalle foreste dell’India e il meridione d’Asia è stato portato a trascendere la sua forma fisica meno affine; per entrare a far parte, in maniera indiretta, della stessa rete industriale che intrappola e circonda il mondo. Se avete mai preso una pillola, l’avete assaggiato. Se vi piacciono le caramelle, o i cioccolatini colorati tipo le M&M’s, ne avete assunto la più pura essenza nelle oscure profondità del vostro organismo. Se vi piacciono mele, pere o gli agrumi come arancio, mandarino etc, dovreste ormai chiamarlo una parte importante della vostra dieta quotidiana. E non per una situazione meramente accidentale, come si potrebbe essere indotti a credere considerata la natura di un simile parassita dei vegetali, bensì a causa di una ben precisa scelta operativa dell’uomo, che getta le radici in un’epoca straordinariamente remota e culmina con l’utilizzo in forma di spray, finalizzato a incrementare la durata della frutta prima di essere consumata. Si parlava già brevemente, in effetti, di un impiego architettonico di tale materiale nella sua forma più solida già nel grande poema antico del Mahābhārata, risalente al IV secolo a.C, al fine di costruire il gran palazzo dei Kaurava per commemorare la vittoria nei confronti dei Pandava. Sebbene in epoca moderna, a nessuno verrebbe in mente di edificare delle alte mura utilizzando la gommalacca o shellac, come viene chiamata in lingua inglese.
E probabilmente ne avrete già sentito parlare: la copertura solida e lucente, dalla colorazione in genere uniforme, impiegata in buona parte dell’Estremo Oriente al fine di rifinire una vasta quantità di oggetti, mobilia ed opere d’arte. Tale lacca tuttavia, estratta dalla resina della pianta Toxicodendron vernicifluum, è quanto di più indigeribile e potenzialmente nocivo sia possibile immaginare per l’organismo dei suoi utilizzatori; tutt’altra storia rispetto al corrispondente prodotto indiano, giunto sulle nostre tavole attraverso le lunghe e tortuose vie della storia. Considerate, a questo punto, la secrezione di una piccola e innocente creatura, affine a ciò che rappresenta il miele per le api e allo stesso modo, causa di un allevamento intensivo finalizzato alla produzione sistemica di un tale approccio al miglioramento della qualità della vita. Mediante un processo che risulta essere, inerentemente, assai diverso…
Gua Rusa, caverna malese con le proporzioni di un aeroporto internazionale
A ben pensarci, sarebbe davvero conveniente: uno spazio ombroso, sotterraneo, segregato dalla natura. Dove neppure l’imponenza di due o tre jet di linea fianco a fianco non riesca in alcun modo a disturbare la popolazione, umana ed animale, che occupa la superficie verdeggiante del Borneo, unica terra emersa dalle proporzioni isolane occupata da tre nazioni: Siam, Malesia ed Indonesia. Ma di certo prima di procedere, occorrerebbe costruire una pista al suo interno. E forse nel punto più stretto, dove si trovano le due cascate note come docce di Adamo ed Eva, occorrerebbe un’opera finalizzata all’ampliamento degli spazi latitudinali, per garantire un conveniente accesso al terminal posizionato all’interno della montagna. Mentre i 169 metri di larghezza nel punto più ampio, e i 122 di altezza, sarebbero più che sufficienti al fine di garantire l’operatività di un 747 carico di passeggeri. I quali, senza particolari indugi, potrebbero sbarcare direttamente a ridosso di uno dei territori segregati più particolari al mondo, chiamata fin da tempo immemore “la valle dell’Eden”. Ci sono molti luoghi simili, da queste parti, circondati dalle alte pareti in calcare ed arenaria scolpite dalla potente erosione delle precipitazioni atmosferiche tropicali, capaci di trasformare l’intera massa di una montagna in cavità monumentali, dove scorrono torrenti e fiumi sin dall’epoca della Preistoria. Ciò che differenzia il luogo noto ai nativi come Gua Rusa (letteralmente, “Caverna del Cervo”) dalle altre grotte simili nell’area del parco nazionale malese di Gunung Mulu, restano però le proporzioni ancor più impressionanti, tali da sfidare ogni convenzionale ipotesi a proposito della sua genesi ancestrale. Come se un colossale verme delle sabbie, agitandosi per secoli o millenni, avesse ampliato il cunicolo del suo passaggio. Come se un cantiere messo in opera da civiltà perdute, avesse ultimato lo spazio segreto da utilizzare per l’atterraggio delle proprie praticissime navi spaziali.
Ciò che si palesa, ad ogni modo, al termine dell’escursione tra i suoni e gli alti fusti della giungla a partire dai villaggi più vicini e la città costiera di Miri, che raggiunge l’apice lungo la passerella in legno più fotografata di tutta l’Asia, è un’ingresso semi-nascosto dagli alberi e sovrastato da antiche stalattiti che ben presto si rivela degno di quella che sarebbe stata definita, per lungo tempo “La caverna più vasta del mondo” (almeno fino alle nuove misurazioni, effettuate nel 2009, della grotta di Son Doong in Vietnam – vedi precedente articolo). Benché sia chiaro, tale primato risulti difficile da attribuire all’uno o l’altro candidato, data la quantità estremamente significativa di criteri applicabili a tal fine: larghezza e lunghezza dei singoli passaggi, profondità totale o metri quadri d’estensione. Così che, nonostante la sua innata predisposizione alle operazioni aeronautiche, la grotta del Cervo risulta essere inerentemente piuttosto breve, con i suoi “appena” 4 Km dall’ingresso all’uscita, sebbene esista una teoria che avrebbe fatto in tempi ormai trascorsi, di essa, la più incredibile cattedrale geologica del pianeta. Quella secondo cui la stessa Valle dell’Eden, simile a una dolina carsica circolare dal diametro di oltre 1 Km e sita all’altra estremità e con l’unica uscita diametralmente opposta della piccola cavità nota come Grotta Verde, fosse stata ricoperta originariamente da una volta rocciosa, che avrebbe impedito alla luce del Sole di penetrare nelle sue oscure, inimmaginabili profondità, buie eppure mai, davvero, silenziose. Questo in quanto, aeroporto o meno, nessuno potrebbe mai anche soltanto ipotizzare che un simile dedalo oscuro sia mai stato, anche soltanto per un attimo, del tutto privo di vita…
Preziosa è l’uva di pietra che matura nei camini del mondo
Gli studi dei dentisti sono lastricati, o almeno questo è ciò che siamo indotti a pensare dal marketing del mondo gastronomico, di ottime intenzioni: “Credevo che il torrone fosse morbido” “Pensavo che il caramello sulla mela non avesse già raggiunto la consistenza del cemento a presa rapida…” “Ma questa pannocchia, non l’avevo cotta delicatamente a puntino?” Esistono d’altronde gesti a cui nessuno attribuisce in linea di principio alcun margine segreto di pericolosità latente. Nuclei a parte, piccoli noccioli non più spaventosi di un singolo seme di melone, c’è infatti molto poco dentro il frutto del vitigno a grappoli che possa essere un pericolo per la possente dentatura degli umani. A patto, s’intende, di evitare un fondamentale fraintendimento di partenza. Capace di scaraventarci, con la testa in avanti, nell’inferno odontoiatrico di un’antica varietà d’uva. Distretto di Mamuju, isola di Sulawesi, Indonesia: la data è (circa) il 2016, quando qualcosa d’inusitato fa per la prima volta la sua comparsa presso il mercato d’esportazione delle pietre, un curioso business trasversale per paesi come questo, dove l’estrazione mineraria era e resta responsabile di una considerevole parte del PIL nazionale. La chiamano in maniera totalmente non scientifica agata di tipo grape (per l’appunto, “uva”) dato l’insieme di caratteristiche pienamente mimetiche che includono colorazione, forma complessiva e soprattutto l’effetto macroscopico di un particolare abito cristallino, relativamente raro e definito botrioidale o su scala più grande, mammellonare. In forza della formazione di un alto numero di concrezioni simili a globi, attorno a granuli di sabbia, silicati o altre inscindibili particelle geologiche, fino alla sovrapposizione parziale nei punti di raccordo dell’agglomerato, dando luogo a questo aspetto complessivo stranamente simile ad un grappolo d’origine vegetale. Coincidenza se credete nelle coincidenze, oppure magica mimesi da parte del demiurgo che governa l’Universo, gli strani oggetti hanno da subito trovato una particolare nicchia molto redditizia nel settore della gemmoterapia, disciplina che rientra a pieno titolo nella collezione di arbitrarie cognizioni e pseudo-religioni post-moderne confinanti con il cosiddetto New Age. “Calmante fonte d’energia spirituale e conoscenza” viene detto dunque nei cataloghi, a patto, s’intende, di non fare in un attimo di debolezza l’azzardato tentativo di trangugiarla.
Occorrerà applicare, a questo punto, un importante distinguo. Poiché proprio la definizione scelta e qui sopra enunciata, per un così attraente nonché singolare minerale, potrebbe risultare valida a trarvi in inganno. Per agata s’intende quindi, almeno in linea di principio, una particolare varietà del minerale calcedonio con palese stratificazione su più livelli, tale da permettere la creazione decorativa del gioiello in bassorilievo policromatico noto come cammeo. Laddove il nostro strano tesoro geologico, di suo conto, presenta un’unico colore lungo l’intera estensione di un singolo cristallo, rientrando a pieno titolo nella categoria dei quarzi. E data la colorazione viola, quella ancor più specifica della preziosa, insostituibile ametista, il che finisce per porre le basi di un associazione mitologica davvero pregna di significato…