Rientrato in Florida lo spazio-drone militare

7 maggio 2017: l’occhio scrutatore del Kennedy Space Center, composto d’innumerevoli antenne radar, cannocchiali, telescopi e sensori di vario tipo, è fermamente puntato contro la piccola macchia che si muove in cielo. Un punto tra le nubi, che gradualmente si trasforma nella forma tozza di una carlinga nera, sormontata da un paio di pinne diagonali. Senza voler necessariamente spaccare il capello, sembrerebbe proprio di trovarsi davanti a un fantasma: quello dell’Atlantis, l’ultimo Space Shuttle degli Stati Uniti, ritirato dal servizio dopo la sua ennesima missione di consegna presso la Stazione Spaziale Internazionale, conclusasi il 21 luglio 2011. Se non che, col progressivo avvicinarsi dell’ospite atteso, ci si rende conto che non sta diventando sufficientemente grande. Tratti in inganno dalla prospettiva, credevamo che fosse più lontano. E ora che è quasi arrivato, ci rendiamo conto che non può misurare più di 9 metri di lunghezza, con una ridicola apertura alare di appena 5 o giù di lì (nota: 8,92 x 4,55) praticamente, un autobus che cade dal cielo. A velocità supersonica, a giudicare dal grande boato che improvvisamente risuona sopra l’Oceano Atlantico, mentre il muso dell’aereo si alza leggermente, per prepararsi ad un brusco ma del tutto corretto atterraggio. Il fraintendimento in merito alle dimensioni è comprensibile: del resto, questo apparecchio non lo vedevamo da esattamente 717 giorni e 20 ore, momento in cui ci aveva lasciato a bordo di un razzo Atlas V, per andare a orbitare sopra le nostre inconsapevoli teste. E adesso che torna, senza alcun dubbio, costituisce il velivolo rimasto là sopra per un tempo più lungo ad essere tornato a terra del tutto intero, praticamente pronto per la sua prossima missione. Che sarà…
Già, quale mansione svolge? A che serve l’X-37b, costosissimo mezzo sperimentale progettato dalla divisione supersegreta della Boeing, Phantom Works, e finanziato con molti milioni di dollari dell’Aeronautica Statunitense? Che non può svolgere esperimenti complessi, vista la mancanza di un equipaggio a bordo. Che non può portare rifornimenti ad uomini e donne già lassù in missione, in quanto manca degli strumenti necessari ad effettuare la congiunzione in volo. Che non potrebbe neanche essere un mezzo turistico, vista la totale assenza di finestre. Nemmeno un oblò. Anche senza sconfinare nel fantastico regno del cospirazionismo, si possono citare diverse ipotesi fatte negli ultimi anni. La prima, ovviamente. è quella che affascina di più i blog e portali dei quotidiani: potrebbe trattarsi di un sistema d’arma… Capace di sganciare delle bombe senza essere individuato, semplicemente perché si trova al di sopra della stessa atmosfera terrestre. Ciò appare tuttavia poco probabile, visto il peso massimo al decollo di neanche 5 tonnellate, e soprattutto una baia di carico che misura appena 2,1 x 1,2 metri. Senza contare che le ipotetiche minuscole bombe sganciate dall’orbita dovrebbero essere, in pratica, lo strumento più preciso mai costruito dall’uomo. Un’altra ipotesi è che possa trattarsi di un apparecchio concepito per spiare, o addirittura distruggere, i satelliti di telecomunicazioni dei paesi considerati ostili. Un’altra follia, considerata la quantità di potenza e combustibile necessari per intercettare più di un singolo bersaglio in orbita, dove tutto si muove a velocità tali da circumnavigare il globo in 40-60 minuti appena. E se il razzo Atlas fosse stato lanciato dritto contro un proprietà di altre superpotenze, state pur certi che qualche ripercussione diplomatica ci sarebbe stata. Tra l’altro, a quel punto, perché usare l’aereo e non sparargli semplicemente? A meno, ovviamente, di voler entrare nel regno della più pura fantascienza, ed ipotizzare che a bordo dello spazioplano in questione sia presente un qualche tipo di futuribile motore che funziona senza alcun tipo di carburante, in grado di farlo muovere liberamente e invisibilmente per un periodo di oltre 2 anni, colpendo in maniera subdola i diversi bersagli considerati potenzialmente nocivi.
Ma la realtà è, assai probabilmente, molto più semplice e noiosa di così: l’X-37b, nato dalla costola di un progetto della Nasa iniziato nel 1999, a sua volta derivante da un proof-of-concept di scala ridotta dal nome di X-40, è un velivolo concepito per testare la fattibilità di missioni a lungo termine al di fuori dell’atmosfera, senza equipaggio a bordo e grazie all’impiego di un nuovo propulsore a nitrogeno ipergolico con tetrossido/idrazina. Sostanza non propriamente salubre per l’apparato respiratorio umano, singolo motivo per cui il personale di terra, nelle scene rese pubbliche del rientro, appare protetto da tute hazmat dall’aria decisamente inquietante. Ma forse siamo soltanto noi, di questi tempi, a voler sempre vedere l’aspetto più preoccupante di ogni questione…

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Il fango e l’arte della guerra dei delfini

Dobbiamo soltanto ringraziare il cinema se ad oggi, la stragrande maggioranza conosce tutti i meriti e i pericoli di un Tokyo Drift. La brusca accelerata, su automobili dotate di una coppia significativa e se possibile, con luci azzurre sotto il corpo del veicolo, seguita dalla rotazione del volante fino in fondo da una parte, con conseguente trasformazione chimica degli pneumatici in maleodorante fumo nero. In altri tempi, l’avremmo definita più che altro una “sgommata”. Naturalmente, tale prassi è largamente differente da un Kentucky Drift, per cui si richiede l’impiego di un pick-up con la bandiera dei ribelli sopra il cofano, o un California Drift, praticato mediante l’ausilio aerodinamico di un surf legato sopra il portapacchi. Ma non si può avere tutto, nella vita. E così l’insufficiente generazione annuale di costanti seguiti del grande classico dei buddy movies, Flipper il delfino, ha invece limitato la progressiva diffusione, e conseguente evoluzione, di quell’arte semplice e sublime cui potremmo attribuire l’appellativo per antonomasia di Florida Drift. Per la quale è sempre molto consigliata, come in ciascuno degli altri casi citati, d’impiegare un mezzo con trazione posteriore, e in modo particolare quella garantita da una pinna orizzontale. Ovvero quella tipica dei più simpatici mammiferi marini. Simpatici, non perché trascorrono la notte e il dì ad appisolarsi, come grossi gatti o cani sonnolenti, in attesa del momento in cui riceveranno i loro croccantini.  Bensì simpatici come lo squalo, il barracuda, gioviali quanto il puma di montagna… Veri e propri predatori, i sottili denti aguzzi e il perpetuo, apparente sorriso, che fa da biglietto da visita ad un vero e proprio terrore dei sette+1 mari. Volete sapere, in effetti, il nesso ultimo della questione? Questi super-pesci noi li amiamo, sopratutto, perché sono esattamente come noi. Spietati. E intelligenti. Ma soprattutto, spietati.
Il più annoso fraintendimento che la comunità dei bagnanti perpetua in merito alla questione del Florida Drift è che si tratti di una forma d’intrattenimento usata per il popolo del mare. Del tipo: “Oh, guarda che carino! Il pinnuto sta evocando il senso della gioia della vita, inscenando uno spettacolo tra i flutti e vuole da mangiare, vuole che io mi sporga dalla barca, per tirargli da mangiare…” Mentre se c’è una cosa di cui i delfini non avrebbero giammai bisogno, è il cibo degli umani. Poiché ogni loro singolo neurone, ogni voluta di quell’incredibile cervello ancor più grande del nostro, la natura l’ha creato con un solo ed unico scopo: trovare l’obiettivo, farlo proprio, diventare grossi e forti. Dominare il mondo.  E la sgommata, per loro, è un’arma. Tutto inizia, dunque, con la vista trasversale di un’ammasso di sabbia, che si solleva inspiegabilmente nella grande e bassa baia sita a sud della penisola più lunga degli Stati Uniti. Una persona dotata di vista particolarmente acuta, come l’elfo Legolas, potrebbe triangolar se stesso geograficamente con la sagoma dell’arcipelago antistante di 1.700 micro-isole, unite al continente col viadotto del Seven Miles Bridge. Sono queste le Florida Keys, e sia chiaro che un tale spettacolo, potrai vederlo solamente qui. Nessun altro delfino, orca o balena, in tutto il mondo conosciuto, ha mai praticato questa straordinaria strategia di sopravvivenza, che dal punto di vista della guida, è anche una notevole prova di controllo del veicolo su fondo sabbioso e umido, volendo approfondire la metafora fin qui impiegata. Perché lo sbuffo di sabbia, ormai sarà palese, non è frutto di un piccolo vortice o di un gorgo, bensì dell’atto intenzionale di uno di “loro” per lo scopo attentamente calibrato di arrecar…Disturbo.
Immaginate, dunque, di essere un Ballyhoo (Hemiram-phus brasiliensis) pesce con il becco della baia, o in alternativa un piccolo Haemulidae, o ancora un pesce rospo (Batrachoididae) che gracchiando muto nella sua piccola mente, trascorreva amabilmente la giornata. Quando all’improvviso, contro il sole Sotto l’acqua bassa arriva per stagliarsi la più odiata sagoma del mondo, lo squittente predatore della fine. Uno solo, nessun branco. Ovvio, questo è il punto chiave dell’inganno. Quindi per ragioni a voi del tutto ignote, tutto attorno si solleva un polverone impressionante, che offusca gli occhi, penetra le branchie, rende impossibile capire cosa stia nei fatti succedendo. Cosa fareste? Non salireste fino in superficie? Non tentereste di saltare oltre la barriera vorticante? Non finireste dritti, inconsapevolmente, nelle fauci dei suoi 6 o 7 compari, che tenendosi in disparte, sapevano quand’era l’attimo d’intervenire sulla scena…GNAM.

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I prossimi cento anni della portaerei Oriskany

L’inizio della fine ebbe luogo il 17 maggio del 2006, nel golfo del Messico 39 Km a sud di Pensacola, città della Florida con la più grande base aerea della marina statunitense. Una squadra di operativi altamente addestrati, con al seguito 230 Kg di esplosivo al plastico, è salita a bordo della USS Oriskany, anche detta la Possente “O”, trionfatrice d’innumerevoli complesse situazioni strategiche a partire dal 1950 e nel corso di entrambe le guerre di Corea e del Vietnam. Lungi dall’essere un’operazione segreta, la loro missione si è svolta sotto lo sguardo attento della Guardia Costiera, di un’imbarcazione della Polizia di Stato e della Commissione per la Conservazione dei Pesci e della Fauna Marina, oltre a svariati sceriffi della contea di Escambia e il resto delle frazioni amministrative circostanti. Gli agenti infiltrati, come altrettanti piccoli Solid Snake, hanno raggiunto i punti deboli della struttura e dello scafo, piazzando le loro bombe in 22 punti strategici individuati sulla base del progetto della nave. Quindi si sono calati sui loro gommoni, ed una volta a distanza di sicurezza, hanno inviato il segnale di detonazione. Chi ha detto che nessuna portaerei americana è stata affondata dalla fine della seconda guerra mondiale? Ciò non è successo IN BATTAGLIA. Se vogliamo implicare in questo termine, soltanto i momenti salienti di una campagna armata, in cui i possenti mezzi militari dei vari paesi cozzano ferocemente tra di loro, alla ricerca della più remota ed “importante” verità (chi è il più forte, chi è il più grande…) Ma una verità parimenti rilevante è che c’è un altro tipo di guerra, in cui la vittoria diventa semplicemente impossibile dopo il passare di un tempo sufficientemente lungo: l’eterno confronto tra le opere degli uomini e l’obsolescenza. Per un attimo l’aria sembrò vibrare, quindi concentrarsi in un vortice attorno al fatale luogo. Quindi tre pennacchi di fumo colossali presero forma a poppa, a prua e sopra il castello della nave. Molto lentamente, il titano dei mari lungo 271 metri iniziò ad inclinarsi in avanti, come ad emulare la storica tragedia del Titanic. Col trascorrere di interminabili minuti, scomparve la parte anteriore, quindi quella mediana. Infine, nulla restò più visibile dell’imponente oggetto. Come un lenzuolo verde-azzurro, il mare si chiuse sopra il suo nuovo tesoro. E quale prezioso dono, esso aveva ricevuto…
Il primo racconto di una visita subacquea a questa vittima dei tempi tecnologici si ha soltanto due settimane dopo, ad opera di Bryan Clark, presidente dell’organizzazione Coast Watch Alliance, dedita a conservare e proteggere l’ambiente naturale subacqueo del Golfo del Messico. Immergendosi a una profondità di 21 metri, fino alla torre centrale del vascello, e poi da lì fino al ponte di volo sottostante (44 metri dalla superficie) egli ha potuto constare le prime battute di una vera e propria invasione. All’interno del relitto, migliaia e migliaia di granchi avevano trovato la loro nuova casa, nella speranza vana di sfuggire all’assalto dei pesci predatori. I quali, a loro volta, si erano tirati dietro altri esemplari più grandi! La vita dell’Oceano si stava adattando. E la possente “O”, che aveva offerto supporto dall’alto durante il difficile periodo dell’assalto ai ponti di Toko-ri, nel più recente conflitto dimenticato dalla Storia, e poi lanciato numerosissime missioni aeree durante la crisi del Vietnam Meridionale all’interno del corridoio Hanoi-Haiphong, subendo più perdite di qualsiasi altro vascello impegnato nell’Estremo Oriente, aveva finalmente trovato il suo nuovo equipaggio. Ella, finalmente destinata all’ultimo riposo, non si sarebbe mai più mossa da lì.
L’affondamento della USS Oriskany, più grande nave del mondo mai trasformata in una scogliera artificiale, non fu presa certamente alla leggera. Nave purtroppo per lei già nata vecchia, perché facente parte dell’ultima tornata di portaerei di classe Essex ordinate nel 1942, al culmine del conflitto nel Pacifico contro l’Impero Giapponese, essa raggiunse l’epoca del varo unicamente 4 anni dopo, già dopo il concludersi delle gravose ostilità. A quel punto, modernizzata per lo meno in parte nel corso di altri 4 anni, ricevette dei potenziamenti che sarebbero diventati il modello di quelli applicati sul resto dei natanti della sua classe. E soltanto nel 1950, finalmente, poté conoscere la libertà dei flutti marini. Per rendervi conto di quale anacronismo tecnico stiamo parlando, pensate questo: fino al 1957, i suoi aerei venivano lanciati con catapulte idrauliche, dal più incredibile dei ponti di volo. Perché esso era stato integralmente ricoperto di prezioso legno di teak. Con la successiva rimozione di questo elemento, più di un celebre ammiraglio deve aver avuto l’occasione di rinnovare a poco prezzo il pavimento di casa sua…

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Occhi gialli nel tombino che appartengono all’alligatore


Sembra ci sia un’ottimo motivo, se nel grande classico horror di Stephen King prossimo al remake, It (la cosa) il clown alieno trasformista Pennywise ha scelto di annidarsi nelle fogne della fittizia cittadina Derry, nel Maine. Perché se avesse scelto, invece, di dirigersi nel meridione, presso la penisola assolata della Florida, avrebbe ritrovato il territorio già occupato da qualcuno… Di altrettanto terrificante, a suo modo. Siamo qui ad Apopka, nel centro e l’entroterra dello stato, non troppo distante da Orlando, dove Louis Camacho, camminando allegramente nel vialetto di casa, aveva percepito all’improvviso un qualche tipo di misteriosa vibrazione nel terreno. Che lo indusse senza falla, pressapoco attorno allo scorso dicembre, ad inchinarsi sulla strada, e insinuarsi con lo sguardo per scrutare nel grande spazio aperto per lo scarico dell’acqua piovana. Soltanto per scoprire che la fonte della strana sensazione, alquanto incredibilmente, era il sibilo di un animale. Intento a difendere, nell’unico modo che conosce, il suo prezioso territorio. Visivamente, la scena è fantastica. E fantasticamente terrificante. Inquadrato al centro del rettangolo nero s’intravede la sagoma di un muso tondeggiante, con due occhi sovrastanti che paiono risplendere di luce propria. La chiazza chiara sul davanti appare stranamente simile al sorriso dello Stregatto. Di fronte alla creatura, per qualche ragione inesplicabile, si trova una piccola sfera di gomma verde. Ora, non sto dicendo che questo giocattolo smarrito costituisca l’esca per qualche sfortunato bambino, un po’ come il palloncino tenuto in mano dal mostruoso essere citato in apertura. Ma è un fatto noto che gli alligatori americani, unici tra i rettili di tutto il mondo, siano soliti talvolta mettere in equilibrio un bastoncino sulla testa. Per attrarre, senza falla, gli uccellini in cerca di materia prima per costruire il nido (Some crocodiles use lures […] University of Tennessee, 2013). Troppo orribile per essere vero? E chi lo sa?
La leggenda degli alligatori fognari è una delle più antiche e rispettate nell’ambito del folklore contemporaneo urbano. Tanto che in ultima analisi, non è poi così difficile immaginare qualcuno che getta dei piccoli nella rete, semplicemente per fare un dispetto ai negazionisti delle dicerie. Che poi questi riescano a sopravvivere, o persino a prosperare, in un simile ambiente malsano, andrebbe certamente dimostrato… Ma qui siamo di fronte ad un fenomeno, in effetti, ancora differente. Il grosso rettile di Mr Camacho si trova in realtà all’interno di quello che viene definito in gergo tecnico uno storm drain, ovvero un condotto di scarico collegato direttamente ad un vicino corso d’acqua o laghetto, e quindi benché presumibilmente inquinato (siamo pur sempre, dopo tutto, al di sotto di un insediamento umano) almeno in teoria privo delle mefitiche acque nere. E questo, a conti fatti, può voler dire solamente una cosa: rischio alligatori. È una questione largamente risaputa nell’intero stato della Florida, che qualsiasi specchio liquido, non importa quanto paludoso ed apparentemente povero di fonti di cibo, finisca irrimediabilmente per essere decorato dalla presenza dei più celebri e diffusi dorsi-a-scaglie sopravvissuti alla Preistoria, gli Alligator mississippiensis. Il che genera, negli abitanti, un terrore ed una riverenza verso tali luoghi paragonabile soltanto al sacro ed utilissimo terrore degli australiani verso tutto ciò che striscia, zampetta o polipeggia tra gli scogli delle spiagge di quel rinomato paese. Sostanzialmente, si tratta di paure ataviche inculcate fin dagli anni dell’infanzia, che difficilmente possono essere superate successivamente, anche a seguito di un trasferimento in luoghi meno selvaggi e faunisticamente incontaminati. Un po’ come successo al gruppo della banda dei Perdenti, i ragazzi di Derry che nel corso della loro vita ebbero il dovere di affrontare, ed in ultima analisi distruggere, il clown-ragno Pennywise. Gli incidenti per alligatori, ai danni di animali domestici, e purtroppo talvolta anche umani, non sono d’altro canto rari: si stima che dal 1948, a causa 257 attacchi documentati, 23 vittime abbiano perso la vita. Ma non c’è niente di sovrannaturale, in tutto questo, nulla di inerentemente pianificato. Si tratta dell’effetto collaterale di una difficile ma antica convivenza, che corrobora il rapporto dell’uomo con la Natura. Nella maggior parte dei casi, nonostante le apparenze, i coccodrilli sono dei buoni…Vicini?

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