L’imponente presenza del trionfo equino di Percheron

Era l’estate del 1940 quando il cane del giovane francese Marcel Ravidat, il cui nome era Robot, sparì improvvisamente nei dintorni di Dordogne. Per lunghissimi minuti o persino un’ora, quindi, il ragazzo chiamò e chiamò ancora l’animale, finché restando a bocca aperta, scoprì l’inaspettata verità: il suo amico, pur senza riportare fortunatamente nessun tipo d’infortunio, era infatti scivolato in fondo a una depressione nel terreno collinoso totalmente invisibile dal sentiero. Ed ora lo aspettava pazientemente, all’ingresso di quella che sarebbe ben presto passata alla storia come la più importante scoperta archeologica del decennio, forse persino l’intera prima metà del XX secolo. Il giorno dopo, avendo già recuperato il cane (le cronache non parlano di come egli fosse riuscito a farlo) Ravidat tornò sul posto assieme a tre suoi coetanei dello stesso villaggio, armato di corde o torce: il gruppo era infatti quasi certo di aver trovato la leggendaria via d’accesso segreta al vicino castello di Lascaux, di cui spesso gli avevano parlato i propri genitori e parenti abitanti nei dintorni. Se non che, voltata un’ansa del passaggio sotterraneo, qualcosa di magnifico non ebbe a palesarsi dinnanzi ai loro occhi: una delle più antiche pitture parietali mai tracciate dall’uomo, che oggi sappiamo risalire al Paleolitico superiore. In essa figurava un cavallo dalle strane proporzioni, la testa piccolissima, il corpo enorme, le zampe forti e lievemente piegate all’indietro, nell’esibizione di un accenno prospettico assolutamente convincente. Fu allora che il francese, da amante degli animali quale probabilmente era, pronunciò queste fatidiche parole: “C’est… C’est le Percheron, ici”.
Ormai tutti conoscono a sommi tratti, come parte inscindibile del patrimonio culturale mondiale, le particolari immagini raffigurate su queste pareti d’arenaria, tra cui quelle dell’ormai estinto Uro, predecessore del bovino domestico dei nostri giorni. Ciò che forse non sapete, tuttavia, è come gli equini che lo affiancano in tali scenari non siano semplicemente il frutto di un artista privo di un reale senso delle proporzioni, bensì l’effettiva raffigurazione di un’altra specie delle “fattorie” del tempo, l’Equus Caballus Sequanus, i cui remoti discendenti, nei fatti, ancora camminano su questa Terra.
Con nomi come Moose North American Maid (non chiedetemi l’origine del delicato appellativo “Fanciulla Nord Americana” ma non ho grossi dubbi sulla scelta del termine “Alce”) periodicamente capace di attirare l’attenzione online come virale social, grazie a una serie di foto e video che circolano da svariati anni prima delle sua dipartita, purtroppo sopraggiunta prematuramente nel 2016, non prima di aver vinto svariati premi dal prestigio internazionale come miglior rappresentante della propria razza. Per una ragione, tra le tante: Moose, pur non avendo mai raggiunto l’invidiabile titolo di cavallo più grande del mondo, misurava “appena” 1,9 metri al garrese, in pratica abbastanza da riuscire a ricordare, con la propria inusitata imponenza, le leggendarie dimensioni del cavallo di Troia, cui tra le altre cose assomigliava anche, per la linea nobile del muso, le zampe lunghe e affusolate, il corpo aggraziato nonostante le proporzioni elefantiache del suo complesso. Vantando nei fatti le caratteristiche di una preziosa eredità genetica, la cui origine, persino oggi, potrebbe fare invidia a quella di una dinastia regale europea…

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L’eccezionale gatto con il volto triangolare di un pipistrello

Fini ed eleganti, dignitosi nel loro senso di profonda ed assoluta nobiltà. Talvolta simpatici. Certe altre, o per meglio dire in certe date, addirittura spaventosi in quanto messaggeri di coloro che sono da tempo trapassati Altrove. Per interi millenni, l’umanità si è interrogata in merito a cosa possa sottintendere, esattamente, l’identità dei gatti! Sin dall’epoca dell’Antico Egitto e da lì a seguire, quando simili animali, tanto vicini e al tempo stesso distanti da noi, furono venerati come Dei, sorveglianti sovrannaturali, spiriti del tempo che trascorre senza mai cambiare il senso fondamentale dell’esistenza… Ed uno dei primi trattati a venire scritti su carta sull’argomento, giungendo in questo modo intatto fino a noi, risulta essere senz’altro il Tamra Maeo (ตำราแมว) raccolta di componimenti in versi thailandese entro cui vengono catalogati, l’uno dopo l’altro, i diciassette tipi di felini con funzione apotropaica (ovvero in grado di portare fortuna) e le sei razze di gatto che, invece, dovrebbero essere tenute a distanza. Tutte quante rientranti, come del resto le controparti considerate naturalmente adatte al palazzo del Re, in un ventaglio di possibilità che oggi non esiteremmo a definire come allineato con le caratteristiche del gatto del Siam, il cui aspetto è oggi tra i più noti delle case, per la grazia estetica, il comportamento relativamente socievole e l’affetto che risulta in grado di mostrare al suo padrone.
Tuttavia nel contesto della suddivisione moderna, attribuire tale termine a un felino non ha ancora detto tutto: poiché esistono, anche oggi, due tipi fondamentali di siamese. Il primo è quello così detto della testa a forma di mela, ovvero tondeggiante e dalle proporzioni relativamente indistinguibili da qualsiasi altro miagolante abitante delle nostre case. Ed il secondo lo chiamano il “siamese moderno”; ora, se non ne avete mai visto uno, vi assicuro che non siete preparati. Muscoloso e luungo, come un levriero, le orecchie quasi sproporzionate nella loro dimensione ipertrofica, talvolta portate dritte sulla testa ricordando i padiglioni di un pipistrello, certe altre flosce, in una perfetta quanto non intenzionale imitazione dell’elfo domestico Dobby della serie di Harry Potter. Tuttavia una simile linea di distinzione, come si confà allo stereotipo della suddivisione in razze tra i felini, non è sempre netta e impercorribile, tanto che esistono esemplari di siamese in cui convivono caratteristiche del gatto tradizionale, così come la sua controparte frutto della selezione genetica occidentale. Ed ecco il caso di un’alternativa tipologia, o per meglio dire serie di tipologie, nata da principio sopra americano e poi ripresa in quello inglese subito a seguire, in cui l’originale gatto thailandese ha ormai lasciato il passo ad un qualcosa di diverso… La creatura degna di entrare a pieno titolo nei nostri sogni più sfrenati: l’oriental, disponibile in due versioni, shorthair (pelo corto) e longhair (…) delle quali oggi prendiamo in analisi la prima, forse il felino più aerodinamico che sia mai stato creato dalla manipolazione intenzionale delle linee ereditarie da parte di mani abili, e per questo prive di alcun tipo d’incresciosa titubanza procedurale…

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George, l’oca cignoide che accompagna ovunque il suo padrone

Così dicono, che all’interno delle alte/magiche mura della catena di grandi magazzini Walmart sia possibile trovare qualsiasi cosa: pneumatici, proiettili, papere di gomma e pulsossimetri di tipo non professionale. Addirittura le ossa di dinosauro. Ma chi l’avrebbe mai pensato? Che quest’ultimo particolare articolo potesse fare il suo ingresso oltre il dorato arco ancora ben protetto dalle piume candide di una creatura, che a tutti gli effetti può essere descritta come il più diretto erede del parasauro, con la sua cresta ossea che prosegue diagonalmente l’arco cranico superiore. Un essere che è al tempo stesso significativo dal punto di vista tassonomico, ed anche un grazioso ed amorevole animale domestico, per la risposta empatica mostrata a quel richiamo iterativo “George! George! GEORGE!”
Perché davvero, quale miglior modo di far avvicinare il pubblico di Internet al mondo fantastico degli animali? Che prenderne il rappresentante più vicino a se, vestirlo di tutto punto e trasformarlo, tramite la costruzione di una scena, nel vero e proprio personaggio di un cartoon… Calzino di Natale al collo, trasformato nel collo alto di un golfino a strisce bianche e rosse. Giubbotto da “cane di supporto” del tipo usato dalle guide a quattro zampe dei non-vedenti, benché sia probabile che l’oca in questione, nella realtà dei fatti, non abbia conseguito (ancora) il necessario tipo di diploma. Né appare necessario un tale passo, data l’energia e salute mostrate dal suo accompagnatore ed amico umano soprannominato CraZBob1 della regione di North Woods (probabilmente, siamo in Minnesota) che ne ha trasformato le peripezie, recentemente, in contenuti di alta visibilità su YouTube, Instagram e gli altri social network del Web. Perché tutti sono in grado di disegnare qualche piuma sul velociraptor, nel tentativo di farlo rassomigliare a un pollo gigante. Ma soltanto pochi eletti possono pensare di trasformare questo letterale ornitischio dei nostri giorni nella versione bipede di Spot o Felix, rappresentanti rispettivi della canide o felina persuasione. Specie quando si considera la discendenza effettiva di costui, pennuto, corrente depositario di una specie che trova le sue origini all’incirca 300.000 anni fa nell’entroterra mongolo, la Russia e la Cina settentrionale. L’Anser cygnoides, originariamente selvaggia e migratoria, prima di essere addomesticata soprattutto in funzione di una dote particolarmente significativa: quella di arrivare a deporre circa 100 uova ogni anno tra febbraio e giugno ed altrettante nella parte rimanente dell’anno. Abbastanza per nutrire una famiglia o alternativamente, costruirne una quanto mai numerosa. Ma dopo aver colpito i suoi nuovi amici umani grazie a tale dote, sarebbe stato successivamente proprio il suo carattere innato, a riuscire a conquistarli per la vita…

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L’essenza taurina del Texas riassunta tra le corna di un bue

Nella gerarchia diabolica dei cerchi che ricevono i peccatori del mondo, la lunghezza delle corna può costituire un importante indicatore per lo status di chi ha il compito di amministrare ricompense & punizioni (soprattutto le seconde) tra gli stimati ospiti di tali occulte profondità. Diavoli simili a mufloni, antilopi, orici o stambecchi della Nubia. Qualche cervo, all’occorrenza… Ma c’è un solo tipo di creatura, nell’iconografia che si perpetra lungo i secoli, per Belzebù in persona, Satanasso ovvero il grande dirigente o manager di quest’azienda: l’esemplare maschio del bovino addomesticato, perfetta rappresentazione della massa muscolare, l’imponenza, la presenza di un’inamovibile possenza. Colui che tira innanzi il grande carro degli eventi, indipendentemente dal fatto che il campo sia già stato arato, oppure no (coperchi? Non fatemi ridere, per piacere!) D’altra parte esistono, per vasta cognizione acquisita, diavoli buoni o cattivi, dediti all’una, oppure l’altra strada di quel bivio che costituisce la struttura largamente artificiale del pensiero umano. E non che credo che molti potrebbero conservare alcun tipo di dubbio, su quale sia la strada intrapresa da Poncho Via di della cittadina di Goodwater, Alabama, forma tangibile o vera e propria personificazione di un tale personaggio, per quanto ci è dato di comprendere dalla larghezza del suo ineccepibile “manubrio cranico”: 323.74 centimetri che corrispondono, tanto per usare le metafore ufficiali, a due pianoforti a coda formato baby uno di seguito all’altro, oppure al volto della Statua della Libertà, quella Lady che da sempre viene sopravvalutata nelle proprie dimensioni tangibili, più che altro per la potenza simbolica delle sue forme.
Bovino che con il rivoluzionario messicano Pancho Villa assassinato nel 1923, grande generale e trionfatore di molteplici battaglie contro i Costituzionalisti, ha ben poco da spartire tranne l’assonanza del nome, data l’indole straordinariamente pacifica e bonaria, incapace di nuocere in qualsiasi modo salvo il presentarsi di possibili incidenti, come quando uno dei suoi padroni e allevatori si trovava accanto a lui a pescare, e per il gesto istintivo di scacciare via una mosca, finì per spingerlo col palco impressionante direttamente dentro l’acqua dello stagno. Il che tra l’altro, rientra totalmente nell’analisi etologica del Texas Longhorn, bovino simbolo dell’eponimo stato nonché razza nota per l’indole mansueta che la rese straordinariamente adatta, assieme alla capacità di resistere agli sforzi e la siccità, per percorrere le molte centinaia di miglia, a partire dal 1860, dei grandi traslochi di mandrie dal più vasto e povero degli stati verso il facoltoso settentrione, facendo la fortuna di quell’intera categoria sociale, che oggi siamo soliti riassumere nell’iconica figura americana del cowboy. Ma questa, come si dice, è tutt’altra storia…

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