Auto d’illusione che corrono per Xbox One

Forza ESPN

Sul finire di un’epoca, grandi battaglie, sfide feroci, scenari laboriosi e momenti apocalittici dal pathos travolgente, paragonabili a quelli di un importante campionato motoristico. Tutto conta, anche una singola pubblicità. In questo 2013 siamo attualmente in bilico, sospesi fra due diverse visioni contrastanti, delle quali soltanto una potrà finalmente prevalere, di qui a Natale, o poco più. C’è un motivo, se da oltre 10 anni giochiamo sostanzialmente con le stesse cose, anzi molte ragioni, tutte pratiche, estremamente convenienti per ciascuna delle parti coinvolte. Loro, in cerca di guadagno e noi, che nostro malgrado li stipendiamo, giocatori speranzosi. Cambiare costa, comporta rischi e non sempre conduce all’esito sperato, specie per un ambiente come quello videoludico, ormai governato tramite l’oligarchia di un ferreo triumvirato: Nintendo, Sony e Microsoft. Anno dopo anno, le pochissime aziende davvero rilevanti, per lo meno dal punto di vista dell’hardware, gareggiano fra loro a colpi di titoli esclusivi, sorpassi di vendite e/o traguardi di popolarità. Però il manto stradale su cui competono è talmente tortuoso, così sdrucciolevole che spesso qualcuno finisce fuori strada…come l’antica Sega, ormai decaduta al ruolo di publisher secondario, oppure l’eterna Atari, smembrata in mille piccole, insignificanti compagnie. Così è la vita, anzi, l’industria. Stavolta, chi avrà ragione? Se sparisse la distanza tra il mondo materiale e quello percepito, attraverso il sensibile, dalla nostra soggettiva mente, tutto raggiungerebbe un epilogo trionfale, sopra un podio esteso a mille, duemila vincitori. Mentre l’occhio, con la sua amica l’evidenza, ci dimostrano esattamente il contrario: che pochi, sono vittoriosi. E in questo dualismo fra fattori contrastanti (realtà-percezione), è custodito il punto fondamentale del problema, come dimostrato anche dall’ultima pubblicità prodotta a sostegno dell’X-Box One, che sfrutta l’appeal del nuovo driving game di Microsoft, Forza 5. La sequenza, creata dalla pluri-premiata agenzia di San Francisco 215McCann è stata pensata per la trasmissione sul canale ESPN, sinonimo statunitense del concetto di TV tematica sportiva. Si propone l’obiettivo, non facile, di dimostrare al pubblico l’effetto dello zootropio più veloce al mondo. Si tratterebbe poi di un vecchio giocattolo, tanto ingigantito per l’occasione che è diventato pista: quella del Barber Motorsports Park a Birmigham, nello stato dell’Alabama. Qui, al suono soave di una strana musica, corre rapido il pilota Tanner Foust, uno dei conduttori dell’edizione americana di Top Gear, dentro la sua splendida McLaren MP4-12c (di un vistoso color giallo). Ma quello che maggiormente conta, neanche a dirlo non è lui, bensì ciò che si trova ai margini della strada. Centinaia di schermate incorniciate, dentro altrettanti solidi cartelli.

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Corvi carnivori e fantocci messicani

Chipotle

La nuova campagna pubblicitaria della catena di fast food Chipotle Mexican Grill, major statunitense specializzata in burrito, taco e fajita, si propone di sensibilizzare il suo pubblico contro i rischi dell’allevamento industriale e dell’agricoltura intensiva, mostrando attraverso uno stile creativo, affine a quello della Pixar, le conseguenze più estreme a cui si potrebbe giungere con l’uso indiscriminato di estrogeni e della manipolazione genetica, andando a discapito del benessere di tutte le parti coinvolte fra cui, non ultimi, noi affa(sci/m)ati esseri umani. Il contesto, ricco di allegorie vagamente didascaliche, per quanto mai stereotipate, è altamente distopico fin dai primissimi secondi del video. Perché se mai c’è stato un personaggio sfortunato, dall’epoca del Mago di Oz,  questo è il comune spaventapasseri. Di sicuro Scarecrow, l’anonimo e triste protagonista del racconto, non fa eccezione alla regola. Costretto per nascita, o dagli spietati crismi della crisi economica, a lavorare per l’imperiosa Crow Foods Inc, vive in campagna e mal sopporta il grigiore dell’ambiente cittadino, dove però, per sua sfortuna, si trova l’enorme stabilimento della compagnia. Timbrato il cartellino comincia il suo turno, sulle note tristissime di Pure Imagination, cantata da Fiona Apple. E non è chiaro quale sia il compito designato del povero senza-volto, se non quello di farci da orfico traghettatore in quest’antitesi della Fabbrica di Cioccolato, piena di nastri trasportatori quasi escheriani, minacciosi corvi meccanici e minuscole gabbie per mucche. Da certi pratici portelloni aperti nell’alto muro della fabbrica, che separano i clienti da tutto ciò che “non si deve vedere” fuoriescono a flusso continuo hamburger, patatine ed altri gustosi pasti, fra la gioia degli ignari piccini locali, navigati masticatori di carni non meglio identificate. Lui sale in cima con l’ascensore, si guarda attorno, coglie lo sguardo triste di un collega. Nei suoi occhi rivede quelli abbattuti del pollo gonfiato ad aria compressa, della mucca stolida e implorante. E quindi, preso dal vezzo del momento, decide di prendersi una piccola rivincita. Tornato nella sua fattoria, coglie un fatale peperoncino chipotle (simbolo dell’omonimo fast-food) e si mette a cucinare liberamente, secondo i suoi metodi tradizionali. La regia glissa sulla macellazione dei piccoli amici animali, probabilmente considerata troppo poco disneyana per l’occasione.

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Tocchi la mucca, esce la cioccolata

Milka

Succede in Argentina. Lungo una strada, in un pomeriggio che sembra come gli altri, trovi una mucca che ti guarda. Lei aspetta che gli appoggi una mano sopra il muso. Di fronte, c’è dell’invitante cioccolata. Entriamo nello specifico: l’animale è viola, infuso d’invisibile corrente voltaica Pikachu-esca e il cibo è racchiuso dietro a un vetro, sopra una piattaforma con le ruote. Ecco, ovviamente la mucca non è come tutte le altre. Non è neanche, vera. Sembra quasi l’inizio di un esperimento, finalizzato all’acquisizione dei pattern comportamentali dimostrati dalle cavie o topi da laboratorio. Soltanto che i soggetti non sono roditori, ma passanti (teoricamente) inconsapevoli, posti di fronte ad un problema. Che si può risolvere soltanto con la collaborazione, alleandosi verso una finalità comune. Per ogni volta che si usano le mani, trasmettendo il flusso fino al vicino distributore, esce la deliziosa tavoletta premio. Però quel dannato arnese si sposta continuamente più lontano, ancora e ancora… E la catena deve allungarsi! Questo, dopo tutto, non è che l’ultimo capitolo dell’eterna lotta fra l’uomo e i suoi servitori sintetici recalcitranti. Per uno dei loro, dieci, cento dei nostri? Purché serva all’ottenimento dello scopo. La fame distrugge gli ostacoli sociali, ci avvicina e mette tutti d’accordo, anche tra perfetti sconosciuti. Il resto è “semplice” termodinamica della capacità dielettrica mucca-uomo. (Partecipazione sconsigliata a chi è dotato di un pacemaker.)

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Il bracciale che sostituirà le nostre chiavi e password

Nymi

La via per accedere al cuore di un uomo passa attraverso la cucina, dicono. E da oggi sarà vero anche l’inverso: per entrare dentro una cucina o camera da letto, dovrai passare attraverso il nucleo segreto del Suo cuore. Non fisicamente, anche perché tale proposito porterebbe a significative complicazioni di carattere cardiovascolare, bensì mettendo a frutto lo strumento omni-pervasivo della solita tecnologia moderna. Nymi è un braccialetto, sobrio se non proprio bellissimo, dotato di un sensore biometrico per la misurazione del battito cardiaco. Fin qui tutto normale, vista la diffusione di simili prodotti in qualsiasi negozio che venda articoli sportivi. Però, piuttosto che rivolgersi a podisti e altri praticanti di attività fisiche controllate, la ragion d’essere di un tale implemento sarebbe qui di tutt’altra natura, anzi potenzialmente quasi rivoluzionaria: farsi riconoscere con sicurezza da ogni tipo di meccanismo artificiale della società civilizzata, tramite lo standard senza fili del Bluetooth. Il nostro ECG è unico e inimitabile, come un’impronta digitale. Nel video di presentazione, girato secondo le ormai precise regole dell’iMarketing (l’idillico stile promozionale inventato dalla Apple) viene mostrata l’abbagliante visione di un futuro che dovesse adottare, tout court, questo innovativo metodo di autenticazione. Un giovane ben vestito, l’ipotetico executive di una generazione che quel particolare ruolo l’ha visto solo da lontano, apre la porta di casa, la macchina, il tablet, il cellulare, la valigia, il registratore di cassa di un ristorante, il portellone di un aereo… Apre tutto e tutti, praticamente qualunque cosa, senza tirare fuori neanche una password o chiave fisica di alcun tipo. Il suo laptop, spontaneamente, lo saluta per nome. Entra nell’hotel e appese alle pareti, come per magia, compaiono le foto della sua famiglia. Ora, a parte l’ultimo punto che magari lascerebbe un po’ il tempo che trova, va detto che in questa campagna pubblicitaria c’è una chiarezza d’intenti davvero singolare, degna di essere lodata. Nell’epoca in cui simili prodotti promettono di continuo l’impossibile, tutto quello che viene mostrato sarebbe in effetti piuttosto facile da implementare, previa diffusione di questo interessante prodotto. Il problema è sempre quello: l’imposizione di uno standard nuovo, soprattutto in un campo delicato come quello della sicurezza. Per lo meno, Nymi può vantare una genesi scientifica di tutto rispetto.

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