Il principio della nave che avrebbe attraversato l’Atlantico con sei ruote motrici

Il problema del metodo scientifico ed il motivo per cui, ancora oggi, non piace a molti è che applicarlo significa spesso gettare da parte i propri sogni e le relative speranze, sostituendoli con la glaciale realizzazione che il mondo opera in base a delle regole precise. Non sempre o quasi mai allineati a ciò che apparirebbe “logico” nella purezza operativa del pensiero basato su considerazioni pregresse. Così macchine volanti, le prime automobili e i battelli in grado di sommergere se stessi senza affondare dovettero fare i conti, nel corso dello scorso secolo, con accorgimenti ingegneristici essenzialmente contrari alle metodologie di superiore estetica ed efficienza. Ed in questo modo l’inventore francese Ernest Bazin, già creatore dell’aratro elettrico, un taglia-verdure, una macchina idrostatica per fare il caffè, nel 1891 cominciò ad armeggiare con un singolare modellino in legno di forma rettangolare integrato con sei galleggianti rotativi dalla forma lenticolare. Un’imbarcazione, nonostante le apparenze, almeno parzialmente basata sui dieci anni trascorsi a partire dall’età di 15 per volere del padre, che l’aveva fatto imbarcare come mozzo su un vascello destinato a girare il mondo. Esperienza destinata a farne un pensatore eclettico, ma anche un avventuriero e soprattutto la persona dotata dell’insolita commistione di capacità opportune a rivoluzionare, un giorno, l’intera industria dei trasporti navali. Dovete considerare, a tal proposito, come al ritorno in Francia dopo il 1855 egli ebbe modo di recarsi a corte incontrando personalmente Napoleone III, il re del Belgio e il Granduca di Russia. Così che non gli sarebbe stato difficile, col progredire degli anni, trovare investitori pronti a rendere possibili e sostenere le proprie idee fino alla fondazione assieme al fratello Marcel nel 1893 della società per azioni parigina Navire-express-rouleur-Bazin. Nessuno si sarebbe d’altronde sognato di mettere in dubbio in quel momento il balzo quantistico offerto dall’avveniristica bateau rouleur o “nave rotolante” che avrebbe condizionato, di fronte ai posteri, l’apice finale della sua lunga carriera. Un sistema di massimizzare la velocità e minimizzare i consumi che traevano l’ispirazione, sotto ogni punto di vista ragionevole, da preconcetti che nessuno avrebbe potuto confutare empiricamente all’epoca. Non era forse vero, d’altronde, che i catamarani riuscivano a spostarsi più velocemente di qualsiasi altra nave da crociera esistente? E ciò non avveniva, forse, per il fatto che la superficie dello scafo posta a contatto l’acqua risultava quantitativamente inferiore ad altri tipi di soluzioni convenzionali? “Dunque immaginate se l’intera parte della nave a contatto con i flutti marini cominciasse, adesso, ad assecondarne i movimenti.” Avrebbe esordito nella propria conferenza esplicativa “Scorrendo via letteralmente sotto il battello, in maniera analoga agli efficaci e paralleli semiassi di un vagone ferroviario…”

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PL-12 Airtruk: l’anima italiana che caratterizzò l’aeroplano più bizzarro dell’emisfero australe

Una piccola elica e la cabina costruita a svilupparsi in senso verticale, ricordando un pesce della barriera corallina. Due ali principali ed un altro paio poste a fargli da ombra collegate con dei montanti, molto più corte, da cui sporge un carrello dai tre pneumatici simmetricamente distribuiti. Ed un paio di… Code? Poste in parallelo, totalmente scollegate l’una dell’altra, al termine di altrettante derive lievemente rastremate della corta fusoliera. È proprio vero, verrebbe quasi da esclamare, che con la giusta quantità di potenza quasi QUALSIASI cosa può riuscire a staccarsi da terra! Benché un’apparente mancanza d’efficienza, in certi determinati casi, possa tendere a portare in errore.
Fin dalla sua genesi etimologica, il termine anglofono truck ha voluto significare ben più della sua diretta traduzione come camion o autocarro, volendo indicare in senso più ampio il veicolo dotato di ruote la cui funzione fosse allineata con il senso più utilitaristico dell’esistenza. Carrozze da trasporto, all’epoca del Medioevo in cui venne perfezionato l’idioma destinato a diventare lingua franca di metà del mondo e con l’ingresso nell’epoca dei motori, tutto l’ampio comparto di SUV, fuoristrada o pickup stradali, inclusi come approcci personali alla necessità di movimentare una certa quantità di materiali inerti. Vedi il caso dell’attuale strano Tesla Truck di Elon, ma anche il prodotto di un’altra fervida mente tecnologica, vissuta tra il 1913 e il 2001, la cui funzione fondamentale era sostanzialmente quella di poter riuscire a staccarsi dal suolo. Pur non assomigliando, effettivamente, ad alcun aereo costruito fino a quel momento o nelle decadi a seguire, rispondendo unicamente ai crismi convenienti di quel mondo del design assecondato da un’inerente ricerca estetica di distinzione, tanto indissolubilmente associato anche nell’immaginario collettivo alla cultura del nostro paese. Giacché italiano era Luigi Pellarini (come dubitarne, visto il nome) ed originario nello specifico della città di Milano, quando nel 1944 si associò con la Carrozzeria Colli per la produzione e dimostrazione al pubblico del suo primo prototipo degno di nota: l’auto volante P1, sostanzialmente un piccolo aereo da turismo con quattro pneumatici stradali, dotato di due ali pieghevoli che potevano essere posizionate sopra il tetto, riducendo il suo ingombro stradale a quello di una vettura utilizzabile nel quotidiano. Così percorrendo 1800 Km per tutta la penisola da Torino a Bari, passando per Roma ed Ancona, egli fece quindi ritorno nella sua città, dove la presentò ufficialmente al cardinale Schuster, occasione in cui il settimanale il Tempo soprannominò la proposta veicolare con l’altrettanto insolita definizione “L’angelo degli adulti”. Tutti sembrava andare dunque per il meglio, fino al momento in cui sembrava di essere ormai prossimi alla produzione in serie…

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La lunga genesi del parco eolico sul tetto del mondo

Il fatto stesso che siamo diventati tanto efficienti e rapidi nell’edificazione di una completa installazione energetica offshore, con potenziali dozzine d’imponenti mulini a vento che spuntano surreali tra le acque come in un quadro di Salvador Dalì, è la prova evidente della sostenibilità economica di un tale approccio alla generazione di energia, anche senza considerare l’importanza di un simile approccio per il futuro dell’ambiente e la conservazione di una valida parvenza d’integrità ecologica per il nostro già provato pianeta. Il che non può porre in subordine, d’altronde, l’elevata quantità di risorse necessarie al completamento di un simile progetto, l’impegno spesso pluriennale ed una dose imprescindibilmente elevata di know-how necessario, affinché si possa mettere in funzione l’operante prospettiva dell’appalto generalmente concesso in via diretta dal governo di una delle maggiori potenze economiche esistenti. Come per l’appunto la Cina, attuale leader mondiale per quantità e resa energetica delle proprie installazioni eoliche onshore in luoghi spesso remoti, un merito oggettivo indipendente dalle divergenze o spregiudicate mosse compiute sul sentiero per affermarsi nel proprio ruolo di superpotenza fermamente intenzionata a espandere i propri confini sulla base di un diritto politico autonomamente fabbricato. Giustapposizione guarda caso estremamente rilevante per quanto concerne il parco delle pale nel distretto di Seni, finalmente connesso alla rete in questo inizio del 2024 poco sopra la città di Nagqu alla quota impressionante di 4.650 metri, superiore a quella di qualsiasi altro complesso simile attualmente esistente. Giusto in quella che gli atlanti nazionali chiamano ostinatamente Regione Autonoma di Xizang, con i nome subentrato a quello storico, la bandiera e l’identità creata dal popolo tibetano stesso. Benché alcuna pregressa imposizione di un sistema di governo straniero, anche se fondata su azioni improprie e l’uso delle armi moderne, non possa né dovrebbe idealmente sovrascrivere i meriti di un avanzamento tecnologico o infrastrutturale atto a risolvere un palese bisogno. Con un intento indubbiamente duplice atto a giustificare il mantenimento del nuovo stato delle cose, ma anche l’inerente concessione di un miglioramento della qualità della vita. In questo caso derivante dalla possibilità di mantenere acceso il riscaldamento domestico più a lungo per una porzione degli oltre 230.000 abitanti condizionati dal lungo ed impietoso inverno tra le montagne più alte del mondo. In un ambiente che per il resto apparirebbe conforme a quello di una confortevole e moderna realtà urbana ma che non può semplicemente ricorrere a fonti di energia capaci di squilibrare il prezioso e fragile ecosistema locale. Obiettivo non particolarmente facile da raggiungere, quando si considera la distanza di un tale sito dalle coste dell’oceano comunemente usate al fine di trasformare il vento in potenza. Lasciando soltanto sentieri alternativi, formalmente opposti ma egualmente funzionali alla generazione di un flusso d’aria veramente efficace…

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Dalla Svezia un’efficace alternativa ai sacchetti sabbia per le alluvioni

Rosso, solido, di plastica, con una riconoscibile struttura angolare. Dotato dell’aspetto pratico di uno strumento conveniente nel quotidiano, come una graffetta, una puntina, una vite per l’intonaco dei muri. Che un individuo in tuta da lavoro pone sul sentiero dell’incombente, imprescindibile devastazione. Andando incontro ad un palese margine di miglioramento.
“L’acqua non può essere fermata” L’avevate mai sentito dire? È uno degli assiomi più frequentemente ripetuti negli ambienti della protezione civile, come presa di coscienza di una delle caratteristiche basilari del secondo elemento più abbondante del pianeta Terra, sempre e in ogni circostanza incline ad essere animato dal potente desiderio di procedere verso il basso. Per cui la sua unica sconfitta a lungo termine può essere individuata nel processo naturale di evaporazione, che richiede spazi idonei per l’accumulo, ed un tempo abbastanza lungo perché il l’astro diurno compia il suo miracolo quotidiano. Ma che dire in tutte quelle situazioni d’incombente disordine o naufragio metaforico, dovute all’occorrenza di una pioggia significativa, possibilmente accompagnata dalla tracimazione dei corsi o bacini idrici pre-esistenti? Quando la propagazione dei torrenti si trasforma, in un risvolto totalmente prevedibile ma non meno tragico per questo, nell’azione invadente degli spazi normalmente occupati dall’uomo e i suoi tesori, i suoi santuari, le sue abitazioni di pregio… Con l’unica possibilità rimasta di “sviare” il grande impulso verso luoghi alternativi, ovvero mettere al servizio collettivo l’essenziale assenza di un intento nel verificarsi dei disastri. Offrendo, per quanto possibile, un sentiero di minore resistenza attraverso la collocazione di barriere temporanee d’incanalamento. Granuli all’interno di contenitori globulari, normalmente, ovvero quegli ammassi di sabbia e stoffa che un tempo erano associati alla necessità di arrestare l’energia cinetica dei proiettili sparati dallo schieramento nemico. Ma i sacchetti non sono leggeri, né maneggevoli, né semplici da stoccare o trasportare presso il luogo del bisogno. Ecco l’idea alla base del sistema Boxwall della NOAQ Flood Protection AB di Näsviken, con sede presso i laghi di Dellen a nord di Stoccolma. Una compagnia che ha fatto della plastica la propria arma, e dello stampaggio di angolari forme geometriche un percorso privilegiato verso la risoluzione di uno dei maggiori problemi dell’umanità in pianura…

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