Intuire la vera natura delle cose, piuttosto che comprendere l’aspetto intrinseco degli animali, significa talvolta osservare a lungo e attentamente, confrontare i dati, saper cogliere i particolari. In altri casi, basta essere abbastanza fortunati nelle contingenze: può in effetti capitare presso fiumi, laghi o stagni della maggior parte d’Africa, di scorgere un uccello rossastro con gli occhi cerchiati di marrone fare ciò che gli riesce meglio: galleggiare andando in cerca, con il proprio becco, delle prede minuscole nascoste in mezzo ai flutti. Se non che più passano i minuti, subito seguiti dalle ore, maggiormente sarà chiaro che costoro si cimentano piuttosto raramente nel tipico tuffo delle oche o anatre, che culmina con il ritorno in superficie coincidente con l’azione masticatoria. Ma piuttosto tornano regolarmente a riva, per andare in cerca di semi, foglie, erba e insetti del sottobosco. Questo perché la cosiddetta oca egiziana non fa esattamente parte di quel gruppo tassonomico da cui riceve il nome. Avvicinandosi piuttosto, per quanto possibile, al gruppo tassonomico delle bernacce, anatidi viventi al giorno d’oggi per lo più in Sudamerica, sebbene un tempo avessero un areale assai probabilmente cosmopolita. Ciò benché, risulta utile specificarlo, la qui presente Alopochen aegyptiaca sia di un genere del tutto monotipico in realtà più simile alle anatre, il che la rende priva di parenti che non siano stati, nella più recente delle ipotesi, cacciati fino all’estinzione dai nostri progenitori. Un destino che sarebbe in effetti potuto toccare anche a lei, se non fosse stata giudicata sacra all’epoca degli antichi Egizi, quando assieme ai gatti veniva addirittura allevata nei recinti del tempio, per gli occasionali sacrifici destinati alla consacrazione di una data, un gesto, un sommo faraone regnante. Da sempre messo in relazione con il padre degli Dei, Geb, signore della Terra che ne recava un effige sopra il capo nei geroglifici impiegati per rappresentarlo, questo uccello è stato anche collegato al fondamentale concetto dell’uovo cosmico, macrogamete da cui avrebbe tratto origine lo spazio planetario ed ogni essere che oggi deve condividerlo con gli uomini depositari della verità.
Molti secoli, svariati millenni sarebbero trascorsi dunque, affinché un’impostazione più scientifica venisse adottata nell’approfondimento di tali diffuse e riconoscibili creature, da parte di Linneo stesso nel suo Systema Naturae del 1766, ove qualificò il pennuto sulla base di una descrizione creata qualche anno prima dal suo collega Mathurin Jacques Brisson. Che l’aveva originariamente chiamata Anser Egyptiatiacus, binomio destinato a successiva alterazione per le differenze dall’oca europea, ed il diverso modo di riportare quel toponimo nella terminologia corrente. Non che ciò avrebbe impedito, alla svolazzante proprietaria, di cercare in seguito fortuna all’altro capo del Mar Mediterraneo…
evoluzione
Un guizzo nel torrente montano: la preziosa storia dell’ornitorinco europeo
Colonizzata in ogni angolo e modificata fin dai tempi antichi per accogliere gli umani e dare spazio alle loro esigenze, l’Europa è il regno non così selvaggio di mammiferi largamente simili tra loro: piccoli mustelidi, qualche timido ungulato, i pochi orsi e/o lupi rimasti in remote valli fluviali o montane. Poche tracce della biodiversità tipica degli altri continenti sopra e sotto l’Equatore, sebbene molte delle linee di discendenza possano essere remotamente ricondotte ad antenati comuni. Con pochissime, ma estremamente significative eccezioni. A cosa potrebbe mai davvero assomigliare, a tal proposito, il Galemys pyrenaicus, desman o rat-trompette non più lungo di 25 cm, originario della cordigliera situata sul confine tra Francia e Spagna? Con un’altra specie simile, sebbene grande il doppio e appartenente a un genere tassonomicamente distinto, individuabile nel Desmana moschata della Russia europea, che abita negli elevati torrenti degli Urali, oltre a svariati affluenti del Volga e del Don. Creature con la simile abitudine di dare la caccia a larve d’insetti ed altri invertebrati subacquei, un compito per il quale l’evoluzione sembrerebbe averlo attrezzato con notevole perizia. Trovandoci effettivamente innanzi, in entrambi i casi, a creature composite degne di un illustratore medievale dalla fantasia particolarmente sviluppata: con una parte posteriore simile ad un ratto comune, fatta eccezione per le zampe palmate adibite al nuoto, mentre quelle anteriori dotate di artigli lo rendono effettivamente simile a una talpa scavatrice, laddove la caratteristica ed articolata proboscide ricorda, in modo superficiale, il muso tipicamente rappresentativo di un toporagno. Sebbene l’efficacia sensoriale della stessa, molto più grande anche in proporzione e fornita di mobilità eccellente, si trovi letteralmente all’apice si quanto il mondo animale abbia saputo produrre, soprattutto dal punto di vista della percezione tattile dei movimenti delle sue microscopiche prede. Ciò grazie alla presenza in quantità preponderante delle cellule specializzate note come organi di Eimer, delle papille innervate dalla precisione eccelsa e coadiuvata, nel presente caso, da un giro di vibrisse alla radice di tale organo tanto caratteristico ed importante per la sopravvivenza del piccolo predatore. Completa la dotazione un organo di Jacobson o vomeronasale, calibrato per la percezione di una gamma di odori e sostanze chimiche che noialtri non potremmo neppure cominciare ad immaginare. Il tutto facente capo ad un sistema cognitivo in alcun modo inferiore a quello degli intraprendenti topi domestici ed urbani, capace di permettergli la decodificazione di segnali complessi, la memoria delle forme, la deduzione finalizzata ad individuare possibili fonti di nutrimento…
Può un doppio stendardo compromettere l’aerodinamica del succiacapre africano?
Sul frinir della sera al compimento di un chiassoso meriggio africano, nel biodiverso Senegal e parte d’Etiopia, l’ideale scrutatore dei cieli può essere abbastanza fortunato da scorgere l’inconfondibile forma tripartita. Come un triangolo perfettamente regolare, flessuoso e mai invariabile, l’ombreggiata comunione di creature volanti; screziate di un marrone a strisce bianche, il becco piccolo, gli occhi tondi e scuri. IL becco, uno soltanto; giacche i corrispondenti vertici di ciascun fluttuante triangolo, uccelliformi meramente nell’aspetto, seguono da presso quello che costituisce alfine il “corpo” principale. Essendo questi ultimi delle corpose piume, e nulla più. Fluttuanti e liberi ornamenti, nulla più. Oh, Caprimulgide di un tipo vessillario, che scientificamente fu chiamato C. longipennis! (con sempiterno e furi luogo ironica reazione degli anglofoni, per l’assonanza del latino al termine evocante l’organo della metà maschile) Quale torturante, accidentato e del tutto imprevedibile tragitto evolutivo, ci ha portato all’esistenza esagerata di un simile “tratto” fenotipico? L’eccezione che conferma alcuna regola, giacché mai figura l’evidente o necessaria esistenza, di un simile bagaglio destinato ad alterare i flussi dell’aria che sovrasta i territori del Mondo. Guardatelo, come si muove, d’altronde: con la doppia piuma alare che figura in dimensioni pari o superiori ai 20 cm del resto dell’uccello, per di più essendo questi orpelli collocati al termine di lunghe aste, proprio come l’ornamento identitario da cui prendono il nome. Ma non c’è nazione cui egli voglia dare una rappresentanza, né particolari ideali politici o ideologici, bensì la singola e immancabile ambizione degli uccelli, far sapere al mondo che lui è qui, esiste e stoicamente riesce a fare quel che deve. Meritando al pari di chiunque altro di poter trovare, un giorno, la sua compagna.
Nonostante il persistente dubbio sulla serie di atipiche situazioni pregresse che hanno portato taluni succiacapre in giro per il mondo ad assumere siffatta configurazione somatica, possiamo facilmente trarre le evidenti conclusioni dal fatto che soltanto i maschi, ed unicamente nella stagione degli amori, sviluppino l’immenso strascico volante capace di renderli dei veri e piccoli pavoni volanti. Si tratta di selezione naturale attraverso l’ammirazione implicita della bellezza; poiché la partner potenziale ben conosce il modo in cui, a chiunque riesca di portare in giro tali ed ingombranti simboli di riconoscimento, non potrà di certo venir meno la forza. Un tratto genetico destinato, in modo imprescindibile, a trasmettersi alla sua prole notturna. Poiché nessuno capisce ed interpreta la genetica in maniera più efficace, di colei o coloro che ne ricevono il funzionamento come parte dell’eredità istintiva di cui sono i leggiadri depositari. Con il treno di eccellenti piume, e tutto il resto…
I baffi del serpente che anticipa gli spostamenti della sua cena
Immobile nell’acqua dei canali di scolo e delle fogne di città come Bangkok, Hanoi, Phnom Penh, un bastone non più lungo di 50-90 cm fa la guardia agli stretti pertugi, le pozze ombrose, i profondi passaggi che conducono lontano dal centro luminoso di simili spazi sovraffollati, quando pensano di aver dato e avuto tutto che potevano, essendo giunto l’attimo di ritornare alla natura. Tanto scaglioso e al tempo stesso attento, un pezzo di “legno” come questo ha delle particolari caratteristiche difficili da sottovalutare: prima di tutto, è ricoperto di scaglie nel tipico metodo a cui ci hanno abituato i colubridi, esseri oblunghi noti per il potente veleno contenuto nelle loro zanne acuminate. E poi… Ci sono le due paia di eccellenti organi sensoriali. Da una parte gli occhi, adatti a percepire il movimento anche nelle condizioni di lucore più marginale. Ma non sempre il torbido sostrato, dal pesante contenuto di poco raccomandabili sedimenti, può permettere allo sguardo di riuscire a rilevare la realtà. Ed è qui che entrano in gioco quelli che la scienza si è accontentata di definire dei tentacoli, sebbene sembrino da certe angolazioni il grosso paio di mustacchi posseduti da un travestimento per alieni di pianeti lontani. Pratiche ed efficaci vibrisse, quelle possedute dall’Erpeton tentaculatum, che come un gatto ne sfrutta l’efficacia per percepire e assimilare il mondo. Ma soprattutto le vibrazioni prodotte dai più piccoli e minuti spostamenti, di colui che non capisce di essere alla fine della propria placida esistenza su questa terra. Allorché agitando quelle pinne, l’ittico visitatore si avvicina al cumulo di sovrapposti detriti. Da cui la forma simile a una lettera “J” s’inarca all’improvviso, dando l’impressione di stare per colpire a destra. Ma poi allunga e chiude le sue fauci a sinistra – Preso! Un morso alla volta, il piccolo visitatore viene fatto a brandelli. I serpenti acquatici della famiglia Homalopsidae sono del resto tra i pochi al mondo, a non trangugiare intera la loro preda.
Ulteriore tratto di distinzione, quest’ultimo, capace di rendere memorabile una creatura la cui conformazione facciale evoca trasversalmente i draghi primordiali dell’antica mitologia d’Oriente. Il che potrebbe anche non essere, a conti fatti, semplicemente un caso…