Gli uomini del Minnesota nelle loro folli macchine a pedali

Raht Racer

Una bicicletta che fa i 160 Km/h? Un’automobile con il manubrio! Il veicolo dei sogni, per trovare una valida applicazione ai propri sforzi personali, risparmiando nel contempo dispendiose soste al benzinaio. È successo, è successo di nuovo, giusto mentre guardavamo altrove. Un altro aspirante imprenditore fatto fortunato sulla tortuosa via di Damasco che poi sarebbe, in termini meno Sauliani, quella tra la casa e il quotidiano luogo di lavoro. Il quale non contento di sognare, si è messo di buona lena per dare una forma a quell’idea. Per migliorare la questione degli spostamenti ripetuti che, se non proprio universale (non coinvolge direttamente gli animali del Mare, del Cielo e della Terra) si riconferma come assai diffuso tra le molti classi scaglionate dell’umana società; si la quattro-ruote-col-motore attuale sarà pure un grande bene, eppure non è un bene indeperibile all’incedere del tempo. Già si parla sussurrando preoccupati del potenziale esaurimento delle fonti fossili di carburante, mentre l’energia elettrica da sola e in quanto tale non prescinde dalla fondamentale problematica, ma piuttosto la trasporta lungo i fili fino alla centrale che produce quel caricamento. Brucia il bruciore, ruota l’attuatore… Che stiamo liberando, giorno dopo giorno, fra gli strata dell’ecosistema? Senza il quale nulla potremo infine diventare, tranne polvere nel vento, trasportata verso il cielo dei teologi di Tarso.
“Ecco” sembra dire l’ultimo creatore che si propone per attingere ai portafogli della collettività: “la mia umile proposta di un’approccio muscolare, la perfetta soluzione a tutte le fisime del nostro tempo.” Il suo nome è Rich Kronfeld e lui appartiene, almeno in linea di principio, a quell’intera classe di diseredati, gli oggi cinquantenni con addietro lunghe e splendide carriere, purtroppo fatte deragliare per mancanza di liquidità. Benché il suo campo operativo precedente, in effetti, fosse stato tutt’altro che usuale ed instabile per massima definizione. Assurto ai fasti della fama verso la fine degli anni ’90, costui aveva nei fatti già messo in pratica un’altra ottima, se meno futuribile creazione. Ovvero il programma della Tv locale di Minneapolis/St. Paul (la città, non il citato patrono degli scout) il cui titolo, Let’s Bowl, già evocava il rotolare delle palle verso la schiera dei birilli candidi, tra gags e lazzi di accompagnamento. A quei tempi l’inventore si faceva chiamare Wally Hotvedt e, con fare comico e sfacciato, si applicava nel condurre improbabili interviste ai giocatori. Il successo per passa parola della buffa trasmissione fu tale da riuscire a portarla, infine, fino all’attenzione degli executive della rete nazionale Comedy Central, che la trasmise per un certo periodo del 2001. Finché un giorno, all’improvviso, si concluse il sogno.
Cosa fare allora, se non costruire la prima vera automobile a pedali degli Stati Uniti e non ce ne voglia Fred Flintstone, coi suoi piedi consumati…

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Il problema del ponte Quasi galleggiante

Pontoon Bridge

Dire che guidare nel Circondario Autonomo di Jamalo-Nenec richiede coraggio è come affermare che il mare è umido, o il miele appiccicoso. Già si perpetra quotidianamente, per il tramite d’innumerevoli commenti ai video realizzati sul campo, lo stereotipo delle strade russe come luoghi d’incipiente perdizione, ove i cinghiali attraversano fuori dalle strisce, i carri armati non danno la precedenza, i meteoriti arrivano soltanto quando meno te lo aspetti. Aggiungi a tale serie di possibili disgrazie, tutt’altro che immateriali ed anzi riccamente documentate, la naturale inospitalità della Siberia, terra di gas e petrolio ma anche ghiacci eterni e nebbia semi-permanente per…Dare un significato nuovo alla condizione del mal d’auto! Indotta questa volta, oltre che dalla frequenza delle buche in strade troppo utilizzate, da quel sentimento incontrollabile che ha il nome di paura. Così capitava, nell’ormai distante 2013, che uno di cotanti eroi del quotidiano (abitanti di simili lidi preoccupanti) si avventurasse sul tragitto niente affatto insolito del ponte sopra il fiume di Nadym, presso l’omonima comunità di quasi 50.000 forti anime di latitudini remote. Stiamo parlando, d’altra parte, di un grande centro abitato fondato nel 1967, come ausilio e base di partenza verso tanti pozzi d’estrazione di risorse energetiche preziose. Costui naturalmente e per nostra estrema fortuna, disponeva della canonica telecamera da cruscotto, necessità acclarata di ogni automobilista che si trovi ad Est di Smolensk, tra le valli, i fiumi e le montagne del paese più vasto e misterioso al mondo. Perché ciò che gli stava per succedere era già destinato a trasformarsi in un grande successo internettiano, uno di quei video che trascendono il contesto nazionale diffondendosi grazie al sentito dire, fino a ricevere dei brevi articoli sui principali siti dei giornali. Riguardiamolo oggi: possibilmente senza trattenere il fiato.
Esistono tre modi per raggiungere la remota e relativamente popolosa cittadina di Nadym: utilizzando la notevole creazione ingegneristica della ferrovia di Salechard-Igarka, 1297 km di metallo assemblati assieme tra il 1949 ed il 1953 verso la Siberia settentrionale con un investimento di oltre 260 milioni di rubli ed il sudore sulla fronte dei 120.000 prigionieri di un gulag locale, felicemente reclutati a vantaggio dell’allora nascente industria d’estrazione e dei trasporti preter-contemporanei. Un impianto senza pari per collocamento e funzionalità, definito ancora e alquanto suggestivamente, e non è difficile capire la ragione, “Il binario della morte” o “Strada della perdizione”. In alternativa si può prendere la comoda via del cielo, direttamente dagli aeroporti moscoviti di Domodedovo e Vnukovo, fino ad uno scalo civile sito ad appena 5 km dalla metà, che non sarà un La Guardia di New York, ma presenta assai probabilmente un certo grado di praticità situazionale. O per lo meno, un impianto di riscaldamento funzionante durante una buona parte del tragitto. Entrambe scelte valide, queste, ma certamente non adatte a chi abita in Siberia tutto l’anno, e il cui l’essere pendolare non potrà prescindere dal mettersi al volante…

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Taglia gli alberi per fare il pieno all’automobile

Woodmobile

Questo è Arvids Aunins e vive in Latvia, tra l’Estonia e la Lituania, in mezzo ai boschi verdeggianti dell’Europa settentrionale. Se l’epoca fosse stata appena un po’ più antica, costui si sarebbe dedicato ad uno dei molti mestieri che traggono un beneficio dagli ambienti sani ed incontaminati, come il contadino, il boscaiolo, il cacciatore. Ma nel terzo millennio, in bilico sull’orlo della crisi, non c’è modo di soprassedere in merito ad alcuni stimoli e bisogni tecnologici, come quello di spostarsi, in lungo e in largo, sopra quattro bei pneumatici stradali. L’automobile, in un certo senso, è il cruccio ed il cavallo del moderno gentleman e al tempo stesso, l’evidenza ciò dimostra, un bene necessario per la semplice sopravvivenza. Il salvagente dalla mera e semplice indigenza di chi non può visitare luoghi, fare cose, vedere gente. Così costui, A.A. della regione dei Balcani, dedica una parte del suo tempo a re-ingegnerizzare quel che si usa da generazioni…E basti per capirlo dopo un momentaneo sguardo, l’ultimo video gentilmente offerto al mondo, in cui converte la sua rugginosa Audi 100, vecchio trionfo di meccanica tedesca, in un veicolo che possa mettersi in moto il grazie all’uso della legna da ardere. Un ciocco dopo l’altro, fino a Timbuktu. Ma prima di partire….
Si tratta di una scena alquanto memorabile o per certi versi surreale. Ecco qui un bizzarro arnese torreggiante, simile ad una doppia stufa in puro acciaio, saldamente incastonata in un carrello da trainare per la strada. Chiaramente, non entrava nel portabagagli. E una serie di tubi alquanto preoccupanti, in plastica e metallo, che da quella avanzano pericolosi verso il muso dell’auto, fino ad andarsi a perdere in un cofano appositamente sagomato. C’è un buco e poi, le viscere meccaniche *il filtro del carburatore. Ma a differenza dei carburanti liquidi sintetici come la purissima benzina, lì si è già compiuta la parte più ardua della metamorfosi. Che ha un nome carico di sottintesi: gassificazione. L’ebulliente procedimento, affine a quello di alchimistiche macchinazioni, che può trasformare legna, torba, carbone ed ogni altro possibile materia biodegradabile in monossido di carbonio, idrogeno e altri tipi di gas. Facendone, in parole povere, un potente carburante biologico, meno il prodotto collaterale di cenere e bitume.
Finito il controllo del complesso meccanismo, il rustico creatore accende la fiamma pilota, un po’ come si usava fare nelle stufe di una volta. Apre le valvole rilevanti, e soprattutto carica un buon quantitativo di ciocchi già tagliati, chiusi in pratiche reti, ciascuno sufficiente per tornare fino a casa dopo il suo giro di prova. La procedura di riscaldamento, per un simile motore, è piuttosto lunga e ammonta, in condizioni ideali, a circa una decina di minuti. Il grosso cilindro principale, definito in gergo “reattore” (perché ospita, per l’appunto, la reazione chimica) dovrà raggiungere la temperatura di 700 gradi ca, sufficienti per indurre l’ossidazione e sufficiente pirolisi del materiale ligneo usato come propellente. Ma non la sua combustione, vista l’introduzione attentamente controllata di una piccola percentuale d’aria, appena sufficiente a consentire il movimento verso l’alto di quel fluido vivificatore. Nonché letale per l’organismo umano, in potenza. Senza entrare nel merito, basti dire che l’impiego di un rivelatore di monossido nell’abitacolo di un’automobile così attrezzata non è solamente consigliato. Bensì, assolutamente necessario, pressappoco quanto la dash-cam (siamo pur sempre in Est-Europa!)

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Gli ultimi ribelli della linea tratteggiata

La linea russa

“Ci obbligano ad andare dritti Ivan, ma in verità ti dico: cos’è Dritto e cos’è invece… Ss..stor-to!? [beve un sorso di Vodka dalla bottiglia quasi terminata]. L’altro giorno, camminando per andare fino alla scuola di guida e farmi ridare la patente, ho visto che: i lampioni di Novosibirsk sono sempre ec-ecs-quidisctanti. Tranne UNO!” Sull’esclamazione carica di sentimento, la Tata Nano rugginosa sbanda vistosamente verso il bordo della quintultima strada provinciale dell’Oblast. Sopra il rombo del motore, si ode a malapena l’eco di un belato infastidito, proveniente da una capra, lì sperduta, semi-nascosta dietro a un albero piuttosto amiforme. L’autoradio resta spenta ormai da anni, senza neanche l’ombra di una manopola sopra il suo frontalino scalcagnato. Ivan guida concentrato e cerca di ignorare il passeggero. “Mah [burp] tu lo sciai cosa c’è lì – è il sscegreto della geo-metria. Perché se ti metti al centro della stradt-al centro de-la stra-da, e guardi dritto innanzi a te…” Per sottolineare l’affermazione, l’anziano ubriaco si appoggia sul cruscotto, inclinandosi parzialmente verso il lato guidatore. Ivan agita la mano destra infastidito per scostarlo, mentre il motore va troppo su di giri per un mancato cambio di marcia. “Vedi, lo sai COSA vedi? Triangoli isosceli l’uno sull’altro e sovrapposti, ciasch-iuno confinante all’altro. Scommetto che non ci avevi mai p… Pensato” Ivan se l’immagina con gran facilità: il suo zio scapestrato che pianta i piedi in mezzo a una strada di scorrimento del centro della terza città russa per popolazione, mentre gli automobilisti gli sfrecciano rabbiosamente ai lati. Un braccio orgogliosamente piantato sul fianco sinistro, l’altro teso dritto innanzi a se. Con il pollice alzato alla ricerca del punto di fuga e un occhio semi-chiuso. I lunghi capelli bianchi che svolazzano nel vento del crepuscolo transiberiano…. [Alza di nuovo la bottiglia, resta insoddisfatto. Ne controlla attentamente il fondo, quindi tira giù il finestrino e la lancia di fuori.] “Vedi [hic] quando facevo il macchinista della ferrovia, avevamo un detto: non è l’incidente che ti frega, ma la noia. Siamo tutti gran lavoratori, fino a che non sopraggiunge la routine” Ma tu guarda, adesso parla pure il francese! “Allora, o si dorme, o si conta!” Come, cosa? “Ma le traversine, quesch-to dovrebbe essere ovvio, caro mio. Non avrai bevuto un bicchierino di troppo a pranzo? Cento, 200, tremilacentoventidue, questo qui è il mio record-s.” La bottiglia rimbalza sull’erba senza rompersi, quindi sparisce oltre l’ansa di una curva “Non si arriva a tremilacentoventidue, mio caro Ivan, senza comprendere la geo-metria.” E poi continua… Tu forse non sai, oh giovane senza coscienza artistica ma pur sempre nipote di mio padre, ma io facevo il pittore. Quando avevo la tua età, mi chiamavano “Il Giotto ferroviere”. E so riconoscere la mano di un collega. Nelle vaste distese grigio-verdi della tundra abbandonata, non c’è un senso ulteriore, in ciò che fai, tranne quello che tu porti nel profondo del tuo portafoglio. La coscienza di un lavoratore, che come sicuramente avrai capito, non risiede nel suo fegato. Oppur nell’anima, nella mente carica di elettriche sinapsi interconnesse, ma nel senso di riconoscenza verso la sua società. Che gli concede considerazione, in cambio di opere preziose perché salvifiche nel loro scopo. Di mettere a frutto questa somma geo-metria. Ma tutta questa spiegazione va perduta, come lacrime nel vento del mattino.
“Figliolo, ora guarda!” Dice invece, ad alta voce. “Adesso guarda bene, non distrarti…” Le mani saldamente strette sul volante, lo sguardo torvo dal fastidio, l’autista-suo-malgrado, reclutato per andare alla sessione degli alcolisti anonimi laggiù in città, riduce la pressione sul pedale di accelerazione. Suo zio ha ragione, c’è qualcosa di strano. La corsia di destra sulla carreggiata, che basta a malapena per contenere la sua piccola automobile, si sta stringendo. È come se la strada tendesse a destra, con una piccola ma significativa differenza: in quella parte ulteriore, l’asfalto non ci sta. “Ahahahaha. Ah! Ah! Разметка дороги где-то в России, figliolo. Разметка дороги где-то… Smettila di preoccuparti e segui il flusso.” Strano, lo zio Vyacheslav, per una volta, non sembra perso nel suo mondo. Il tono di voce è ritornato quello di una volta (e anche l’idioma!) Talmente resta colpito, Ivan, che per un attimo si volta verso il suo fastidioso passeggero. Quando torna a guardare dritto innanzi a lui, un enorme autoarticolato oscura il limpido orizzonte, dalla parte sbagliata della strada. La sua griglia cromata protettiva, verticale e quasi goticheggiante, è sovrastata da una splendida vetrata variopinta. C’è quello che sembrerebbe un tappeto persiano, appeso in fondo alla cabina, mentre un alberello deodorante dondola illusorio al centro dell’incredibile miraggio. Sotto a quello, un camionista che fatica a tenere gli occhi aperti, semi-addormentato sul volante. Ma Ivan lo sa bene: è impossibile sterzare in tempo. Per tutti gli orsi candidi sulle conifere innevate…

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