La notte dei velivoli di fuoco

Nats Visualization

Non diamo nulla per scontato. In un giorno come gli altri dell’agosto dello scorso anno, 2.524 aeroplani trasvolarono l’Atlantico, verso la loro destinazione nei due continenti contrapposti: l’America, l’Europa; centinaia e migliaia di tonnellate di metallo, plastica e vetro, lanciati da una catapulta metafisica, come nell’Empireo di un terrestre firmamento. Le bianche scie, la luce riflessa, il rombo del motore e quel fragore. Poco più di due generazioni prima, regnava il silenzio, assiomatico e indiscusso. Sarebbe bello, in qualche modo, entrare a fare parte di una tale meraviglia.
Mettersi ai comandi, prima di rollare la mattina presto, gradualmente, attentamente, verso l’area di decollo. Chiedere il permesso di procedere alla torre. Per poi aumentare la potenza del motore, rilasciare i freni, puntando il naso verso l’alto e nel corridoio designato, all’altitudine perfettamente definita. Da seguire, doviziosamente, fino ai margini del suolo, verso il vuoto acquatico del grande mare. Delimitato dai confini invisibili di grandi zone di controllo. Nel video, le hanno etichettate OACC, benché il termine più comune sia OCA (Oceanic Control Area). Sarebbero, tali regioni quadratiche del globo, la risultanza di altrettanti radar, posizionati strategicamente ove possibile, lo strumento salvifico per capirci qualche cosa, di un tale intreccio di comete fiammeggianti. Perché sono quelle il culmine della faccenda, i piloti e tutto ciò che ne deriva: bagagli e passeggeri, alettoni e coppie di turbine. Tutto è chiaro, agli occhi dei sapienti. Finché non giungi, verso mezzogiorno…Nella fluida distesa di Nettuno! Oltre la portata degli strumenti di rilevazione, ove regnava, fino a qualche tempo fa, la legge della pura soggettività. La navigazione aerea, in queste remote zone oceaniche, si basa ancora largamente sugli aggiornamenti ricevuti via radio. I controllori coinvolti per ciascun viaggio, siti anche a decine di migliaia di chilometri, non dispongono di alcun occhio elettronico, che possa assisterli nell’arduo compito di avere un quadro generale. Idealmente sarebbero i piloti stessi, o in tempi odierni i loro GPS, a trasmettere la posizione in cui si trovano, ora dopo ora (e questo ben permette di capire come, persino oggi, possano sparire degli aerei).
Questo è l’àmbito di una sublime forma di poesia. Sui flutti di balene colossali o branchi di merluzzi, non si vola tramite l’apporto di comuni linee rette, concepite per unire i radiofari, e le relative piste, come fossero due punti sopra un foglio. Perché come ben sapevano gli albatross, e gli altri uccelli viaggiatori, la Terra è tonda. E tutto, a questo mondo, ha la forma naturale di una curva!

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Immagini dal regno traslucido della profondità

XiaXiaowan7
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Essere sovrastati e avvolti dall’arte, sentirla che preme tutto attorno fino a perdere la cognizione del momento. È una sensazione molto nota. Tra le barocche mura di una chiesa, oppure lungo le scalinate di una vasta galleria museale, oltre i limiti della possente architettura; quando le tele tutto attorno, appesantite dai colori dei maestri, sembrano ciascuna una finestra; verso mondi ed universi divergenti. Non resta nulla del pennello, tranne il resto; lo Zen della figurazione. È una questione meramente tecnica, alla fine. Ci sono validi strumenti e il primo è la composizione. Vedi, Caravaggio. San Paolo quasi calpestato dal cavallo, accecato dalla luce della Verità, era posto al centro del racconto proprio perché ai margini del dipinto, semi-nascosto dalle forti zampe della bestia. Su questo ci sarebbe da dire…Ma non c’è tempo, andiamo oltre. La seconda delle armi, in questa campagna bellica per la conquista degli sguardi pellegrini, potrebbe essere l’uso sapiente del colore; che per citare Kandinskij, l’espressionista astratto, sarebbe lo spettro sui tasti dell’anima, trasformata in pianoforte. Anche questo, non è il punto. Ne il momento. Parliamo, invece, della terza fase operativa. Lo strumento sacro di chi crea le immagini del mondo, la preziosa ambrosia delle arti grafiche. La prospettiva.
Un sistema matematico di proporzioni e divine geometrie, che consentiva agli iniziati di raffigurare la distanza. Il nesso visuale, niente meno, del nostro primo Rinascimento, tra gli studi scientifici di Brunelleschi, gli affreschi del Masaccio e il Cristo scurto di Mantegna. Che mai trovò corrispondenza, in quanto tale, nei paesi dell’Estremo Oriente. Avete mai visto le incisioni xilografiche del monte Fuji? O le pitture paesaggistiche delle montagne del Kumgang, i picchi del diamante coreano? Per non spostarci in Cina, tra i magnifici paraventi con i monasteri delle tigri sopra i pietrosi colli dello Shaanxi, ombreggiati dal massiccio incombente dello Hua… Ciascun monte, perfetto. E perfettamente isolato; non c’è atomismo, ne commistione generativa. Gli elementi si susseguono l’uno sull’altro, sempre più in alto, verso la cima dell’immagine, dove fa capolino il cielo; e manca, soprattutto, un punto di fuga. Nulla converge per trovare il senso ultimo, lo sguardo contrapposto del creatore, a quello supposto dell’osservatore. Ma piuttosto, come in un carattere ideografico, molti tratti indipendenti, che trovano il senso collettivo nella loro interazione reciproca, senza intrecciarsi, eppure guadagnando, eccome, dalla somma delle varie componenti. Ciò non significa che siano quasi piatte, queste immagini, eppure. Manca sempre qualche cosa. La vera e propria tridimensionalità; che non è un sentire personale. Né fonte di un soave sentimento. Ma un preciso canone realizzativo, basato sul funzionamento degli occhi e del cervello umano. Come fare, senza dover copiare da Occidente? Un artista cinese, Xia Xiao Wan, ha la sua idea. È sconvolgente.

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AirDog, un occhio automatico nel cielo

AirDog

Al momento sussiste questa strana dicotomia, nell’ambito degli sport d’azione, che vedrebbe surfisti, skateboarders, kiteboarders etc, come una sorta di piloti della domenica, costretti ad apprendere i principi operativi del quadricottero, piuttosto che fare pratica in ciò che davvero è importante per loro. Chiunque abbia percorso a velocità della luce dirupi scoscesi, o sia stato sospinto dalle onde impetuose verso il tramonto, ben conosce la problematica di cui sto parlando: senza drone, che ci vai a fare? Una considerevole parte della recente proliferazione di simili attività scavezzacollo, fondamentalmente, può essere attribuita ai recenti meriti della tecnologia; per la prima volta, tutto è documentabile, può essere registrato e caricato su Internet in pochi minuti, direttamente sul campo. Basta una sim. Però che noia la classica inquadratura da terra, magari fuori fuoco! La chiara prova che l’amico vorrebbe partecipare anche lui, piuttosto che essere altrove (a casa a dormire, a casa a mangiare…) A volte, chi fa da tre, fa per se. Primo elemento: un dispositivo da polso di tracciamento poco più piccolo di un cellulare, antiurto e a prova d’acqua, con al suo interno una serie di sensori e un clever software, come lo chiamano i produttori, che sa sempre dove si trova, grazie al GPS. Secondo elemento: tu, l’atleta. Terzo elemento…
AirDog, il cane volante, è leggero, resistente e compatto. Può essere ripiegato su se stesso. Non mangia e non sporca, nonostante abbia bisogno di un metaforico guinzaglio, fatto d’aria e di un segnale radio che gli permette, senza intoppi e senza falle, di seguire da presso il suo intrepido padrone. Per mari e per valli, dalle radici alle cime dei massicci montuosi più alti. Senza mai sbagliare un’inquadratura, perché dispone di sei specifiche modalità: completamente automatico, per seguirti liberamente con una velocità di fino a 65 Km/h; posizione relativa rispetto al nord magnetico, per avere una visuale maggiormente stabile; modalità circuito, per chi, ad esempio, sta praticando un sport motoristico di qualche tipo; posizione fissa, affinché la testina automatica della videocamera, indipendente dal movimento del drone stesso, si occupi di tutto il lavoro; e per finire, pattugliamento in cerchio; ripresa dritta verso il basso. Funzione pensata, quest’ultima, per chi avesse voglia di riprendere un singolo spettacolare salto in verticale, magari con la bici o la moto da cross. Emblematico lo scherzoso suggerimento, riportato sulla pagina del prodotto: “State attenti a non andare troppo in alto.” I cani sono buoni. I cani sono belli. Ma se li stuzzichi andandoci contro, mah?

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Tre storie di scoiattoli spericolati

Squirrel Trap

Chiamare il silvano roditore, semplicemente “topo con la coda folta” sarebbe un grave fraintendimento dei suoi presupposti di spavalda versatilità. Lo scoiattolo è il coltellino svizzero della natura. Victorinox: Posto in una scatola, sulla cima di un palo del telefono, questo animale troverebbe il modo di scappare. E come Harry Houdini, guidato dalla forza e la furbizia, giungerebbe fino a terra. Se lanci una simile creatura contro il muro, tu barbaro, non la vedrai mai rimbalzare. Perché in essa è contenuto non soltanto il principio generativo della palla di pelo piena d’aria, che preme con la stessa forza in ogni direzione, ma anche quello del rampino dalla volontà potente, nonché zampe presili e ungulate. Saldamente assicurato a tale liscia superficie verticale, lo scoiattolo striscerebbe verso l’alto. Per poi piegare la sua testa di novanta gradi, verso l’alto relativo, guardandoti con fare minaccioso, dritto nei tuoi occhi trepidanti: “Perché mi hai fatto questo, umano?”
La crudele verità del mondo, tuttavia, richiede spietatezza e iniquità. Come nel caso di un rumore di zampette, ritmico, insistente, che dovesse udirsi per metà del giorno e della notte. Non puoi ignorare il chiaro suono dei visitatori, che avessero scambiato il tuo controsoffitto per un albero, e le relative intercapedini per autostrade, verso l’opportunità di procacciarsi il cibo. Anzi per essere più chiari, di rubarlo. Questa è, per l’appunto, l’esperienza video di goodvisable, amico degli animali (davvero! Nevvero!) Che tuttavia, si era trovato innanzi a un bel problema. “Le feci sono ovunque!” Facevano i suoi amici: “Ratti, roba da matti?” O il sempre attuale: “Portano la peste bubbonica e la rabbia…” Fino al punto in cui, tormentato dalle voci di chi aveva attorno, lui prese l’ardua decisione. Trappole sotto l’oscuro tetto. Crudeli implementi della marca Victory, che è anche un augurio di rapida risoluzione, dal bordo metallico e una molla senza compassione. Ma compressione sufficiente, ahah! Per bloccare definitivamente chi dovesse ambire a quel formaggio. Solo che, notte dopo notte, le trappole scattavano senza prendere alcunché. Così che l’umano decise, infine, di metterci davanti una videocamera. Per poi trovarsi innanzi all’impensabile realtà: è più veloce la mano, di scoiattolo, che la moderna ingegneria. E chi sembra perduto, a volte, trova il modo di riprendersi dal suo torpore. L’aspetto migliore di questa prima vicenda, a conti fatti, è che nonostante l’apparenza il roditore sta perfettamente bene. Tanto da essere ricomparso, in un video successivo, mentre continuava la sua opera di ricerca e ladrocinio. Invulnerabile!

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