Sorge a Rotterdam la basilica degli ortaggi

Market Hall

I grandi progetti dell’urbanistica moderna ci colpiscono, generalmente, per l’assoluto pragmatismo che traspare dalla loro concezione. E c’è dello spiccato senso pratico, in effetti, nella struttura del nuovo mercato al coperto della città olandese di Rotterdam, costruito su di un’area di oltre 100.000 mq. Ma anche un senso trascinante di poesia. È divertente, futuristico, profondamente originale. Il suo stuolo di finestre quadrate in rigida disposizione progressiva, disposte lungo l’asse longitudinale del colossale arco di cui si compone, crea una suggestione di oggettivismo perentorio, mentre i lati longitudinali, tondeggianti ed allungati, sono un funzionale susseguirsi di balconi, grandi porte scorrevoli e perché no, fioriere. In fondo, ci abita la gente, lassù.
Ma è soltanto per colui che mette piede nell’androne principale, sotto il variopinto cielo artificiale di quel tunnel, che il grande palazzo potrà rivelare il nesso principale della sua esistenza: sopra la testa fortunata e dalla bocca spalancata, si paleserà un murales gigantesco e convesso, di oltre 3 Km di estensione, con zucchine, fragole, spighe di grano. Pesche, pesci pronti da mangiare, una banana per tirannosauri…E così via! È l’opera da record, questa, degli artisti Arno Coenen e Iris Roskam, che su richiesta specifica della MVRDV, la società architettonica di progettazione, hanno così realizzato l’opera d’arte pittorica più grande dell’Olanda. Forse forse, pure del mondo intero? Chi può dirlo. Di sicuro, camminarci sotto fa una certa impressione. I protagonisti inanimati di questa Cornucopia (tale il titolo della creazione) incombono dall’alto e anche dai lati, come sollevate da un tifone cataclismico, poi congelate lì, maestose. Riflettendosi ricreate, magicamente a misura dei visitatori, tra gli innumerevoli e distinti banchi del mercato.
Una scelta particolare, per mettere a frutto 175 milioni di euro, messa nero su bianco nell’ormai distante 2009 ed inaugurata, dal sindaco, giusto il mese scorso. E una scelta, indubbiamente, coraggiosa. Che dimostra l’intento chiaro e condivisibile di dare agli abitanti di Rotterdam un qualcosa di davvero raro, unico e senza termini di paragone. Molti ufficiali d’urbanistica, quando investono risorse faticosamente messe da parte per generazioni, costruiscono gli stadi, arene dell’odierno svago, complesse conche colorate. Oppure effettuano rinnovamenti del manto stradale, restaurano gli antichi monumenti! Mentre le periferie, date in carico alle grandi compagnie private, si arricchiscono di vasti centri commerciali. Ma una cosa simile, mai…

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Tempesta di droni tra gli alberi d’autunno

Drone Racing

Il quadricottero telecomandato con videocamera remota si è imposto, in questi ultimi anni, sull’immaginario collettivo, assieme ai cellulari per Internet, le cineprese da casco ed i lettori di libri invisibili dotati dell’inchiostro virtuale. Ed è davvero strano, il modo in cui il progresso tecnico ricalchi fedelmente i ritmi della fantasia. Bastava guardare un film di fantascienza della generazione di Blade Runner o Alien di Ridley Scott, ne cito giusto un paio, per trovare in forma teorica ma credibile ciascuno degli oggetti che oggi albergano nei nostri zaini o nelle borse da lavoro. Per non parlare dei tricorder della serie di Star Trek, precursori degli iPad, degli spettrografi portatili e dei navigatori GPS, tutto in uno, e chi più ne ha, ne installi l’App! Strumenti magnifici, quelli, che poi si sono ridotti nelle dimensioni con il proseguire degli interminabili episodi, esattamente come avviene ai loro equivalenti in vera plastica e compatto liquidmetal. Ma l’universo ideale cinematografico che resta meno riconducibile al nostro, per numerosi quanto ovvi motivi, resta quello di Guerre Stellari. Perché piuttosto che essere speculativo, ovvero basato sulle nostre effettive esperienze storiche di moderna civilizzazione, prendeva spunto dalla mitologia, da Tolkien, dalle filosofie orientali o dalle visioni nebulose della pipa, in serate estive sulle spiagge dell’Oceano della chimerica illusione.
Eppure, i punti di contatto con la realtà ci sono stati e continueranno ad esserci, in questa commerciale novella, come nelle altre fiabe seriali contemporanee. Magari non nella spada laser, nelle astronavi e nel potere straordinario della mente Jedi, ma nel modo in cui vengono rappresentate le pulsioni umane e la loro relazione con il mondo irrinunciabile della tecnologia. Pensate alla scena forse maggiormente memorabile della seconda, bistrattata trilogia: il Pod Racing. Quell’improbabile sport motoristico, se in tale modo poteva ancora definirsi, grazie al quale le bighe romane di Ben Hur tornavano finalmente sui grandi schermi, con motori a pulsogetto al posto dei cavalli, e malefici piloti alieni, cecchini a bordo del tracciato, rocce acuminate per chi sbaglia ad impostare la dannata curva… Lanciarsi a gran velocità, dimenticandosi di tutti e tutto, nella speranza di arrivare fino all’ultimo traguardo! Vi sembra familiare!? Per primi, secondi oppure terzi (ciò che conta è sopravvivere) Ad ogni modo, colui che vince ha quel qualcosa in più. La gravitas che detta il peso dei minuti.
È tutta una questione di prospettiva: laddove pilotare, in prima persona, fragili velivoli richiede un certo grado di prudenza, farlo col telecomando porta innanzi quel supremo gusto di rischiare. E allora guarda un po’: per avere dei riflessi da cavaliere mistico di un’altra galassia, non ci vuole solamente voglia di riflettere (sulla presente condizione). Ma il giusto Allenamento!

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Una centrifuga per umani

Crowd Dynamics

(Versione in javascript con l’aggiunta del sonoro) Lucifero stesso, assiso sul suo trono di serpenti, non avrebbe concepito questa cosa straordinaria. Dov’è Wally? In Purgatorio. Dopo decadi passate in luoghi affollati, cercando di confondersi tra gli altri omini derelitti, la Divina Provvidenza l’ha trovato. E oltre alle due variopinte dimensioni dei suoi libri per bambini, il mattacchione con la felpa a strisce ne ha trovata un’altra, la profondità virtuale. Che tragedia. Ormai costui non manca di pensare, tutti i santi giorni:”Volesse il cielo farla scomparire!” Assieme all’assioma del poligono torturante, questa BARRA rotativa, che tutto vuole fare, tranne che fermarsi. È un Luna Park mortifero, da cui vorresti solamente scendere. È l’orilogio del destino – il frullatore, lo strumento che prepara gli astronauti all’accelerazione iper-gravitazionale. Però senza tute o seggiolino, solo il duro pavimento o spigoli perversi, da feroci versi. Fortunatamente, non c’è sincera sofferenza in questa dura forma di supplizio. Ne diavoli con forche acuminate. E a guardare meglio le bizzarre circostanze, se ne afferra la ragione: è tutta una simulazione.
Nasce dal computer fantasioso di Dave Fothergill, professionista di peso nel settore degli effetti speciali, alle prese con una nuova soluzione software: il plugin (gratuito!) Miarmy per il celebre programma tridimensionale Maya, concepito per la gestione avanzata delle folle inferocite. Oppure prese da quel sentimento soprattutto loro, il panico di gruppo. Un qualcosa di utile nella rappresentazione bellica di antiche guerre, fatte di schiere armate fino ai denti. Che può tuttavia servire a molto altro. Collettivamente, come si usa dire, abbiamo il potenziale delle bestie. Pecore o formiche, eternamente dedite a seguire il primo della fila. È un’implicazione del comportamento umano che in taluni si palesa prima o poi, mentre per altri resta lì, distante. Mentre c’è una certezza pragmatica, dal canto suo, che può colpire tutti a questo mondo: nel momento del pericolo, ciò che conta è uscire fuori. C’è un che di filosofico, nella maniera realistica in cui gli ingegneri informatici possono rappresentare la paura. Tanti singoli individui, con storie personali differenti, variabili gradi di saggezza o preparazione fisica, che nell’ultimo momento della verità si trasformano in fotoni. Vento protonico, un flusso di neutroni… Un qualcosa, insomma, che non pensa. Ma subisce il ritmo degli eventi e li connota. Peggiorando anche le cose, fin troppo spesso.

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Guardate gli sciatori tecnologici luminescenti

AFTERGLOW Philips

Avete mai visto una qualcosa di tanto incredibile, così straordinario, da non poter far altro che chiedervi “È un uccello quello? Una fenice? L’Immortale della montagna sta scendendo a valle, come profetizzato nelle sacre pergamene?” Una volta ogni vent’anni, soltanto quando le condizioni sono VERAMENTE giuste. Quando l’asse verticale della Terra si riorienta per il cambio di stagione. Nel momento esatto in cui le particelle ioniche dell’atmosfera si scontrano con i protoni di un pericoloso vento, l’insistenza radiolettrica del nostro Sole. Se le nubi si diradano. Quando il chiurlo canta, guarda caso, molto prima che sia sorta l’alba. E non risponde il gufo, chiaramente, per un concerto cacofonico, che spoetizza le preziose quanto rare circostanze. È in quel momento, o così si usa dire presso certe parti, che le stelle prendono la forma di una nebbia colorata di argento, blu elettrico e violetto, sulle cime candide di Alaska e Canada, per uno spettacolo meraviglioso. Forse, per qualcuno, l’esperienza di una vita.
Si, va bene. Il video AFTERGLOW – Lightsuit Segment della Sweetgrass Productions altro non sarebbe che una “semplice” reclame delle nuove TV luminescenti della Philips (bei prodotti, a quanto pare). La trovata non del tutto originale, scelta per associazione, di far scendere alcuni ottimi sciatori: Pep Fujas, Eric Hjorleifson, Daron Rahlves, e Chris Benchetler giù per le nevi notturne dell’estremo settentrione, vestiti della luce candida di quattro tutte al LED. Ma va da se che simili creazioni audio-visive possono colpire il pubblico, ben oltre la somma delle proprie singole parti costituenti. E l’insieme di una simile prodezza nel discendere dirupi, la cangiante alternanza di magniloquenti sfumature sul contrasto della notte oscura e il fantastico montaggio, creano una sequenza degna di essere inserita negli annali antologici del mondo pubblicitario. E se pure questi ultimi non esistessero, di crearli e farli iniziare proprio adesso, qui ed ora, così.
Il bello della neve non è il freddo, ma il candore. Che la rende come una tela specchiata, pronta a riprodurre ed amplificare certi fenomeni del mondo. Basti pensare al modo in cui, sopra il bianco manto, riesca ad allontanare l’assoluto buio. Se dovesse risplendere anche una sola stella, nel cielo di un dicembre coronato dalle precipitazioni principali dell’inverno, si può ben contare su una cosa: che tale remota splendida presenza sarà sufficiente per accendere il terreno delle cose. Ogni singolo fotone riassorbito, inevitabilmente dalla candida materia, ne verrà rinvigorito. Figuriamoci, dunque, tali variopinte code di comete! Più che uomini, fenomeni spaziali. Fatti materializzare, finalmente questa Volta, grazie allo strumento tecnologico per eccellenza: l’elettricità.

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