Questo liquido è il futuro della stampa tridimensionale

Carbon 3D

Strano, sibillino, surreale. Da una vasca di metallo emerge capovolta, dettagliata e ineccepibile, la riduzione color-fluo dell’arcinota Tour Eiffel. Giusto dall’altro ieri su di un palcoscenico gremito, la sua evocazione da una mera polla liquida, come Durlindana della scienza, sta già lanciando strali metamorfici a margine delle comuni aspettative sulla prototipazione-fatta-in-casa, quel processo futuribile ed innovativo che viene ad oggi definito stampa tridimensionale. Benché non abbia molto a che vedere con la tecnica inventata dal buon vecchio Gutenberg a suo tempo, tranne che l’effetto potenziale sulle regole del senso della società. L’intero reveal si presenta come uno strano sovvertimento della presentazione al pubblico di una novità tecnologica, che generalmente si svolge per gradi attentamente definiti, ovvero il lampo, il botto e poi la pioggia; mentre in questo nuovo temporale siamo a ancora a districare le innumerevoli implicazioni, palesate tutte assieme, all’improvviso, in un vortice che ha già cambiato gli orizzonti e le remote prospettive. Lunedì sera, come previsto da copione, il professor di chimica Joseph DeSimone, insegnante all’università di Stanford, è salito sul palco mobile della celebre serie di conferenze TED Talk, momentaneamente sito in quel di Vancouver, per parlare al mondo degli ultimi progressi fatti nel campo della nuova microindustria digitalizzata. Quello che il pubblico non si aspettava, e invero forse neanche una buona parte degli organizzatori, è stato il suo far fuoriuscire dal cilindro metaforico, oppur da sotto il telo tipico degli inventori, questo incredibile strumento. Un calderone senza eguali. Accompagnato dall’inevitabile seguito di una venture commerciale, nominata alquanto suggestivamente Carbon 3D.
E non è chiaro al momento in cui scrivo esattamente il perché (il video della presentazione non è stato ancora reso pubblico) né se l’idea azzeccata sia stata il frutto dell’inventore con la sua equipe, oppure il parto di uno dei giornalisti presenti all’occasione, ma l’oggetto è stato immediatamente abbinato ad un effetto speciale particolarmente celebre, tra i primi digitali ad aver fatto la storia del cinema di fantascienza: la maniera in cui l’attore Robert Patrick alias T-1000, nel film Terminator 2 – Judgement Day (1991, il tempo vola) poteva controllare il suo stato della materia fra le due prime alternative totalmente a piacimento, ad esempio rinascendo da una pozzanghera di metallo liquido dopo aver subito danni fisici anche considerevoli, tipo un paio di fucilate ad opera dello spietato Schwarzy. È un termine di paragone alquanto affascinante, innanzi tutto per la somiglianza estetica del processo, tramite il quale un liquido viene trasformato in forme solide riconoscibili, ma soprattutto per le immagini che evoca nella mente del pubblico, di un futuro tanto avanzato, nei fatti, da risultare quasi spaventoso. Una tecnologia così apparentemente priva di precedenti, quando arriva tanto all’improvviso, può in effetti suscitare un senso d’istintiva diffidenza, e già rimbalzano da un lato all’altro della blogosfera timide battute, del tipo: “Siamo sicuri che la stampante non possa riprodurre se stessa, sviluppando a un certo punto, per mera progressione quantistica, un’accenno di autocoscienza e…” Che la risposta giaccia all’altro capo della macchina del tempo, rivelazione certamente im-prevista di una prossima TED Talk?

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Tra queste mura nascono i Bitcoin

Chinese Bitcoin

Se qualcuno puntasse un visore termico verso quel capannone niente affatto diverso dagli altri della Cina rurale, laggiù nella campagna di Liaoning, rivelerebbe una macchia di calore vasta e variegata, con due poli gelidi alle estremità. Come denti fiammeggianti, o arcane merlature, osserverebbe un susseguirsi di scatole rettangolari, ciascuna posta in batteria con le sue simili, per una schiera dopo l’altra di ingombranti macchinari. Difficile chiamarli, semplicemente, dei computer. O normali server. Almeno nell’accezione più moderna del termine, che prevede un certo grado di funzioni e versatilità. Questi attrezzi astrusi, raffreddati senza l’uso di un condizionatore ma soltanto con pareti intere trasformate in delle impressionanti ventole giganti, assomigliano piuttosto a delle bestie. Usate per produrre i loro doni, alla maniera delle mucche, anatre in batteria o di un tremendo alveare d’api tranquillamente ronzanti, seppur pericolose da toccare. Ciascuna di queste scatole nere è unicamente un massiccio conglomerato, in effetti, di ASIC (Application specific integrated circuit) processori concepiti per svolgere quell’unica funzione, con furia estrema e ripetuta, fino al giorno non lontano della fine della loro esistenza. Ciò che ne risulta, è un’ondata senza fine di calore. E soldi, questo va se. Altrimenti chi la paga, la bolletta…
Il concetto stesso del denaro è un’astrazione dalla genesi tutt’altro che apparente. Da principio, c’era un pozzo senza l’argano, nell’esatto punto al centro del villaggio dell’umanità. Sopra di esso, appeso ad una lunga corda lì gettata, un grosso secchio di metallo del peso, grossomodo, di 15 Kg. Possiamo considerare un simile apparato, a scopo puramente metaforico: la fonte da cui attingere, ciascuno dopo l’altro, per raggiungere lo stato di una sussistenza dignitosa, solo e unicamente grazie alla fatica dell’individuo. Non si può quantificare lo sforzo fisico necessario a sollevare un carico, per lo meno in una forma che sia meno che arbitraria. Né metterlo da parte, per usarlo nei momenti o nei periodi del bisogno, come al sopraggiungere della vecchiaia, quando 15 o 200 Kg, da immergersi a parecchi metri sotto il suolo, non fanno alcuna differenza: il troppo tale resta e tanto vale non illudersi. In principio c’era solo la famiglia. Un nucleo di persone deputate da legami non quantificabili, disposte e deputate ad aiutarsi. Fin dall’epoca preistorica, dunque, poteva bastare un singolo individuo, o gruppo di individui giovani e prestanti, per ciascuna schiatta, clan, tribù o stirpe, perché tutti o quasi potessero suggere la soave limpidezza, e depurarsi e dissetarsi quanto necessario.
Però immaginate, tanto per fare un’ipotesi, di essere sperduti con gli altri passeggeri di un volo precipitato presso un’oasi, nel centro esatto del deserto, per un tempo esatto di due settimane. Tutti esimi sconosciuti. E che l’unica speranza di raggiungerne la fine sia poter immergere, ed estrarre nuovamente, tale mestolo salvifico e pesante, così terribilmente pesante. Ora, tra i vostri compagni esisteranno due categorie: tutti coloro che sapranno procurarsi l’acqua e invece gli altri, troppo poco in forma per poter provvedere a se stessi…

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Una centrifuga per umani

Crowd Dynamics

(Versione in javascript con l’aggiunta del sonoro) Lucifero stesso, assiso sul suo trono di serpenti, non avrebbe concepito questa cosa straordinaria. Dov’è Wally? In Purgatorio. Dopo decadi passate in luoghi affollati, cercando di confondersi tra gli altri omini derelitti, la Divina Provvidenza l’ha trovato. E oltre alle due variopinte dimensioni dei suoi libri per bambini, il mattacchione con la felpa a strisce ne ha trovata un’altra, la profondità virtuale. Che tragedia. Ormai costui non manca di pensare, tutti i santi giorni:”Volesse il cielo farla scomparire!” Assieme all’assioma del poligono torturante, questa BARRA rotativa, che tutto vuole fare, tranne che fermarsi. È un Luna Park mortifero, da cui vorresti solamente scendere. È l’orilogio del destino – il frullatore, lo strumento che prepara gli astronauti all’accelerazione iper-gravitazionale. Però senza tute o seggiolino, solo il duro pavimento o spigoli perversi, da feroci versi. Fortunatamente, non c’è sincera sofferenza in questa dura forma di supplizio. Ne diavoli con forche acuminate. E a guardare meglio le bizzarre circostanze, se ne afferra la ragione: è tutta una simulazione.
Nasce dal computer fantasioso di Dave Fothergill, professionista di peso nel settore degli effetti speciali, alle prese con una nuova soluzione software: il plugin (gratuito!) Miarmy per il celebre programma tridimensionale Maya, concepito per la gestione avanzata delle folle inferocite. Oppure prese da quel sentimento soprattutto loro, il panico di gruppo. Un qualcosa di utile nella rappresentazione bellica di antiche guerre, fatte di schiere armate fino ai denti. Che può tuttavia servire a molto altro. Collettivamente, come si usa dire, abbiamo il potenziale delle bestie. Pecore o formiche, eternamente dedite a seguire il primo della fila. È un’implicazione del comportamento umano che in taluni si palesa prima o poi, mentre per altri resta lì, distante. Mentre c’è una certezza pragmatica, dal canto suo, che può colpire tutti a questo mondo: nel momento del pericolo, ciò che conta è uscire fuori. C’è un che di filosofico, nella maniera realistica in cui gli ingegneri informatici possono rappresentare la paura. Tanti singoli individui, con storie personali differenti, variabili gradi di saggezza o preparazione fisica, che nell’ultimo momento della verità si trasformano in fotoni. Vento protonico, un flusso di neutroni… Un qualcosa, insomma, che non pensa. Ma subisce il ritmo degli eventi e li connota. Peggiorando anche le cose, fin troppo spesso.

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Stampare su legno dal PC di casa

Inkjet wood printing

Purché la stampante sia del tipo inkjet, ovvero a getto d’inchiostro. Non è chiaro quando sia successo, che le parti si scambiassero tra loro. Stando ai superstiti dei vecchi tempi, siano questi libri o autentiche persone, il verde si è ridotto col procedere degli anni. C’erano una volta le foreste, qualche rigogliosa giungla, selve, macchie, boschi e schiere di conifere ammassate; talmente tanti arbusti c’erano, che persino dopo l’invenzione della carta, ne restavano diversi. E quelli lì, abbattuti e fatti a lastre incise, si usavano per dare corpo ai lumi ed ai pensieri. L’equilibro del mondo dell’arte si reggeva sugli opposti: polpa da una parte, cellulosa in quella opposta. Poi di nuovo insieme in un romantico racconto visuale, attentamente tramandato. Era, quella, l’epoca della xilografia. L’inchiostro scorreva libero nei fiumi, non ancora intrappolato nelle pratiche cartucce di un qualsiasi centro commerciale.
Di carrelli, nella stampa d’oggi, ce ne sono due: il secondo è quello che rincorre il foglio sotto lo sportello in plastica, dell’apparecchio digitale collegato in USB. Come cambiano le cose! Ormai non si dipinge, non si intaglia attentamente, non si usano le presse con la vite senza fine. Ciò vuol dire: niente legno. Solo un tasto, il gesto e la parola. La prassi è pure troppo chiara. Si trae l’immagine da un sistema rigido che non ammette cambiamenti: dallo spazio digitale ci si sposta sulla carta, senza intermediari. A meno che qualcuno non ci metta….L’intenzione. Steve Ramsey è il video-falegname che, in questo particolare frangente, ci dimostra una particolare proprietà delle moderne macchine da stampa che teniamo in ogni casa. Stiamo parlando delle Epson e Hp entry-level da qualche decina d’euro, meno care dell’inchiostro stesso. Apparecchi accessibili, eppure più versatili di quanto si possa pensare. Cosa sta facendo, questo hacker dalle mani multiformi? Ha preso un foglio di etichette per i pacchi, li ha staccati tutti quanti. Ah, che spreco di adesivi!
E ad ogni modo, resta il retro. Quella carta liscia, floscia e maneggevole, di un insignificante color crema. Un residuo che la prassi porterebbe a gettar via. Ma la prassi, ebbene, non è il campo degli artisti.

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