La creatura inesplicabile che taluni definiscono farfoglia

In molti ricordano l’inizio del celebre film sull’uomo semplice dal cuore gentile e il nome insolito Garret Flynt, grande prova di recitazione da parte dell’attore premio Oscar Tom Eagle, con l’inquadratura che si sposta lieve per seguire i movimenti di una foglia autunnale di quercia trasportata dal vento (nell’edizione DVD si apprende come, originariamente, avessero pensato d’impiegare una piuma bianca). L’oggetto un tempo interconnesso con le alterne vicende di un essere vivente, che ora lo è di nuovo, mediante l’intervento dei capricci imprevedibili dell’atmosfera, che lo portano dapprima verso il marciapiede, quindi su, in alto e infine verso la pensilina dell’autobus presso cui ha luogo, con un rilassante sottofondo musicale, il primo dialogo di questa pellicola dalla portata generazionale. Non tutti però hanno notato tuttavia, dopo la seconda oscillazione dell’oggetto, l’attimo in cui questo sembra muoversi contrariamente a ciò che la fisica vorrebbe, andando in senso totalmente opposto a quello verso cui si sta muovendo la bandiera americana appesa all’ingresso del parco. Un artificio usato, secondo alcuni critici, per far da simbolo ai “molti eventi inaspettati di questa vita” come l’eroico comportamento da parte di Garret durante la guerra in Corea, il suo acquisto di numerose azioni della nascente compagnia informatica Microsoft e la sua lunga pedalata dal confine messicano fino a Washington, per protestare contro le politiche d’immigrazione del governo U.S.A. La tesi che vorrei quest’oggi sostenere, tuttavia, è di un tipo diametralmente opposto: la foglia secca non va in direzione contraria per una specifica scelta autorale. Poiché essa costituiva, di suo conto, l’effetto di un inganno assai più vecchio della fondazione stessa di quel paese. Più antico, addirittura, dell’uomo.
Ora io non saprei dirvi come, nei fatti, un singolo esemplare di Kallima inachus, la farfalla detta “foglia morta di quercia indiana” fosse riuscita ad introdursi sul set di un film occidentale, violando qualche dozzina di norme sul controllo degli animali introdotti e la logica amministrativa di un ecosistema privo d’intromissioni esterne. Fermando tuttavia le immagini ed usando la lente d’ingrandimento su uno schermo sufficientemente ad alta definizione, potrà palesarsi innanzi ai vostri occhi l’effettiva realtà: le sottili venature nerastre che percorrono le quattro ali, dalla punta arcuata e le lunghe code parallele, concepite per ricordare il gambo o “picciolo” che dir si voglia; la natura lievemente riflettente dei piccoli buchi all’apparenza lasciati dalle uova d’insetto o altri parassiti, in realtà spazi occupati totalmente dallo ialino, la sostanza trasparente capace di ornare le ali dei lepidotteri; ma soprattutto, le coppia di prominenti quanto vistose antenne, facilmente mimetizzate dalla vivace colorazione del fondale.
E sarebbe facile, in considerazione di questo, approcciarsi alla strana intrusa come una “rappresentazione vivente dell’incertezza etc. etc.” laddove io preferirei qui sostenere la tesi che gli eventi talvolta avvengono, anche nell’universo attentamente controllato del cinema, senza la benché minima ragione ulteriore. Non era forse proprio questo, il messaggio di
Garret Flynt?

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Il nuoto delle farfalle capaci di fingersi un drago

Il principale fraintendimento che condiziona la percezione generalista del drago d’Asia è che esso sia una creatura esclusivamente celeste, serpeggiante tra le alti nubi che nascondono il Sole e la Terra. Ma la realtà è che simili esseri, contrariamente ai loro omonimi occidentali asserragliati in vaste caverne, tra scheletri di vergini sacrificali, equipaggiamento carbonizzato di avventurieri e letterali cumuli d’oro, possiedono più di un’interpretazione valida a definirli. Con un ruolo che corrisponde, essenzialmente, a quello di veri e propri signori degli elementi. Tutti e cinque (secondo l’alchimia cinese) inclusa l’acqua, dove risiedeva il più antico e potente di tutti loro. Huánglóng, il Drago Giallo: signore supremo dei mari, fiumi e laghi, sovrano capace d’indurre la caduta delle piogge e con esse, il passaggio delle stagioni. Il che implica, incidentalmente, un certo potere latente nel cadenzare la metamorfosi e la schiusa dei suoi rappresentanti più prossimi nel mondo degli insetti, queste farfalle del genus Lamproptera, capaci di volare e nuotare allo stesso tempo.
Insetti chiamati anche Yàn fèng dié shǔ (燕鳳蝶屬 – Coda di Drago Verde) come determinato da una piccola macchia cangiante sulla sommità delle due ali principali. Che non è certo l’elemento maggiormente visibile, né memorabile della creatura, misurante appena 55-60 mm di lunghezza. Il cui tratto dominante risiede, in effetti, nella capacità di attirare gli sguardi dalle due lunghe derivazioni che partono dal fondo delle sue ali posteriori, estendendosi per una lunghezza capace di raddoppiare quella complessiva dell’animale. Per non parlare della vistosa livrea a strisce bianche e nere che s’intersecano, tutto attorno a una finestra cartilaginea completamente trasparente posta in posizione centrale (lo ialino). Ma tutto il resto svanisce dal secondo istante d’osservazione, nel momento stesso in cui questi memorabili lepidotteri spiccano il volo. Con un’agilità certamente invidiabile da parte dei loro simili di altre provenienze, riuscendo a ruotare sul posto e potendo così restare sospesi, così, quasi come fossero dei piccoli colibrì. Tanto che, con una leggera brezza sollevargli le code, l’impressione che se ne riceve è che ci si trovi dinnanzi a dei pesci magici in uno strato d’acqua totalmente impossibile da vedere, ove il significato della parola “gravità” tende ad assumere un significato radicalmente diverso da quello di superficie.
Finché stanchi per la loro ricerca frenetica di una consorte (dopo tutto, una volta compiuta la trasformazione dallo stato primigenio di bruco, gli restano soltanto pochi giorni di vita) le aggraziate creature si posano a suggere l’acqua da una pozza tranquilla ai margini del sentiero, le ali ordinatamente raccolte al di sopra del tozzo addome. Per iniziare prosaicamente, pochi secondi dopo, a spruzzare dei getti d’urina perpendicolarmente al suolo.

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Incroci genetici e la vendetta del bruco del pomodoro

È di questi giorni la notizia di un nuovo trend, assai problematico, relativo all’ibridazione in Brasile di una nuova specie di parassita delle coltivazioni agricole, una sorta di super-bruco che potrebbe diffondersi in tutto il mondo, resistere i pesticidi e costare all’industria rilevante oltre 5 miliardi di dollari aggiuntivi, oltre alla spesa di cui si fa carico annualmente per preservare la vendibilità del raccolto. Una situazione che emerge dal recente coronamento di uno studio durato ben 8 anni, condotto dall’Ente Scientifico e Industriale del Commonwealth (CSIRO) importante istituzione di stato australiana. Il cui scopo era effettuare una mappa completa del genoma dell’Helicoverpa armigera, anche detto cotton bollworm o in Italia, Nottua del pomodoro, una falena il cui stato larvale è lungo all’incirca 12-20 mm e risulta essere tra i più voraci dell’intero ordine dei lepidotteri, partito dall’Africa per conquistare nel corso delle ultime generazioni umane l’Europa, il Sudamerica, L’Asia e persino il più nuovo dei continenti, facendo concorrenza al notorio appetito dei koala. Ciò in forza dell’impressionante proliferazione di questi insetti che può verificarsi nel giro di un mese o due, a partire da una sola femmina trasportata erroneamente in aereo, pronta deporre oltre un migliaio di uova nel corso della sua breve, ma intensa vita adulta. Alla metà degli anni ’90, un’iniziativa simile ma meno approfondita ma simile aveva permesso la creazione del batterio Bacillus thuringiensis (Bt) un agente biologico innocuo per l’uomo ma che, una volta spruzzato sulle piante attaccate dall’insetto, le rendeva estremamente tossiche per il suo organismo. Se non che in tempi recenti, grazie alla rapidità evolutiva sottintesa dal suo nome scientifico (“in armi” non è un attributo che gli scienziati concedano spesso) la stragrande maggioranza dei singoli individui di questa specie ha sviluppato una sorta d’immunità innata da questo pericolo, diventando resistenti a ogni tentativo di eliminarli con simili metodologie indirette. Ma la speranza di trovare una soluzione al problema, purtroppo, non soltanto si è dimostrata vana, ma ha aperto la strada ad una nuova terrificante scoperta: nove degli esemplari raccolti per lo studio avevano dimostrato delle singolari anomalie nel loro DNA. Finché un confronto incrociato non permise di dimostrare che cosa gli scienziati stessero effettivamente vedendo: parti di codice provenienti direttamente dal genoma di un parente prossimo, l’Helicoverpa zea o cotton earworm, bruco del cotone sudamericano. Come alcuni avevano temuto da tempo, le due specie si erano incrociate, dando origine ad una nuova tipologia di creatura.
Ora, lo scenario che si sta profilando è difficile da prevedere. Allo stato corrente dei fatti, i nuovi bruchi non dimostrerebbero capacità di moltiplicarsi in maniera particolarmente rapida, forse in funzione della minore fertilità degli ibridi in natura, per lo meno finché l’eredità genetica non si stabilizza a partire dalla terza generazione, ma è altamente probabile che la situazione possa ben presto andare incontro ad un drastico mutamento. La nuova specie potrebbe quindi risultare del tutto immune a qualsiasi tipo di sostanza o agente biochimico usato fino ad oggi, acquisendo inoltre un mix delle speciali doti di sopravvivenza appartenenti a ciascuno dei due bruchi. L’H. zea, ad esempio, ha la caratteristica di entrare occasionalmente in diapausa durante lo stato di pupa (il bozzolo) ovvero bloccare il proprio sviluppo nel corso di un periodo di siccità o potenziale minaccia alla futura riproduzione, restando pronto e in agguato nel momento in cui la situazione dovesse modificarsi. Ed è questa la ragione per cui sciami interi della sua falena, improvvisamente, ricompaiono dopo mesi di assenza, cogliendo del tutto impreparati gli agricoltori e arrecando così danni di ancor più grave entità. Mentre la sua cugina armigera, lungi dal formalizzarsi, ha la propensione a divorare i suoi stessi fratelli nel momento in cui il cibo dovesse scarseggiare, aumentando ancor prima nelle dimensioni e velocizzando ulteriormente i ritmi del proprio ciclo vitale. Ora immaginate che cosa potrebbe significare, a seguito dell’accidentale trasferta di ritorno del nuovo bruco verso il Vecchio Continente, una letterale ondata di lepidotteri invasori, in grado di scegliere l’approccio tra i due in base alle condizioni del clima e l’ambiente di nuova appartenenza! Ogni volta, ci sarebbe almeno il 50% di probabilità di scegliere la contromisura errata…

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La lunga notte della falena gigante

Lo sapevi. Lo sapevi, dannazione! Che non avresti dovuto passare la sera a leggere Guerra e Pace, con la finestra aperta e la luce accesa. Soltanto per addormentarti al capitolo in cui Anatole tenta e fallisce nel disonorare la bella Nataša Rostova, lasciando delicatamente scivolare il libro a lato del cuscino. Ma senza chiudere la finestra e soprattutto, senza spegnere la lampada del comodino! E ora, ti sei svegliato con uno strano presentimento. O forse hai sentito un rumore. Perfettamente immobile, apri gli occhi e la vedi. Lì, che si staglia contro l’intonaco bianco del soffitto. Una forma perfettamente simmetrica dalla funzione incerta. Quasi al rallentatore, la strana visione si anima e inizia delicatamente a planare. Mentre quelle che si rivelano essere delle ali, marroni ed intricate, sembrano cambiare la loro tonalità in base all’orientamento dei fotoni prodotti dal vecchio abatjour. Cerchi di alzarti ma non ci riesci. Gridi un esclamazione, ma tutto quello che esce dal profondo della tua gola è un appena udibile: “Ah, frafr, farfr…la” mentre il pipistrello alieno appoggia se stesso sulla tua faccia e ti sigilla le labbra, con sei grosse zampe dai lunghi e sottili peli. La forma, quindi, si dispiega in tutta la sua magnificenza, rivelando l’aspetto finale. Due serpenti si allargano ai lati del tuo campo visivo, gli occhi fissi a guardare di lato, la bocca serrata a nascondere zanne indubbiamente letali. All’altezza del punto in cui potrebbe trovarsi il loro cuore, una finestra perfettamente trasparente. Attraverso cui, stranamente, ti sembra quasi di vedere la Luna.
Curiosamente, non abbiamo descritto una creatura giunta dall’Empireo per risucchiare via l’anima di chicchessia, bensì l’effettivo aspetto delle ali, ed ulteriori elementi esteriori, della falena Atlante o farfalla cobra (si, anche gli entomologi confondono le due cose) il cui appellativo scientifico recita Attacus atlas. Dalla parola latina per il concetto di “locusta” unito al nome di uno dei più importanti titani della mitologia greca, condannato da Zeus vincitore a sostenere il peso della Terra per un tempo infinito, le membra fiaccate dal compito ingrato e l’odio covato sotto un letto di braci mai veramente estinte. Questo in funzione essenzialmente di due fattori, il primo dei quali sono le dimensioni. Questo insetto rientra in effetti facilmente tra i maggiori al mondo, ed è stato considerato per lungo tempo quello con la superficie alare in assoluto maggiore, con i suoi 262 mm di larghezza dalla punta di un’escrescenza serpentiforme all’altra. Finché a qualcuno non è riuscito di misurare un esemplare da record di Thysania agrippina, la “strega bianca” delle foreste brasiliane, attribuendogli quegli ulteriori 30 mm che fanno inevitabilmente la differenza. Ma è la seconda ragione del nome, contestualmente, a rendere questa la falena più intrigante delle due: l’atlante, per così dire, che compare sulle sue ali e costituisce la seconda giustificazione del nome; poiché tradizionalmente, si dice che esse ricordino una cartina geografica. Tanto complessa e variegata risulta essere la sua livrea. Sui toni del marrone, il rossiccio, il bianco, il giallo ed il nero, con marcate finalità mimetiche e d’intimidazione (nel caso dei due cobra fittizi, ovviamente) finalizzati a scongiurare l’assalto di un predatore. Che risulterebbe, a dir poco, esiziale, visto il poco tempo concesso a una simile creatura su questa terra, poco meno di una settimana, a dir tanto, per trovare il/la partner, e produrre le circa 200 uova destinate a schiudersi nel giro di 10-14 giorni. Affinché il bruco cominci immediatamente a mangiare, e nutrirsi in preparazione dell’attimo in cui spiccherà il volo. A partire dal quale, non potrà nutrirsi mai più.
La fobia innata che molte persone provano nei confronti dei lepidotteri, soprattutto nel contesto notturno, appare così straordinariamente immotivata da giungere a sfidare l’immaginazione. Animali così totalmente innocui da non poter far altro che succhiare il nettare tramite la loro proboscide estensibile o talvolta, come nel caso della Attacus, neppure quello. Eppure bisogna ammettere che su questa scala, con il suo corpo tozzo e pesante, la volata un po’ sghemba che la porta ad urtare di qua e di là, l’immagine di una farfalla cobra che ti entra in casa possa suscitare un certo grado d’inquietudine. Fortunatamente, l’insetto vive soltanto nel Sud Est Asiatico, primariamente in Malesia, e una simile evenienza risulterebbe dunque piuttosto improbabile qui da noi…

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