L’imponente antesignano dell’unione tra elicottero e aeroplano

Non è affatto raro che in campo aeronautico, la forma del velivolo racconti una parte significativa della storia: così come nei processi evolutivi, lo sviluppo di particolari caratteristiche fisiche permette agli uccelli di rispondere a esigenze necessarie per la loro stessa sopravvivenza, il prodotto volante dell’ingegno tecnico umano incorpora nei suoi fattori esteriori parametri determinati dal suo ruolo programmatico, le tecniche d’impiego e l’inclinazione operativa del pilota. Non potevano certo esserci dubbi, dunque, nel remoto 1964, sulle ragioni che avevano portato alla progettazione, costruzione e infine messa in opera del surreale Ling-Temco-Vought (LTV) XC-142, frutto almeno in parte delle stesse figure professionali che avevano realizzato, a partire dalla metà della seconda guerra mondiale, la particolarmente riuscita linea di caccia con decollo da portaerei F4U Corsair. Capaci d’infondere, nel loro progetto militare, una significativa dose di quel lampo di genio, altrimenti definito sacro lume della follia. Messo per la prima volta alla prova presso l’Edwards Air Force Base californiana poco a settentrione della città di Los Angeles, e una volta che l’enorme polverone sollevato dai suoi quattro possenti rotori fu disperso dal vento, ciò che i vertici delle alte sfere erano stati chiamati a supervisionare si rivelò in tutta la sua surreale magnificenza: quella di un grande aereo cargo (poco più di 10 tonnellate) le cui ali erano state montate, per qualche incomprensibile ragione, in senso perpendicolare al suolo. Assurdo, nevvero? Come un pesce con le zampe. Come un serpente piumato. Eppur con significativo rombo dei motori, l’oggetto non identificato prese quindi a sollevarsi, con totale sprezzo ed apparente sdegno nei confronti della gravità. Per variare quindi in volo il proprio assetto, alla maniera di un’antenna satellitare che tenta di agganciare il segnale. Cosa sono, d’altra parte, orizzontale e verticale? Nient’altro che definizioni soggettive dei diversi aspetti di un qualcosa, definito dal bisogno di rispondere ai presupposti fondamentali dell’Impresa. E ciò che questi uomini stavano vedendo, in quel fatidico 11 gennaio chiaramente registrato negli annali, fu sostanzialmente la realizzazione più sofisticata di un aeromobile con ali basculanti. Sostanziale versione, portata fino alle più estreme conseguenze, dell’originale concetto di un convertiplano capace di riorientare i propri motori ed eliche, eccetto per il fatto che stavolta, sarebbe stata l’intera ala a ruotare. Un’idea dotata da parecchi significativi vantaggi, tutti di natura aerodinamica, capaci di controbilanciare la maggior complessità e costo unitario dell’aeromobile; primo tra tutti, la capacità di rimanere stabile nell’aria come un elicottero e spostarsi in avanti alla velocità di un aereo passando attraverso tutte le fasi intermedie, anche da fermo. Laddove le sue alternative popolari fino a quel momento richiedevano il raggiungimento di una velocità sufficientemente elevata, prima di poter effettuare la transizione a tal fine. Il che in effetti bastò a renderlo profondamente diverso, dal suo ideale successore il Bell Boeing V-22 Osprey (Falco Pescatore) oggi attivamente utilizzato dalle Forze Armate Americane per rispondere a speciali esigenze di trasporto.
Non c’è molto da stupirsi, dunque, se a differenza di quest’ultimo, l’affascinante sogno pindarico di quegli anni sarebbe stato destinato a fallire, nonostante le ottime caratteristiche d’impiego dimostrate dai suoi cinque prototipi costruiti in quegli anni: forse, semplicemente, il mondo non era ancora pronto per lui…

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La soluzione accettabile di un paio d’ali montate al contrario

“Assurdo e privo di ogni logica! SAPEVO che non ci saremmo dovuti affidare a uno studio di progettazione privato. Chi siamo noi, gli Stati Uniti?” Questa è la frase che possiamo immaginare pronunciata, con tono petulante, dall’eventuale anziano e decorato generale d’aeronautica, all’uscita dalla sede di Mosca in via Kolokolnikov della KB SAT, acronimo che costituisce l’abbreviazione aziendale di Современные Авиационные Технологии (Tecnologie Aeronautiche Moderne). Ma che potrebbe anche corrispondere, nella Russia contemporanea, al coraggio di un’istituzione relativamente giovane eppur capace di sfidare giganti come la Sukhoi, la Yakovlev e gli altri bureau membri del gruppo OAK, istituito nel 2006 per riunire sotto l’egida governativa tutti i maggiori fornitori dello stato in campo aeronautico, per lo più risalenti all’epoca sovietica e largamente amministrati con partecipazione e indicazioni provenienti direttamente dall’elite di governo. Mostrandosi capace di combattere ad armi pari, si, ma riuscendo effettivamente a trionfare? Visto lo stato attuale dell’approvazione del progetto SR-10 (“Aereo con ali a freccia dall’inclinazione di -10 gradi”) correntemente rimandato a data da destinarsi per mancanza dello stanziamento di fondi previsto entro la fine del 2018, non possiamo che sospendere il giudizio. Eppure, dal punto di vista del valore di quanto proposto in questa sede, non possiamo che ammirarne, quanto meno, l’evidente valore d’innovazione anche di fronte all’intera industria aeronautica mondiale.
Poiché il nuovo velivolo per addestramento militare subsonico SR-10 (o per usare la grafia russa, СР-10) quando riuscì effettivamente a decollare in forma di prototipo presso la base aerea di Oreshkovo in Kaluga nel 2015, avrebbe smentito più di un detrattore nei confronti del suo aspetto a dir poco inusuale. Disegnando figure acrobatiche in cielo grazie a un abile pilota sperimentale, con la sua livrea dipinta di rosso usata per creare un risalto ancor maggiore tra il cielo e una forma decisamente fuori dal comune. Già, perché qui ci troviamo di fronte al più recente esempio, particolarmente raro in ambito militare e senz’altro la più recente dopo un lungo empasse, di un aereo con ali a freccia inversa. Stile capace di sovvertire con estrema agilità, fin dai tempi dei soliti progettisti tedeschi della Luftwaffe bellica, quelle che sono le aspettative lecite ad opera l’intuito dei non iniziati, nei confronti di cosa dovrebbe effettivamente governare la progettazione di un dispositivo adibito al volo. Armonia, dinamismo delle forme, logica fornita dalle leggi di natura? Ma le ali di un falco o di un’aquila partono forse dal loro corpo in una qualsivoglia altra direzione, che quella meramente perpendicolare? La verità è che, una volta che abbiamo deciso di ridurre il carico aerodinamico distribuendo la superficie d’ala in maniera aderente alla fusoliera, ben poco importa ai fini del decollo se ciò avvenga nell’una, oppur l’altra direzione. E con ciò intendo “molto meno di quanto ci saremmo aspettati” perché è d’altra parte facilmente immaginabile una lunga serie d’effetti, tra l’altro inerentemente utili per un aereo da addestramento come questo, entrino a questo punto nell’equazione dell’assetto aerospaziale del caso.
Ciò che l’ignoto addetto al test seduto sul sedile frontale di questo aeromobile a due posti stava sperimentando in quel preciso ed esilarante momento era, se vogliamo, l’apice della manovrabilità più selvaggia, in un apparecchio capace di emulare, sotto più di un punto di vista, l’esatto comportamento di un jet da svariati miliardi di rubli. Vediamo come…

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Perché chiamarlo “volante” se non lo avessero usato sugli aeroplani?

Serenamente intento in una delle attività che preferisce in assoluto, il famoso aviatore statunitense Kermit Weeks dimostra il funzionamento di un’attrazione del suo parco/museo Fantasy of Flight, situato ad appena 30 Km dal celebre Walt Disney World, patria del topo antropomorfo più famoso della Florida (e del mondo). Ma questa cosa inusitata, assai diversa da quanto ci si aspetterebbe di vedere nei cieli dei nostri giorni, non è certamente il tipo di arnese che i visitatori vengono chiamati a godersi in prima persona, allacciando la cintura di sicurezza dopo aver pagato il prezzo ragionevole di un “giro”. Così come il suo stile d’intrattenimento, inerentemente diverso da quello di chi sceglie d’indossare la testona imbottita e il costume di Pippo o Paperino, risponde a una più raffinata interpretazione del concetto d’intrattenimento, su una strada parallela al senso oggettivo della Storia. Sareste tuttavia perdonati nel pensare quanto scomodo, e pericoloso, possa sembrare il sedile su cui egli trascorre i fatidici 30 minuti, ereditato direttamente da un’epoca in cui fluttuare nei cieli, a bordo di un velivolo più pesante dell’aria, era ancora un concetto nuovo e decisamente fuori dalla logica dell’autoconservazione umana.
Siamo a bordo, dopo tutto, della fedele replica di un Curtiss “Pusher” Modello D, uno dei primi aeroplani ad essere prodotti in serie a partire dall’ormai remoto 1911. Tanto per mettere in prospettiva le cose, esattamente otto anni dopo che i fratelli Wright avevano avuto modo di compiere la loro monumentale impresa, dimostrando il funzionamento di questa futura branca dei trasporti su medio e lungo raggio, grazie al suono ritmico di un motore a 4 cilindri capace di raggiungere appena i 48 Km orari. Quasi nulla in effetti, rispetto ai 97 utilizzati come velocità di crociera dall’efficiente invenzione del loro collega e concorrente commerciale dello stato di New York, Glenn Hammond Curtiss, diventato famoso pochi anni prima per avergli soffiato con il suo June Bug (a.k.a. Aerodrome #3) il record di “Primo aereo ad aver percorso più di un chilometro negli Stati Uniti” (soltanto perché i due costruttori dell’appena più iconico Flyer, temendo lo spionaggio industriale, avevano effettuato molti dei loro voli in segreto). Una rivalità che trova una piena rappresentazione nell’effettivo funzionamento del suo velivolo più rinomato, in cui molte delle soluzioni tecniche erano state selezionate appositamente per non incorrere negli spazi occupati dai brevetti di chi era venuto prima, incluso il metodo di controllo basato sulla deformazione delle ali, mediante l’uso di pedali, sostituiti da ben più pratici e funzionali alettoni. Ma la vera domanda allora, per chi un simile apparecchio doveva venderlo alla marina, i facoltosi scavezzacollo e chi di lavoro faceva il corriere, era: come convincere tutti che si trattasse di un sistema “sicuro” e al tempo stesso, facile da utilizzare? Ovvio: sarebbe bastato dimostrare che pilotarlo era esattamente la stessa cosa che mettersi al comando di un’automobile. Anche se in effetti, i guasti al motore potevano avere conseguenze di tutt’altra portata gravitazionale…

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Gli aerei di Düsseldorf che atterrano durante la tempesta Friederike

Tutte le notizie dei telegiornali, i reportage cartacei, le testimonianze radiofoniche e il sentito dire sul Web, non possono sostituire l’esperienza diretta di una situazione critica, per il modo in cui essa può riuscire a condizionarti, o rovinarti totalmente la giornata. E può sembrare fin troppo spesso che le alterne vicende di nazioni relativamente distanti, in quanto situate all’altro lato di un continente, possano riguardarti ben poco. Finché, alla velocità di un viaggio che ti porta oltre le nubi (per ragioni di famiglia, di lavoro etc…) non ti trovi nel velivolo che dovrà posare le sue stesse ruote in mezzo a quello che potremmo anche definire, non del tutto metaforicamente, l’occhio stesso del ciclone. Nove morti all’attivo, case scoperchiate, autotreni rovesciati, interi boschi sradicati, coi tronchi gettati sulle strade come fossero stuzzicadenti. Scene di persone intente a camminare per la strada, quando una raffica improvvisa non soltanto le getta a terra, ma inizia a trascinarle via sul ruvido asfalto. Ciò che questo inizio del 2018 ci ha portato, o per meglio dire ha portato ai nostri vicini francesi, tedeschi ed olandesi, è una manifestazione del terrore stesso che si è fatto vento, semplicemente il caso più grave, in tal senso, verificatosi nel periodo degli ultimi 11 anni. E saranno in molti, al termine dell’episodio, a poter dire di aver vissuto tutto questo in maniera fin troppo diretta e coinvolgente. Ma forse nessuno quanto quel gruppo di malcapitati viaggiatori che, per uno scherzo del destino, avevano in programma di arrivare con l’aereo in una delle zone colpite proprio nella giornata del 18 gennaio, ovvero prima che entrassero in vigore i blocchi per precauzione di tutto il traffico volante in arrivo.
Ora per chi non avesse mai avuto occasione di conoscerlo, l’Aeroporto Internazionale della città di Düsseldorf, base operativa della compagnia aerea Eurowings, è una struttura spaziosa, moderna e conforme ai più severi standard di sicurezza contemporanei. Le sue due piste, lunghe rispettivamente 3 e 2,7 Km, sono sufficientemente ampie da ospitare l’atterraggio dei più grandi aerei passeggeri attualmente in servizio, caratteristica che gli permette, inoltre, di restare operativo al 100% con venti di traverso di fino a 30-35 nodi, ovvero il limite operativo massimo di aerei come il Boeing 737, il bimotore più diffuso al mondo. Ma che succede quando le condizioni meteo s’inaspriscono improvvisamente, e le alte e basse pressioni causano degli spostamenti d’aria che iniziano a spostare l’aria a una velocità anche due volte superiore? Per prima cosa, si comunica la situazione ai piloti, affinché questi ultimi possano prendere una decisione informata in merito al fatto che sia il caso di proseguire, nonostante tutto, verso l’obiettivo designato, oppure cambiare l’ultima sezione della rotta, per portare i propri passeggeri al sicuro presso piste di atterraggio più tranquille. Ma poiché questa non è sempre la scelta effettuata dai diretti interessati, a volte per direttive  della linea aerea, altre per semplici considerazioni relative al carburante rimasto (è sempre presente, ovviamente, un margine) potrà capitare che pochi, o molti coraggiosi, si ritrovino a tentare nonostante tutto di arrivare a destinazione nel prefissato luogo ed orario. Ed è allora, volenti o nolenti, che s’iniziano le danze.
In questo video caricato sul canale Cargospotter, in realtà parte di un’ampia collezione di scene simili che stanno comparendo da una parte all’altra di YouTube, alcuni appassionati di aviazione hanno compilato una compilation delle riprese dirette, effettuate con cellulari o videocamere, da coloro che hanno deciso di offrire una testimonianza di questo momento critico e, a dir poco, assolutamente estremo. È semplicemente illuminante la maniera inversamente proporzionale alle dimensioni in cui i diversi aeromobili reagiscono alle forze in gioco, con un Bombardier Dash 8 (circa 70 passeggeri) che si avvicina al suolo alla maniera di un pianeta che sta per essere inghiottito da un buco nero. Mentre l’unico Airbus A380 della sequenza, il singolo più grande aereo passeggeri al mondo (fino a 853 persone a bordo) non sembrerebbe neppure risentire del vento, se non fosse per i rapidi movimenti osservabili del suo timone di coda. Fermo restando che siamo in una di quelle situazioni per cui, una volta che si fermano i motori, nessuno potrebbe fare a meno di trattenere un sincero respiro di sollievo…

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