Lutto in Vietnam: è morta la tartaruga sacra di Hanoi

Cu Rua Turtle

Immaginate una situazione in cui il lago di Loch Ness, invece che trovarsi tra le verdeggianti valli delle Highlands Scozzesi, fosse collocato nel pieno centro storico di una città da tre milioni e mezzo di abitanti. E che non soltanto il suo occupante rettiliano più famoso fosse vero, lungo appena due metri e dotato di un guscio morbido e cedevole al tatto, ma collegato ad una serie di leggende non dissimili da quelle della leggendaria lama di Re Artù: proprio così. Nell’Hoan Kiem, il Lago della Spada Restituita, fino al recente 19 gennaio del 2016, viveva una tartaruga. Dell’età di almeno 100 anni. Dal riverito nome di Cụ Rùa, che significa letteralmente “bis-nonna tartaruga”. Collegata famosamente, attraverso il filo diretto delle reincarnazioni buddhiste, alla vicenda del nobile comandante Lê Lợi, che scelse di farsi imperatore nel 1428 dopo aver scacciato i tirannici usurpatori della dinastia cinese dei Ming. Grazie all’aiuto di niente meno che Kim Qui, il Dio-Tartaruga d’Oro, e dell’arma ricevuta in dono per sua intercessione dal Re Drago Long Vương. Ma esiste almeno un altro mito, altrettanto importante, sulle gesta della tartaruga del lago di Hanoi. Dallo sguardo di questo gruppo di curiosi, che nel 2010 accorsero per ammirare Cụ Rùa che era riemersa in superficie mostrandosi per una volta al mondo, un evento raro, ben si capisce l’importanza avuta da queste vicende semi-storiche nella cultura popolare vietnamita, ed altrettanto chiaramente, del probabile dispiacere avuto dalla popolazione cittadina alla notizia che il grande animale, per cause tutt’ora largamente ignote (ma si sospetta la vecchiaia) avesse infine lasciato questo mondo, in una mattina di gennaio all’apparenza priva di significanza allegorica o particolari prodigi. E dire che difficilmente, fra tutte le nazioni della Terra, poteva dirsi esistere una creatura in grado d’influenzare a un tale punto le registrazioni degli eventi storici e l’antica mitologia…
Tutto iniziò intorno al 200 a.C, quando il re An Dương Vương, unificate le tribù del vasto territorio di Âu Việt (l’odierno Vietnam) aveva costruito una cittadella imprendibile con la forma di una spirale, denominata Cổ Loa, presso l’attuale periferia della capitale di Hanoi. E da qui egli ebbe modo di regnare indisturbato, ponendo le basi per una grande e duratura prosperità, finché a partire dal 206 a.C, con l’inizio in Cina della grande dinastia degli Han, non sopraggiunse la necessità di difendersi strenuamente dal generale in fuga Zhao Tuo, che avendo servito i precedenti governanti, adesso era in fuga, e cercava nuove terre in cui far stabilire le sue armate più fedeli, sfidando gli stati vassalli del distante meridione. Ma si dice che la fortezza stessa del re del Vietnam fosse magica, e che egli, dopo aver fallito per più volte nella sua costruzione, avesse pregato e bruciato incenso per molti giorni e molte notti, finché al suo cospetto non giunse a palesarsi proprio lei, la tartaruga Kim Qui, che gli offrì assieme alla propria benedizione un artiglio della zampa, che sarebbe stato usato per costruire un’arma invincibile da parte di qualunque aspirante invasore. Si trattava di una balestra magica, in grado di far fuoco a ripetizione. Usando quindi l’imprendibilità delle sue alte mura, assieme alla forza di una tale arma tecnologicamente avanzata, An Dương Vương riuscì a respingere gli invasori cinesi per un lungo periodo di 10 anni, finché la situazione non fu capovolta grazie ad uno stratagemma. Il sovrano infatti aveva una figlia, la principessa Mỵ Châu, che si era innamorata dell’erede stesso del capo nemico, Trọng Thủy e che, per benevola intercessione dei rispettivi genitori, gli venne promesso in matrimonio. Ora costei, secondo il mito, si dimostrò tanto ingenua, o intenzionalmente traditrice, da parlare durante un incontro con Zhao Tuo in persona dell’esistenza della balestra magica, in modo che quest’ultimo, tramando nell’ombra, potesse far entrare delle spie nell’imprendibile cittadella di Cổ Loa, per sostituirla con un’arma più comune. E la missione riuscì. Nel corso del successivo assalto, trovandosi all’improvviso privo del suo aiuto sovrannaturale, il re non fu più in grado di proteggere il suo popolo, e fu costretto ad una fuga precipitosa dalla porta sul retro, assieme a tutta la sua famiglia, inclusa Mỵ Châu. Secondo alcune versioni del mito, mentre i due si trovavano a cavallo nei dintorni di un fiume, il dio rettile Kim Qui riemerse all’improvviso dalle acque, soltanto per pronunciare all’indirizzo del re queste precise parole: “La tua unica vera nemica… Si trova dietro a te, in questo momento!” Comprendendo finalmente cosa fosse realmente successo, con un solo fluido colpo di spada, il sovrano decapitò la sua stessa figlia, poi si gettò nelle acque dove scomparve, assieme alla tartaruga. Nessuno l’avrebbe più visto fra i mortali.

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I sette addetti alla Marina Militare della Mongolia

Mongolian navy

Una singola nave, un lago ghiacciato per metà dell’anno, due marinai che sopravanzano le cinque dita di una singola mano. Soltanto quello corrispondente al pollice, che sa nuotare. Ovvero Batbayan, l’uomo che dichiara in discorsivo sottotitolo: “Vorrei un giorno riuscire a vedere il vero mare.” Perché: “Le acque dell’Hôvsgôl Nuur sono fredde e inospitali.” E conclude la comparazione: “Mentre il vasto Oceano…Io me lo immagino caldo, sereno ed accogliente.” Ehm, più o meno… Chi siamo noi per contraddire, dopo tutto, la singola risorsa umana più importante di un’intera forza nazionale, responsabile di innumerevoli salvataggi dei colleghi più distratti negli anni, ciascuno a sua volta costituente, se vogliamo, un settimo della Mongolia per mare. Dotata di… Un supporto a terra per gli aerei? Una nave da battaglia. Un trasporto per le truppe. Tutti ruoli, rigorosamente potenziali, rivestiti dalla loro poderosa Sukhbaatar III, un vascello di rifornimento d’epoca sovietica, a suo tempo orgogliosamente iscritto nei registri del governo locale come prima rappresentante di una lunga serie di navi sorelle, che in ultima analisi non ebbero mai occasione di concretizzarsi. E che oggi continua la sua antica missione, parzialmente dimenticata.
Si potrebbe definire l’insieme delle forze militari di un paese come una piramide invertita di colore verde oliva, in cui più si sale, maggiore diventa la quantità di uomini al comando di un solo ufficiale: squadra, sezione, plotone. Seguiti da: Compagnia, battaglione, reggimento. E poi brigata, divisione, corpo d’armata… Finché non si scorge sopra a tutto il resto, come un vessillo identificativo d’eccezione, quel termine mirato a definire tutti gli altri: l’Arma. L’Esercito Italiano, ad esempio, ne possiede tre: terrestra, navale ed aeronautica. Negli Stati Uniti d’America, a queste si aggiungono la guardia costiera e i marines. Ma detta stratificata suddivisione va ben oltre una semplice attribuzione delle responsabilità, giungendo a regolare anche la logistica in tempi di guerra, determinando chi debba ricevere i rifornimenti, quando, come e perché. Un sistema certamente antico, che in molti sarebbero più che mai pronti a far risalire fino ai tempi dell’esercito romano, per il semplice fatto che chi altro, prima o dopo di allora, poté mai vantare un simile curriculum di conquiste, guadagnate presso i campi di battaglia dell’intero mondo conosciuto? L’unica risposta possibile, nonché del tutto ovvia: loro, gli arcieri a cavallo d’innumerevoli tribù, instradati ad una singola missione dall’eternamente celebrato Gengis Khan. Indubbiamente uno dei maggiori capi dell’intera vicenda storica umana, almeno fino alla prime propaggini della modernità. Che seppe sfruttare, con il massimo profitto, un sistema per certi versi primordiale, eppure chiaramente efficiente, almeno quanto le coorti e le legioni di coloro che erano venuti prima: l’orda, singola e indivisibile, semplice, diretta, numericamente priva di limitazioni. Ovvero uno stuolo d’armigeri, che poteva raggiungere il milione di unità, nei periodi delle grandi migrazioni, come altrettanto facilmente suddividersi in innumerevoli gruppi e clan familiari, ciascuno totalmente in grado di sopravvivere per proprio conto. Ciò perché quando un’armata non ha frazionamenti numerici a condizionarla, tenderà naturalmente a contare sul suo naturale spirito di coesione. Ed è così che appena sette uomini, riescono a formare una Marina.

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La spiacevole laguna azzurra in mezzo alla campagna inglese

Harpur Hill

Splendida e invitante, la vecchia miniera allagata presso Buxton, nel Derbyshire attrae i locali con promesse di svago estivo ed acque che, dalla colorazione, parrebbero magicamente estratte da un ambiente tropicale. Cerulea increspatura sulla superficie, sotto la quale, l’immaginazione vuole, nuotavano i pesci di una tipica barriera corallina? Bello? Ma invece giacciono, tra la ruggine e le lacrime, rottami di generazioni d’automobili, rimasugli indescrivibili di attività industriali e soprattutto lei, quella particolare pietra calcarea che fu usata negli ultimi tre secoli per far la calce viva. E che adesso si agita ed emana il suo veleno, rovinando la giornata e l’acqua degli stolti: guarda, è una vera disgrazia ereditata dal passato. Uno splendido luogo per bagnarsi. Peccato soltanto che…Abbia un pH pari o superiore a quello di un prodotto chimico decolorante: più che sufficiente ad ustionare la pelle umana, per lo meno dopo un tempo di contatto medio. Davvero rinfrescante.
Il gabbiano che vola sopra la discarica, pronunciando il suo richiamo coercitivo, non lo fa per dimostrare qualche cosa. No, non è di certo la sua, una forma di protesta contro l’ingiustizia che rovina le precipue circostanze: quell’uccello viene perché ha fame. Dal suo punto di vista soggettivo, per quanto si possa parlare d’ego in esseri guidati dall’istinto, gli permette di capire chiaramente la terribile realtà. Ecco, fra le fresche frasche dietro alla città, un accumulo fenomenale di risorse, in parte orribili, in parte velenose, ma soprattutto, nella residua maggioranza delle parti, commestibili e preziose. Per egli questa non è puzza, ma un profumo ricco d’opportunità e soddisfazione smisurata. Mentre persino la diossina fumigante, che permane in una fitta coltre sotto i sacchi neri cotti al sole, appare alle sue piume un mero male transitorio, il piccolo portale verso l’estasi dello sfrenato nutrimento. Provate voi a spiegare, a quell’allegra bestia, che sta procedendo col sorriso nel suo becco verso la sicura distruzione. Fategli capire, se ci riuscite, come tutti i nuovi nati della sua genìa, usciti dalle uova deposte in un numero maggiore per l’immisurabile abbondanza, siano destinati ad assorbire, per il corso della propria intera vita, solamente spazzatura. E così è stata questa venefica e attraente pozza di Harpur Hill, per noialtri bipedi sapienti, nell’ultima manciata di generazioni. Perché dico, l’avete vista? Siamo di fronte a una caldera artificiale che, raccogliendo mensilmente l’acqua piovana, riesce a trasformarla in modo straordinario ed attraente. Prima ancora che di una stregoneria, si tratta dell’effetto di uno strato di precipitato del carbonato di calcio, che liberato per effetto della naturale erosione dal fondale tende a riemergere, agendo come un filtro sulla rifrazione della luce. Se un simile fenomeno avesse agito sullo spettro luminoso producendo un inquietante rosso sangue, o un verde malsano, nessuno si sarebbe mai sognato di venire qui a nuotare. Ma il problema è che la fisica applicata in questo caso vuole, con inconsapevole dispetto ai coabitanti, che il fluido risultante assuma un’invitante tinta azzurrina, associata nella mente a candide visioni di località turistiche da sempre oggetto del pubblico desiderio.
Ne parla brevemente il divulgatore inglese Tom Scott, nell’ultimo episodio della sua serie per YouTube, Things You Might Not Know (Cose che potresti non sapere) qui sopra riportato, per poi passare al punto cardine della questione: la gente che regolarmente, nonostante tutto, nella miniera della cara vecchia Buxton ci fa il bagno. È un problema assai particolare, nei fatti: ecco un lago che non ha immediati effetti deleteri ma è soprattutto privo, nei fatti, di alcun tipo di segnale naturale. A cui dovrebbero supplire quelli affissi puntualmente, ogni estate, ad opera dell’amministrazione dei vicini centri abitati, con diciture tipo “Attenzione, acque inquinate, presenza di rottami e carcasse d’animali.” Ma naturalmente, quando mai un cartello può fermare il tuffo di chi imita i gabbiani…

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Nuotare assieme ad un milione di meduse

Jellyfish Lake

Ecco un evento fuori dal contesto: l’acqua che è una zuppa, più che un lago, e lui che fluttua ricordando un tempo e un luogo differente. Certe situazioni sono tanto strane e incomprensibili che, senza un appiglio chiaro al mondo, potrebbero portarti fuori dal tuo placido e tranquillo vicinato. Laddove volano le aquile, se ami l’alpinismo, oppure in comparabile e diametrale opposizione, nel profondo di un sistema chiuso, in cui sussistono le condizioni per un’unica realtà…Tentacolare…Soltanto “lievemente” urticante…replicata all’infinito nell’impegno d’individui senza nome, né pensiero. Ce li fa conoscere con il suo video, realizzato nel corso di un’affascinante quanto costosa immersione, Mikeyk730, visitatore occasionale della nazione arcipelago di Palau. Ora, naturalmente qualsiasi paese isolano che si trovi a 500 Km dall’importante terra emersa più vicina (in questo caso, le Filippine) tenderà ad avere flora e fauna alquanto fuori dal comune. Questo dettano le leggi dell’evoluzione, che non soltanto si adattano a un contesto dell’ecologia, ma alla presenza, o incidentalmente anche l’assenza, di determinati concorrenti nella gara che conduce alla sopravvivenza. Ma non sempre fino a un tale punto, senza pari nell’intera storia della biologia: il Lago delle Meduse, il cui nome è già un programma, sarebbe questo specchio d’acqua marina della misura di 460×160 metri circa sito presso le coste dell’isola di Eil Malk, caratterizzato da diverse quanto significative eccezioni da quello che potrebbe definirsi il corso principale delle cose. Prima di tutto, perché presenta un marcato fenomeno di meromissi, ovvero la precisa divisione in strati dalla composizione chimica notevolmente differente, nel suo caso due, che riescono a mantenersi separati nel corso dell’intero ciclo stagionale. In tutto il mondo sono più di 200 i laghi che presentano questa caratteristica, quasi tutti d’acqua dolce, benché dall’alto contenuto salino. Mentre questo particolare luogo riesce essenzialmente a costituire un avamposto del vicino mare, visto come numerose fessurazioni e tunnel sotterranei, scavati dall’erosione sull’antico suolo d’arenaria, lo colleghino direttamente alle acque tiepide della laguna lì vicino. Tubi di collegamento, autostrade per i pesci, metropolitane che non nei secoli e millenni sono state viste con particolare diffidenza da praticamente tutte le creature, tranne due particolari specie, molto simili tra loro: le meduse scifozoe delle specie Mastigias papua e Aurelia aurita. Che simili sifoni li hanno già percorsi, con la ferma intenzione di raggiungere quel vuoto interessante. E farne, grazie alla riproduzione scriteriata, il proprio paradiso in Terra.
Palau, che fa parte del gruppo di isole che collettivamente compongono la vasta regione della Micronesia, è a sua volta suddiviso in due sezioni contrapposti: una parte a nord, dove si trovano gli aeroporti, tra cui quello internazionale, il porto e commerciale e i principali centri abitati, tra cui la capitale Koror. Nel meridione invece, sussiste un paesaggio di circa 300 isole rocciose e piccoli atolli da una superficie complessiva di 47 Km quadrati, virtualmente incontaminati dalla mano dell’uomo. Il nome di questo luogo prezioso, nominato dal 2012 patrimonio naturale dell’UNESCO, è Chelbacheb ma i turisti, per semplicità, sono stati abituati a definirle le Rock Islands. Questo soprattutto visto l’aspetto spigoloso e rigido del suolo, parte residua di una barriera corallina preistorica, che fu spinta verso l’alto per l’effetto di attività vulcaniche dimenticate. Ma non tutte queste isole sono dei piccoli scogli, abitati unicamente dagli uccelli e i pericolosi coccodrilli d’acqua salata, tra le specie animali più imponenti della regione. In particolare questa Eil Malk, che è anche la maggiore, presenta nel mezzo di una folta vegetazione numerose attrattive per i turisti, che annualmente la visitano in cerca di esperienze senza precedenti. E che c’è di meglio di una cosa simile? Chiunque sia stato mai punto da una medusa, abbia conosciuto quel bruciore simile all’estensione fuori controllo di una puntura di vespa, se non peggio, non potrà fare altro che rabbrividire, alla vista di questo coraggioso che s’inoltra in mezzo all’acqua nebulosa, spingendo lontano innumerevoli creature a fungo, ciascuna potenziale bomba d’insistente sofferenza. Soltanto che, gradualmente, ci si rende conto che l’atteso lampo di dolore non arriva; questo perché, eccezione tra le eccezioni, le meduse di Ongeim’l Tketau, nome in lingua Palau del lago delle… Che si sono adattate negli anni a sopravvivere senza alcun tipo di arma difensiva. L’assenza di particolari predatori, fatta eccezione per una specie guastafeste di anemone attestato nella parte nord del lago, unita ad una sostanziale sovrappopolazione dell’ambiente abitativo, ha portato attraverso le generazioni all’atrofizzazione dei loro cnitociti urticanti, organi che l’animale deve rigenerare dopo ciascun utilizzo, con notevole dispendio d’energia. Il risultato è che le meduse di Palau possono ancora, si, pungere, ma lo fanno in modo tanto delicato che il veleno neanche penetra la pelle degli umani, se non leggermente e in prossimità di zone molto delicate, come il volto e le labbra.
Naturalmente, a chi è ha presentato i sintomi di un’allergia verso punture precedenti si consiglia di prestare un certo grado di prudenza. Ma tutti gli altri sono gioiosamente invitati, dall’amministrazione turistica di questi luoghi a far del pozzo brulicante, come fosse la propria piscina personale. Unica regola del Jelly Club: niente bombole e respiratore, solo maschera e boccaglio. La prima ragione è che le bolle emesse dalla valvola potrebbero causare danni alle meduse, restando intrappolate sotto il loro fragile ombrello. La seconda è molto, molto più inquietante….

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