In Slovenia esiste una leggenda che parla della collera della natura e di coloro che vivono a stretto contatto con essa, perfetti alleati contro l’avanzare spregiudicato della modernità. La cronologia di questo evento, così come i personaggi coinvolti, si perdono nelle nebbie del tempo, come anche l’originario narratore, molto probabilmente appartenente alla tradizione orale, che trasmise per primo l’eccezionale vicenda. Secondo costui arrivò un’epoca in cui le personalità nobiliari della zona al confine con l’Austria, nei pressi della catena montuosa Caravanche, si erano impossessate di alcuni terreni usati dagli abitanti del posto per far pascolare le pecore e in determinate occasioni, celebrare importanti ricorrenze con delle danze. Ingiuriati da tale sopruso, quindi, gli uomini e le donne di Bled si radunarono nella piazza del paese, per pregare intensamente nella speranza di ottenere la propria liberazione. Ma a rispondere ai loro richiami, inaspettatamente, non fu la vergine Maria bensì l’antica dea pagana Živa, che prima ancora di raddrizzare un torto, pensò all’ora della vendetta: chiamato il grande ghiacciaio dalla cima del monte Pokljuka, lo fece scendere a valle poi lo squagliò, causando un’ondata di marea capace di spazzare via i possedimenti indesiderati. Allo scopo di risparmiare l’abitazione di un vecchio particolarmente bonario, tuttavia, l’acqua deviò attorno a un singolo promontorio, formando l’isola al centro del lago che resiste tutt’ora. La versione scientifica di un simile evento, invece, lo colloca nella Preistoria, facendo riferimento a una discesa naturale dei ghiacci in forza del mutamento climatico, poi deviati dalla presenza monolitica della possente roccia, successivamente considerata sacra dalle originarie credenze slave. Fatto sta che nella narrativa del lago Bled, è esistito alle origini un tempio, presso cui venivano portate le pecore per essere benedette. Successivamente quindi, con l’arrivo della cristianità, l’isola centrale avrebbe acquisito la sua struttura più pittoresca, una chiesa arcaica risalente al XII secolo, ulteriormente ampliata nei secoli successivi nei due stili gotico e barocco, ricevendo l’ulteriore connotazione di una torre in pietra candida alta ben 56 metri.
E le meraviglie di questo luogo, da molti anni meta turistica d’eccezione, non si fermano certo lì: senza ancora entrare nel merito del favoloso aspetto paesaggistico, simile a quello di taluni laghi glaciali nei dintorni delle Alpi nostrane, sono molti gli aspetti attraverso cui traspare la lunga ed articolata storia della regione. Tra cui il castello medievale, costruito a strapiombo sul lago, appartenuto a partire dal 1004 al vescovo di Bressanone, cui ne aveva fatto dono l’imperatore tedesco Enrico II in persona (973 – 1024) per l’aiuto ricevuto nel pacificare la sua regione dell’Italia settentrionale. Un luogo in cui l’ecclesiastico non scelse mai di soggiornare, donandogli un aspetto marcatamente marziale, con alte fortificazioni e torri, nella sostanziale assenza di sale sontuose o luoghi di svago. Nel tardo Medioevo, quindi, fu costruito anche un fossato, allo scopo di proteggerlo da eventuali invasioni dei francesi. Nel 1809 finalmente, dopo quasi 800 anni di governo da parte dei vescovi di Bressanone, il castello fu trasferito alla proprietà statale e l’intera regione inclusa nell’impero di Napoleone, sotto la denominazione di provincie dell’Illiria. La situazione non sarebbe durata, con una restituzione entro soli quattro anni all’imperatore austriaco Francesco II d’Asburgo-Lorena. Con l’abolizione ufficiale del sistema feudale soltanto 10 anni dopo, quindi, l’organizzazione sociale del regno sarebbe cambiata drasticamente, mentre i villaggi riscoprivano un’autonomia dimenticata. Fu a partire dalla società costituita in quegli anni, che un ricco industriale, Viktor Ruard, avrebbe acquistato i terreni nel 1858, causando una privatizzazione che sarebbe durata fino agli anni ’60 dello scorso secolo. Quando il pittoresco paese di Bled, finalmente ricevuta la qualifica normativa di comune, ha finalmente acquisito il suo ruolo di primo piano nelle guide turistiche distribuite nel mondo, diventando una meta privilegiata di chiunque decida di trascorrere il proprio tempo in Slovenia.
Così che il turismo, si sa, è una fondamentale risorsa. Che permette di dare spazio a tradizioni ritenute dimenticate, creando tutta una serie di punti di riferimento nuovi e importanti per la popolazione. Uno di questi, per Bled, fu fin da subito di tipo gastronomico: sto parlando della caratteristica torta millefoglie Kremna Rezina, ripiena di crema e ricoperta di panna montata, servita nella forma di fette quadrangolari e la cui consumazione si dice debba portare fortuna, oltre a stimolare piacevolmente il palato. Il secondo aspetto è più complesso, e si collega al luogo di culto che impreziosisce l’isola, gettando la sua ombra sulle acque del lago…
laghi
Quasi pronto l’hotel di lusso scavato nel fosso di una miniera
Nella concezione della cosmogonia dantesca di Paradiso, Purgatorio ed Inferno ciascuno dei tre recessi dell’aldilà cristiano presenta una forma fisica che allude alla sua funzione. Così che i cieli dell’Empireo, che circondano la Terra alla distanza dei diversi pianeti, sono degli sferoidi concentrici sovrapposti, ciascuno adibito ad ospitare le anime dei probi e dei santi, mentre la grande montagna nell’emisfero meridionale, luogo d’espiazione semi-permanente del tempo, si protende verso l’origine di Tutto, ovvero il giardino sopraelevato dell’Eden con il suo albero di mele. Ma da che esiste la critica letteraria, è il profondo cono a gradoni scavato da Satana in persona, punto culmine di ogni tortura immaginabile, ad affascinare maggiormente gli studenti di scuola, con il suo vivido senso di crudele surrealismo, filosoficamente ricco d’implicazioni. Poiché stiamo parlando, concettualmente, della stessa identica cosa: una progressione verticale protesa verso l’estremo, ovvero in questo caso l’incandescente nucleo terrestre già immaginato dal grande poeta, dove i più grandi traditori della storia soffrono, masticati dall’anti-Dio in persona. Scendere o salire attraverso una pluralità di strati sovrapposti: che cosa cambia, fondamentalmente? Entrambi i gesti possono costituire la parte iniziale di un viaggio, a cui fa seguito il soggiorno in un luogo precedentemente inesplorato. Ed a ben pensarci non c’è una vera ragione, per cui la salvezza debba trovarsi in alto, e la sofferenza nelle bibliche viscere della Terra. Già: preconcetti acquisiti, di una linea di ragionamento per lo più occidentale. Mentre proviamo, di contro, a spingerci ancora una volta in Oriente, o per essere più specifici presso la cittadina di Songjiang, 50 Km a nord dal centro della grande città di Shangai. Dove procedendo lungo la lunga strada di Chen Hua, sarà possibile scorgere le svettanti forme di quegli apparati gialli che caratterizzano e distinguono ormai da generazioni il terzo paese più vasto del mondo: la gru edilizia, simbolo di un’espansione continua delle infrastrutture e le costruzioni architettonica. I più attenti alla questione allora noteranno, non senza una certa perplessità, l’apparente assenza del quibus, ovvero lo scheletro del relativo palazzo in costruzione. E sia chiaro che questo stato sussiste, ormai, da un periodo di circa 4 anni. Che cosa stiamo vedendo, dunque? Un vecchio deposito per cantieri dismessi? Dove l’attrezzatura, piuttosto che giacere a terra, è stata montata e poi lasciata lì per capriccio, ad allietare con la sua presenza i 24 milioni di abitanti della sola ed unica Parigi d’Oriente? Non proprio… Basta in effetti parcheggiare la macchina ed avvicinarsi, per iniziare a scorgere qualcosa d’inaspettato. La maniera in cui, all’ombra dei macchinari di sollevamento, inizia l’apertura di un baratro vasto e profondo, all’interno del quale, con somma sorpresa di tutti, si trova un’avveniristica struttura. Abbarbicata con la sua insolita forma ad S lungo quelle che dovrebbero essere pareti scabre e scoscese, con una facciata per metà convessa come una ruota di camion e l’altra geometricamente concava in modo da ricordare un anfiteatro, lo Shimao Wonderland Intercontinental si “erge” per tutti e 100 i metri di profondità dentro il buco, ed ulteriori due piani sommersi all’interno della pozza d’acqua che si trova sul fondo. Sembra proprio di trovarci dinnanzi a una base segreta costruita sulla Luna o su Marte dalla Federazione, poco prima della ribellione contro l’egemonia del tirannico Impero Terrestre.
Ora, chi fosse giunto in questo luogo prima dell’anno 2000, si sarebbe trovato dinnanzi a una scena notevolmente diversa. Poiché il fosso in questione non era affatto un prodotto spontaneo della natura, bensì l’inevitabile risultanza di una fiorente industria dell’estrazione mineraria, particolarmente proficua in questi luoghi per i ricchi giacimenti di carbone, ferro e metalli preziosi. A così poca distanza dal tentacolare dalla capitale economica e commerciale della regione, avremmo dunque fatto la nostra conoscenza con ruspe, camion ed altro equipaggiamento similare, intento ad entrare in intimità con le propaggini superiori dei succitati, diabolici recessi. Ricchezza, profitto, successo aziendale. Fino all’inevitabile esaurirsi del giacimento, e poi… Nient’altro che il buco. Qualcosa in grado di compromettere in maniera sensibile, con la sua antiestetica presenza, il valore immobiliare di un vicinato. Ciò almeno che a qualcuno, d’improvviso, non venga l’idea di trasformare il difetto in un punto di forza. Attraverso l’applicazione di quella corrente tecnologica del rinnovamento, la possente architettura d’avanguardia…
L’alveare umano sospeso tra il Kenya e l’Uganda
Ogni economia basata su una singola risorsa è destinata a raggiungere, prima o poi, un punto di rottura. Questo tende a verificarsi la maggior parte delle volte quando tale particolare via d’accesso alla sopravvivenza economica, per una ragione o per l’altra, sembra essere prossima all’esaurimento. Ma c’è un’altro modo in cui la condizione degli umani coinvolti può iniziare la ricerca di un margine di miglioramento: una diffusa condizione di povertà. Quando persino arrivare alla fine del mese, senza patire la fame, appare più difficile che intraprendere una folle avventura, cercando di modificare lo status quo. Secondo una delle versioni della storia, i primi ad agire in tale senso da queste parti furono Dalmas Tembo e George Kibebe, pescatori kenyoti che, stanchi di essere trattati come dei mendicanti dai compratori di pesce sulle coste orientali del lago Victoria, scelsero di trasferirsi con armi, canna da pesca e bagagli, in uno dei più inaspettati, e solitari dei luoghi: l’isolotto roccioso di Migingo, vasto all’incirca 2 Km quadrati e situato in mezzo ad acque dall’appartenenza territoriale incerta.
Fermiamoci per un attimo a considerare questo punto, assolutamente fondamentale per l’analisi dei fatti: è noto che i confini odierni delle diverse nazioni d’Africa, perfettamente perpendicolari l’uno all’altro, furono stabiliti a tavolino dai potentati europei, durante la conferenza di Berlino del 1884, l’evento di politica nazionale che diede i natali tra gli altri, per mano del re Leopoldo II del Belgio, al terribile covo d’iniquità noto come stato “libero” del Congo. Ora coloro che realizzarono una simile suddivisione, piuttosto che essere esperti geografi o studiosi delle faccende antropologiche, erano principalmente capi di stato, diplomatici o sovrani, ai quali interessava soltanto l’equa distribuzione degli spazi per le ambizioni coloniali di questo o quell’altro impero. Molte delle linee di demarcazione, dunque, furono fatte passare attraverso barriere invalicabili del territorio, come catene montuose, o tagliarono il corso dei fiumi noncuranti del loro tracciato serpeggiante. Ed una, in particolare, scelse la via più insensata: poggiare in maniera noncurante sopra le acque del più grande lago tropicale del mondo, rinominato nel 1858 sulla base di niente meno che la regina Victoria, dopo che John Hanning Speke l’aveva “scoperto” durante la sua ardua missione alla ricerca delle leggendarie foci del fiume Nilo. Con il risultato che almeno tre piccole terre emerse, in una simile distesa d’acqua paragonabile per estensione ai Grandi Laghi americani, si trovarono esattamente in bilico sul filo di un così tagliente rasoio. Esse erano, e sono tutt’ora, Migingo, Usingo ed Ugingo, quest’ultima anche nota come “Isola Piramide” a causa della natura scoscesa del suo territorio. Per molti, moltissimi anni, non importò praticamente a nessuno. Finché a partire dal 1991, tutti coloro che erano scontenti delle loro condizioni di vita sulla terraferma, non iniziarono a guardare con interesse a quei due pionieri, che avendo scelto di lasciarsi dietro amici e parenti, erano andati a vivere come eremiti nel mezzo delle acque lacustri internazionali. Così che dopo qualche tempo, attorno alla capanna in lamiera corrugata che si erano costruiti costoro, iniziò a nascere una piccola comunità. I vantaggi per chi viveva su Migingo erano chiari ed immediati: zero spese per l’alloggio, meno controllo da parte delle autorità, più distanza tra se e gli elementi poco raccomandabili della società. Secondo un’altra interpretazione di questa insolita vicenda, del resto, l’isola non iniziò ad essere popolata fino al 2004, quando Joseph Nsubuga, pescatore proveniente dall’Uganda, si stabilì quaggiù, trovando nient’altro che una singola casa abbandonata, oggi trasformata nel principale bar della comunità. Capire chi ha o meno ragione nella specifica debacle storico-coloniale, tuttavia, potrebbe o meno avere rilevanza per la questione, quando una moderna squadra di rilevamenti territoriali, presumibilmente super partes, ha determinato come Miginge si trovi effettivamente ad Est del confine kenyota, risultando quindi una parte inscindibile di questo specifico paese africano. Ecco perché l’importanza di determinarlo, nonostante le apparenze, si è fatta negli anni sempre più pressante: fra tutte le zone in cui è possibile pescare il prezioso pesce persico del Nilo (Lates niloticus) pare che nessuna sia migliore di quella antistante l’isola. I circa 200 pescatori che l’abitano, inoltre, sono stati sufficientemente furbi da crearvi un sistema pseudo-istituzionale di acquisto e rivendita sulla terraferma del pesce, con prezzi imposti che favoriscono, in ultima analisi, la serenità economica dell’intera comunità. Quando si considera tuttavia come le acque in cui si trova l’agognato pinnuto siano per lo più ugandesi, con conseguente risentimento degli abitanti di quelle terre, comprenderete come un’effettiva suddivisione delle compentenze non sia affatto semplice da elaborare. E ciò nonostante l’affermazione dei loro vicini del Kenya, secondo cui “Il pesce persico viene a riprodursi sulla costa orientale, dunque appartiene principalmente a noi.”
La punta della trivella che fece svanire un lago
Si trattava di una pozza d’acqua profonda appena 3 metri e della vastità di un acro, circondata da verdeggianti argini erbosi. E vista da lontano sarebbe tornata, nel giro di pochi giorni a partire dal 20 novembre 1980, esattamente la stessa cosa. Con una sola, drammatica differenza: un buco al centro profondo quasi un chilometro, destinato a costare diversi milioni di dollari a seguito della stima dei danni. Quando finalmente la pressione si fu equalizzata, e il flusso del canale artificiale, principale affluente, ritornò a scorrere nella giusta direzione, si udì un suono come un POP clamoroso. E una dopo l’altra, nove gigantesche chiatte ritornarono a galla dalle inimmaginabili profondità. Sopra alcune di esse, incredibilmente, erano ancora presenti i camion usati per trasportare via il contenuto della miniera.
Ricchezza della terra, ricchezza della tavola, tesoro dei mari. Sapevate che la Louisiana, stato nordamericano del meridione, poggia sopra un’accumulo di risorse da fare invidia al deserto del Mojave? Sostanze come il petrolio, da una parte, ma anche un altro tipo di oro, per così dire bianco, invece che nero: sale, halite, cloruro di sodio. Un oceano granulare nonché saporito, utile anche dal punto di vista logistico all’industria mineraria locale, per la produzione artificiale della brine o acqua salmastra, usata per far dissolvere ed estrarre diversi tipi di minerali. In un superficie non è affatto facile notarne la presenza: nient’altro che una lieve asperità, come una cupola che prende il nome di affioramento del diapiro, mentre come avviene nell’iceberg oceanico, il grosso della struttura si trova al di sotto dello spazio osservabile attraverso l’occhio umano. Non che questo l’abbia mai protetto, del resto, dalla nostra leggendaria cupidigia. Così esistono luoghi, come il lago di Peigneur a pochi minuti da Delcambre, dove lo stato placido delle acque è soltanto una mera illusione, mentre nel sottosuolo chilometri e chilometri di gallerie sovrapposte permettono lo scavo e l’estrazione del candido ammasso per lo più granulare. O per meglio dire permettevano, ad opera della Diamond Crystal Salt Company (oggi Cargill) che aveva ricevuto in gestione dal governo questo particolare, redditizio fazzoletto di territorio. Se non che simili operazioni finalizzate alla raccolta di utili risorse, notoriamente, sono dei pozzi proficui dai notevoli presupposti di guadagno, così che a qualcuno venne in mente che potevano esistere ulteriori presupposti di arricchimento. Poiché il diapiro, dal punto di vista geologico, trova la sua formazione da moti tettonici che causano il sommovimento del sostrato di contesto, con conseguente creazione di spazi che, molto spesso, vengono riempiti dal già citato petrolio. Così che a nessuno sarebbe venuto in mente di alzare neppure un sopracciglio, quando un’altra compagnia, la rinomata Texaco, ricevette l’appalto di una trivellazione esplorativa di un punto in prossimità del centro del lago. Sembrava che tutti, amministratori e politici inclusi, avrebbero tratto grandi ricchezze e gioia dall’intera fortunata questione. Se non che, qualcuno commise un errore.
Ci sono errori grandi che causano grandi conseguenze, ed altri più piccoli, dagli effetti facilmente trascurati. Ma la crudeltà del fato è tale che occasionalmente, basta un attimo di distrazione per causare disastri dall’impatto generazionale, lasciando cicatrici sul mondo e la società, che nessuno potrà mai sognarsi di riuscire a dimenticare. Non tanto presto, almeno. E la sfavorevole contingenza che condannò il lago Peigneur, senz’ombra di dubbio, apparteneva a questa terza classe di eventualità. Ora, ovviamente NESSUNO si sarebbe mai sognato di dare l’ordine di trivellare in corrispondenza dei tunnel sotterranei della Diamond Crystal, anche viste le conseguenze facilmente immaginabili di uno sconfinamento di pertinenze a simili profondità. Così venne fornita, ai tecnici che dovevano gestire la piattaforma, una mappa molto dettagliata e precisa di quali zone fossero assolutamente off-limits per la loro attività. Sulla quale le coordinate erano indicate tramite il sistema noto internazionalmente come UTM (Proiezione Universale Trasversa di Mercatore) invece dell’alternativa meno precisa, ma più comune, della TM (Proiezione Standard di Mercatore). Peccato che questo non fosse indicato chiaramente, né che tra i manovratori della trivella, non fosse presente alcun appassionato di geografia. Così il macchinario venne avviato ed indotto a scavare giù, giù, sempre più in profondità al di sotto dell’acqua del lago. Finché all’improvviso, il motore non si bloccò. Questo perché la punta, molte centinaia di metri più sotto, aveva colpito un deposito minerale inaspettato. La parete stessa della miniera di sale. Dopo una rapida revisione ed ottimizzazione di potenza, gli inconsapevoli addetti rimisero in moto il dispositivo. Che percorrendo l’ultimo metro rimasto, scatenò la furia infernale delle profondità.