Il motore V12 più eccentrico del mondo

V12Laraki
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Frutto di nove mesi di lavoro, questa scultura di Eric Van Hove costituisce la puntuale ricostruzione di un motore Mercedes V12, più precisamente quello montato sulla prima auto sportiva nordafricana, la Fulgura di Laraki Borac, rarissima supercar dell’omonima compagnia, prodotta soltanto in numero limitato e a partire dal 2005. Facendo scontrare i presupposti dell’ingegneria moderna con l’arte di culture ed epoche lontane, il creatore ha dapprima smontato il cuore pulsante del veicolo, suddividendolo in 465 pezzi, bulloni non inclusi, per poi coinvolgere 35 sapienti artigiani del Marocco che, impiegando materiali tradizionali, hanno puntualmente fornito delle copie esatte di ciascun componente. Metalli istoriati, ossa d’animali, legno d’ebano, madreperla, corno, marmi preziosi e molto altro. Ciascun singolo pezzo parrebbe già di per se adatto all’esposizione in un museo. Messi tutti assieme, costituiscono qualcosa di veramente originale, se non proprio velocissimo. L’obiettivo, ovviamente, non era la creazione di un dispositivo realmente funzionale, quanto il rendere omaggio a un sogno incompleto, il concetto di quel mezzo marocchino d’ultra-lusso, completato soltanto grazie al sostegno di tecnologia motoristica d’importazione. La globalizzazione dei mercati, nonché il naturale funzionamento dell’economia di scala, hanno ridotto l’importanza del singolo in tutte le branche della creatività, incluso il design automobilistico. I mecenati dei nostri tempi, investendo in costosissimi capolavori a quattro ruote, contribuiscono all’esistenza di compagnie relativamente piccole, comunque produttrici di mezzi straordinari: Tesla Motors, Koenigsegg, Ariel, Pagani, Saleen… Ciascuna di esse associata, nei fatti, ad uno, massimo due modelli e con qualche doppia dozzina di addetti alla produzione. Eppure, nonostante questo, diventano il bersaglio elettivo di centinaia di ordini annuali, con liste d’attesa interminabili e l’acquisizione istantanea di una grande fama internazionale. È ormai letteralmente impossibile fare tutto da soli: come ampiamente dimostrato dalla Laraki, speso serve coinvolgere delle valide terze parti. La risposta di Eric Van Hove, questo motore da sogno ricostruito a mano, arriva in effetti ad una domanda che nessuno si era mai posto: e se invece di guardare innanzi, si mettesse la retromarcia? Nell’epoca del Rinascimento, le opere d’arte non avevano ruote, sedili o volanti. Però si vendevano lo stesso, eccome!

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Il giardino geometrico dei pesci fugu

Fugu

Sotto le acque degli oceani, sopra sabbie friabili di continenti senza nome, il pesce palla esegue da oltre un millennio la sua danza di corteggiamento, gettando nel contempo le fondamenta del futuro nido. Questo video dimostra la recente, incredibile scoperta di un fotografo giapponese, Yoji Ookata, a largo delle isole Ryūkyū (Okinawa). Che c’era un po’ di fugu, in tutti noi. Guardate il pesce mentre trova un luogo deputato, gira su stesso e spazza con la coda, tracciando i confini di quel tondeggiante regno, assorto come nella meditazione di un giardiniere Zen. Decora minuziosamente la nuova casa con aguzzi frammenti conchigliosi. E aspetta la femmina seduto in centro, già immaginandosi un prezioso carico di uova, da inseminare freneticamente. Passato è il tempo di Atlantide, quando le leggi matematiche determinavano l’aspetto di umane, sommerse magioni. L’acqua, nell’Era dell’Informazione, appartiene a chi può permettersi di respirarla. Il fugu lavora secondo le reali esigenze che si trova ad affrontare, un giorno dopo l’altro. Nessun gesto è fine a se stesso: come spesso avviene in natura, ciò che ha forma circolare assolve ad una finalità ben precisa. In questo caso, fare scena, non passare inosservati. Persino nell’oscurità sommersa, l’anfiteatro sessuale del pesce costruttore diventerà come una tela di ragno, impossibile da trascurare. Ma se quella funzionava mediante la forza dell’inganno, qui c’è la realizzazione fisica di una promessa, la più importante per qualsiasi essere vivente. “Vieni da me, per procreare”. Certo, la situazione è strana. Il misconosciuto rituale di corteggiamento dei cosiddetti fugu, tanto elaborato, sta ottenendo un ampio spazio sulle riviste di etologia di ogni parte del mondo. Nessuno capisce, in realtà, perché un animale come questo, tanto sobrio e primitivo, debba sentire il bisogno di costruirsi una casa così bella, soltanto per impressionare il gentil sesso. Tra l’altro, i pesci palla giapponesi ci vedono (relativamente) bene e si troverebbero comunque. Questa sabbiosa cattedrale sembrerebbe più adatta ad affascinare altre creature, come noi, bipedi terrestri e super-evoluti. Che di cerchi ne tracciamo a nostra volta sui campi di grano, per gli alieni. Dimenticandoci il destino che attende i fugu troppo estroversi, sul finire della sera: tagliati a fettine, sopra un piatto di sashimi. Non tutti “Vengono in pace”, pesciolino…

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Lo Hobbit parte II, trailer della versione Lego

Lego The Hobbit

La riconoscibile figura dell’eroe di bassa statura, avvezzo a vivere in luogo comodo e moderno, che intraprende un’impossibile, lunghissima ricerca. Amante della buona cucina. Amico degli stregoni. Portatore, suo malgrado, di un terribile tessoro… A questa breve descrizione potrebbero corrispondere tre soggetti: Bilbo, Frodo e Peter Jackson. E se i primi due hanno avuto a che fare soltanto con draghi, negromanti, troll e torri occhiute monocole giganti, al terzo é andata pure peggio. Perché ha dovuto difendersi, senza tegua, dagli attacchi di uno scrutatore senza palpebre ancor piú penetrante, ovvero quello critico della mente-alveare digitale. Internet, a volte, é come un grande tritacarne che macina minuzie, producendo acido corrosivo e diecimila opinioni differenti. C’era un tempo in cui era possibile ricercare “il consenso della critica cinematografica”. L’approvazione di una doppia dozzina di figure autorevoli, allora, poteva bastare a convincersi di aver fatto un buon lavoro, indipendentemente dagli incassi ottenuti ai botteghini. Gli elfi notturni ancora percorrevano la Terra di Mezzo, i soavi echi della musica di Eru Illúvatar risuonavano tra le intercapedini di leggiadre sfere celesti. Successivamente, attraverso il portale cosmico di forum, bbs e social media, venne l’Hype (trad. ingiustificata aspettativa). Questo sentimento pervasivo, materiale fondamento per la buona riuscita di ogni creazione intellettiva moderna, che suddivide e incapsula lo scibile del fantastico creativo. “Ah, cosí vogliono fare un film live action di Spongebob?” – mickeymik78 “Ho sentito che non hanno neanche usato della vera acqua di mare” – z4orkyfromzork; orribile, semplicemente inadeguato. “r u even trying? lol umad trololol” etc. Questo, grosso modo, é il tipo di dialoghi che si rincorrono, da 11 anni a questa parte, per ciascuna nuova uscita dei pur ottimi film jacksoniani sull’opera di Tolkien. Si va, giustamente, per gerarchie. Chi ha letto ciascun libro 16 volte puó analizzare scenografie e costumi. A 30 ripetizioni, Silmarion incluso, si riceve un mandato per affermare che “l’autore non avrebbe mai approvato” l’una o l’altra scena. I veri esperti, poi, criticano anche l’apporto della modernitá. C’é un opinione piuttosto diffusa secondo cui andava evitata l’illuminazione elettrica dei set, come avvenne per Barry Lindon di Stanley Kubrick (pare che il dettaglio facesse parte di un’antica lettera scritta dal prof. T in persona). Ecco, quel particolare Balrog l’avrei voluto vedere. Un tripudio infernale di gasolio e vere fiamme turbinanti, perso nella notte eterna delle Miniere. E dire che Tolkien, prima di ogni altra cosa, era un linguista. Avrebbe capito, piú di chiunque altro, il ruolo determinante del metodo espressivo. Tradurre vuol dire questo: veicolare un contenuto, spesso a discapito della forma. Se il primo é davvero meritevole, la seconda, inevitabilmente, ne seguirá l’esempio.

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Gustosi modellini giapponesi, che squisita collezione!

RRcherrypie

Possedere gli oggetti, metterli in fila e guardarli, un giorno dopo l’altro. Questo è il passatempo preferito dell’otaku, almeno per come viene visto dal nostro lontano mondo d’Occidente. Svettanti cumuli di manga, gli albi illustrati giapponesi. Frotte di videogiochi, sciami di libri e di tutte quelle altre cose attraverso cui crescere da soli. E poi, un certo tipo di hobby. Non importa che sulle sue sconfinate mensole trovino posto schiere di possenti robot guerrieri, piuttosto che giovani fanciulle in pose provocanti, l’otaku archetipico troverà sempre un qualcosa da fare con le mani; costruire, dipingere, assemblare. Il fine ultimo è l’aver acquisito la collezione completa di… Però anche la via d’accesso, per un tale stato di grazia affine al Nirvana, è di per se gradevole e importante. Proprio per questo, alcune delle più affascinanti cose moderne giapponesi fuoriescono da scatole di montaggio, prevedono l’uso di colle specifiche e una mano ferma col pennello. Il repertorio di una stanza, perché possa davvero fungere allo scopo, va guadagnato un pezzo per volta, acquisendo le doti artigiane di un vero appassionato di modellismo. Qui ci vogliono tempo e capacità: solitari si nasce, o quantomeno si diventa con fatica. Questa visione, un po’ stigmatizzante, del giovane misantropo d’Oriente prevede anche un’altro aspetto, tanto diffuso quanto chiaramente approssimativo: tutti coloro che percorrono una tale strada sarebbero, senza eccezioni, uomini. I siti di e-shopping d’importazione ci offrono oggettistica perfettamente in linea con tale preconcetto: carri armati della seconda mondiale, jet militari e altre amenità guerresche. Possibile che nessuna bambina si dedichi a una tale pratica singolare? Dobbiamo pensare che le ragazze di quel paese, una volta cresciute, mettano da parte la Barbie americana, oppure la tipica casa di bambole in stile vecchia Inghilterra? Forse no. Guardate ad esempio questi piattini, deliziose minuscole cibarie, pranzo luculliano per gli gnomi. La quantità di dettagli, la varietà offerta sembrerebbero rivolgersi a un pubblico di giovani adulte/i, piuttosto che di bambine/i. Ecco forse una versione meno aggressiva di quest’ossessione tipicamente nipponica per il collezionismo, pensata per un pubblico più vasto. La prova dell’esistenza della otaku, ingiustamente, tanto spesso, dimenticata.

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