Quanti momenti topici e punti di svolta, quante ottime opportunità di cambiamento, invenzioni, splendide creazioni… Sono andate perse, per un mero scherzo del destino, innanzi all’avanzata senza sosta degli eventi e della storia umana? Per un singolo particolare evento sfortunato, per la dipartita prematura di colui che ne poteva confermare l’esistenza, causa il sopravvento di una situazione in essere del tutto sconveniente. O una drammatica, impietosa pletora di tali circostanze. Il 6 novembre del 1814, presso la pittoresca cittadina di Dinant in Wallonia (odierno Belgio) venne al mondo la personalità che sarebbe diventata un giorno celebre di Adolphe Sax, per aver creato uno degli strumenti più celebri e versatili al mondo, tanto da essere inclusa nei “legni” pur non contenendo la benché minima traccia di quel materiale. Ma ben presto diventò chiaro ai suoi conoscenti, ai parenti e persino alla sua stessa madre, che egli non avrebbe mai raggiunto l’età adulta. Condannato da un fato che potremmo definire l’esatto opposto della Provvidenza, tale da rischiare la pelle ad intervalli irregolari per una vasta ed implacabile serie di eventi: a partire da quando cadde per le scale, da un’altezza di ben tre piani, rotolando clamorosamente fino ad impattare con la testa contro un marciapiede di cemento. Per non parlare di quando, all’età di soli tre anni, bevve per errore da una bacinella contenente acqua, acido ed arsenico, da usare originariamente nel laboratorio di suo padre, costruttore di trombe ed ottoni. E poco dopo, forse nel corso dello stesso mese o anno, mangiò tranquillamente un grosso ago, che passò per miracolo attraverso il suo intero corpo senza arrecare nessun danno permanente. Ma la sua sventura, a quel punto, non aveva certo finito di tormentarlo, facendogli assistere fin troppo da vicino all’esplosione di un barile di polvere da sparo. In seguito sarebbe caduto su una padella incandescente, ustionandosi il fianco. E che dire di quando attorno all’età di circa 16 anni, vincendo già diverse competizioni musicali tramite lo sfoggio dei suoi originali flauti e clarinetti fatti in casa, intraprese l’hobby di dare una patina di nuovo ai mobili della sua stanza… Assieme all’abitudine, del tutto scriteriata, di dormirvi accanto respirando le mefitiche sostanze soffocanti che impiegava per portare a termine tale obiettivo di primaria importanza. E se neppure quello bastò ad ucciderlo, poco importa! Ancor prima di raggiungere l’età adulta, venne colpito da una tegola mentre camminava accanto al fiume, perdendo i sensi e cadendovi dentro per venire ripescato molti metri più valle, dal mugnaio. Spesso nella vicenda personale di alcuni dei più grandi musicisti della storia, particolarmente nei contesti anglosassoni e statunitensi, viene collocata arbitrariamente la mano del Diavolo, che sarebbe comparsa loro in circostanze inaspettate per fornirgli abilità sovrumane, o chitarre magiche ed infuse di un destino smagliante. Eppure nessuno, tra gli storici che hanno studiato la faccenda, avrebbe mai potuto attribuire ad alcun essere sovrannaturale la tutela di quest’uomo e la sua invenzione, quella che egli avrebbe orgogliosamente e giustamente deciso di chiamare con il suo stesso nome, anticipando la fortuna ed il successo di un diverso tipo di figura: quella del sassofonista. Utilizzatore di una tromba serpentina e ripiegata su se stessa, creata per un uso particolarmente specifico. Per finire invece, a riuscire ad incorporarli tutti quanti, allo stesso tempo.
Prima di parlare in modo più dettagliato di tale straordinario meccanismo, tuttavia, sarà meglio seguire l’ordine naturale degli eventi. Seguendo il figlio di Charles-Joseph Sax, rinomato fabbricante che forniva direttamente la corte del sovrano olandese Guglielmo I d’Orange, mentre all’età di soli 20 anni costruiva un rivoluzionario clarinetto dotato di 24 tasti, ed un’estensione aurale largamente superiore a quelli in uso fino a quel momento. Tale da suscitare l’invidia altezzosa del suonatore dell’orchestra di Brussels dove si era trasferito per studiare, che si rifiutò di usarlo in quanto proveniente da un creatore presumibilmente inesperto. Se non che sfidato dal giovane Adolphe a un duello musicale di fronte ad una folla di 1.000 persone, finì per perdere la stima del plebiscito di fronte all’evidente superiorità dello strumento, mentre gli applausi seppellivano irrimediabilmente ogni tipo di pregiudizio. E fu quello, più o meno, il momento in cui l’eclettica personalità di questo vero e proprio genio della sua epoca iniziò a diventare famosa nel suo paese…
Europa
Il ragno meccanico che consente l’abbordaggio delle piattaforme petrolifere offshore
Navi che si aggirano a vicenda, come lupi affamati nella tundra. Il tuono rimbombante di bordate poderose, che attraversano lo spazio tra le onde disegnando traiettorie di distruzione ed annientamento. Di tanto in tanto, questi ammassi di sartiame, legno danneggiato e vele strappate si avvicinano l’uno all’altro. E con un balzo speranzoso verso l’obiettivo della gloria, si aggrappano con tutte le loro forze ad uno dei propri nemici. Mentre gli uomini dell’equipaggio, un coltello tra i denti, una pistola nella mano destra ed una sciabola nella cintura, compiono il percorso lungo quella stessa passerella che, nell’immaginario piratesco, veniva utilizzata per far fare ai traditori ed i codardi il primo passo irrecuperabile verso lo stomaco degli squali. Con ottime ragioni, potremmo aggiungere: poiché non v’è stato più precario, di quello di un marinaio che dovesse trovarsi momentaneamente fuori dai confini della propria imbarcazione, per tutta una vasta serie di ragioni possibili, ma non ancora oltre il parapetto della sua destinazione elettiva. Quando alte onde improvvise, una manovra inappropriata, un colpo di vento o più semplicemente un mero scherzo del destino, rappresentano tutto ciò che potrebbe servire al fato per far calare sulla sua testa il sipario ondeggiante dell’oceano percorso da un inquieto momento di fame. Per poi essere auspicabilmente ripescati (improbabile in una battaglia) o più semplicemente sprofondare inermi verso gli accoglienti recessi del palazzo cristallino del dio Nettuno. Un rischio che può definirsi altrettanto pressante, benché meno probabile, ai nostri moderni tempi delle operazioni marittime, che vantano al partecipazione di una fetta significativamente maggiore della popolazione globale, con conseguente aumento statistico del rischio d’errori. Soprattutto qualora s’immagini la delicata casistica, tutt’altro che infrequente, di una o più persone che dovessero o volessero salire a bordo di un oggetto inerentemente stabile in un mare in tempesta, mentre il loro scafo di partenza oscilla pericolosamente preso nel formidabile respiro acquatico della natura. Ovvero in altri termini, quella che viene generalmente definita piattaforma di trivellazione, mantenuta ferma tramite un sistema estremamente complesso di ancore o persino poggiante direttamente sulla roccia sottostante del fondale, perforata con l’equivalente tecnologico della proboscide di una zanzara. Il che, considerati i significativi interessi economici che ruotano attorno ad un simile tipo d’operazioni, è stato per lungo tempo alla base dell’elaborazione di approcci ingegneristici alla natura più profonda del problema, fino al raggiungimento di quello che potremmo quasi definire il Santo Graal dell’intera faccenda, se la coppa sacra potesse assumere l’aspetto di un artropode meccanico ed idraulico capace di far muovere con chiarezza d’intenti un oggetto oblungo dal peso approssimativo di fino a 100 tonnellate: la suddetta passerella, reinventata. In un qualcosa che di certo non sfigurerebbe in una narrazione fantastica sulle creature robotiche incaricate d’invadere la Terra…
La compagnia olandese Ampelmann, nata nel 2007 dopo i cinque anni trascorsi nel perfezionare il prototipo creato impiegando le risorse tecniche ed umane dell’Università di Delft, è dunque riuscita ad immaginare questo meccanismo capace di mantenersi perfettamente stabile indifferentemente dalle posizioni relative dei propri sobbalzanti punti di partenza e d’arrivo, tanto da poter permettere, idealmente, un trasferimento di personale “Semplice come attraversare la strada.” Che non è poi la mera mission aziendale bensì l’effettiva origine del suo nome stesso, visto come si tratti di un diretto riferimento al beneamato personaggio tedesco Ampelmännchen (il piccolo uomo del traffico) figura stilizzata col cappello tradizionalmente ritratta nei semafori pedonali per chiarire la loro funzione agli abitanti dell’intero Centro Europa. Una creazione risalente alla seconda metà del Novecento con origine presso il territorio occupato della Germania Est, presso la quale si diceva ritrarre niente meno che il suo capo di stato a partire dal 1971 Erich Honecker, ispirandosi a una sua celebre fotografia con indosso un riconoscibile copricapo panamà. Che oggi compare, su una luce di via perfettamente analoga, anche sopra queste surreali piattaforme, in grado di mantenere l’orizzonte perfettamente stabile per gli utilizzatori quando esso avrebbe dovuto essere tutt’altro. Una soluzione scaltra, ed innegabilmente efficace, ad un problema che ha per lungo tempo condannato l’umanità in mare…
Langfoss, l’immensa massa d’acqua che si tuffa ogni giorno nel fiordo norreno
Itinerari: vie di transito tra un punto estremo ed un altro, agli estremi divergenti di uno spazio fatto di paesaggi, momenti e situazioni. Passaggi come quello di una strada, asfaltata o filosofica, percorsa da veicoli con l’interesse di portare a termine uno spostamento. Oppure archi gravitazionali disegnati dal fondamentale fluido trasparente (più o meno potabile) che definisce e calibra la progressione della vita su questa Terra… Acqua, che riesce a condensarsi tra le nubi; acqua, che si scioglie gradualmente dai ghiacciai; acqua che agogna a ritornare nel punto più basso tra gli spazi che gli spettano nell’Universo. Ed è in questo modo che può realizzarsi tale convergenza, di un incrocio imprevedibile tra simili tracciati, fino alla convergenza dei fattori e la realizzazione di un qualcosa d’unico, che mai la percezione umana aveva avuto il merito di assimilare. Vedi il golfo norvegese di Åkrafjord, con le sue propaggini tra irte montagne e il punto fragoroso, in cui un’impressionante concentrazione d’acqua dolce compie il salto irreversibile, andando a mescolar se stessa con gli abissi salmastri del vasto mare. Presso un punto che prende il nome di Langfos(sen) ovvero letteralmente nella lingua dei locali: la Lunga Cascata. Che riesce ad estendersi per 612 metri dalla cima al fragoroso punto d’impatto, sufficienti a farne il quarto salto più alto del suo paese, nonché uno dei maggiori in Europa e nel mondo. Ma se fossimo esclusivamente interessati a tale misura, nel prendere atto di una simile bellezza naturale del paesaggio, staremmo analizzando la questione da una parte minima degli spunti a nostra disposizione. Poiché il nesso al centro della questione, nel caso specifico e come facilmente desumibile da qualsivoglia foto o video in merito all’argomento, è l’eccezionale quadro estetico risultante, paragonabile all’illustrazione di un romanzo epico, o il paesaggio fantastico di un videogame. Nella maniera in cui riempie lo sguardo mentre si procede lungo la Strada Europea E134, che costeggia l’intera insenatura, scorgendo il movimento ancora prima di riuscire a sentirlo: limpido, splendente, come una valanga che non ha mai fine. La cui base giunge straordinariamente vicino allo stesso sottile nastro asfaltato, tanto da lasciar sospettare un possibile pericolo per gli autisti; finché non si nota, previo un paio di respiri e mani salde sul volante, la maniera in cui il suddetto scroscio avviene poco sotto un solido viadotto. Tanto che l’unico rischio possibile, a quanto riportano i commenti su Internet, è quello del formarsi di una nebbia fitta e impenetrabile durante i giorni in cui il clima risulta essere particolarmente inclemente. Non che ciò possa essere, in effetti, del tutto trascurato.
Ma la cosa a cui prestare maggiormente attenzione, di fronte al corso di un simile costrutto del paesaggio, è come possiamo facilmente desumere la strada stessa, mentre una quantità fin troppo rilevante di automobilisti alzano lo sguardo, o persino l’obiettivo del telefono, per testimoniare innanzi al mondo digitalizzato quel qualcosa che già in molti conoscono eccezionalmente bene. Lasciando al puro caso o la fortuna l’effettiva percorrenza di un simile tratto di strada, la cui relativa strettezza e l’andamento curvilineo bastano per presentarsi in modo tutt’altro che elementare. Problemi assai specifici, di un paese come la Norvegia dove il viaggio stesso fa parte a pieno titolo dell’esperienza, e chi non passa per l’affitto rituale di un autoveicolo, sostanzialmente, perde l’occasione di vivere un’esperienza unica e memorabile. Tra strade atlantiche, strade montane e strade… Che si sottraggono per poco ad un lavaggio senza fine. Sotto il flusso in egual parte della doccia e di un destino dalle circostanze particolarmente antiche.
La lunga scala sopra l’Austria che sublima il concetto di via ferrata
“Sperate sempre in ciò che vi aspettate, ma non aspettatevi mai ciò in cui credete.” Che cosa avrebbe detto l’eternamente giovane alpinista austriaco Paul Preuss (1886-1913) alle cui imprese lungo le pendici del monte Donnerkogel Maggiore (2.054 metri) è stata dedicata tre anni fà questa opera fondamentalmente turistica, frutto dell’unione tra un luogo straordinario, vedute stupefacenti, e almeno un pizzico di sincera passione per le arrampicate…. Sotto l’egida ingombrante di chiodi, funi, attrezzature fisse dall’impatto paesaggistico tutt’altro che commisurato alla necessità di svolgere una funzione pratica immanente. Proprio lui, che più di ogni altra cosa credeva nella scalata senza nessun tipo d’ausilio tecnologico, e che l’uomo dovesse ergersi oltre le difficoltà dell’esistenza usando esclusivamente le proprie forze, com’era personalmente riuscito a fare da ragazzo, superando l’infermità causata dalla polio e diventando uno sportivo, ed un filosofo, capace d’influenzare le generazioni. E che all’età di soli 27 anni, in circostanze destinate a rimanere largamente incerte, cadde in solitudine dalle più alte propaggini Mandlkogel, precipitando per 300 metri fino alla sua improvvida dipartita. Poiché nessuno può essere infallibile, neppure i grandi della storia, e la montagna di per se non può conoscerti per nome o fare un’eccezione verso chi desidera conoscerla in assenza del “giusto” grado di timore reverenziale. Così nell’odierno scenario del bisogno di affermare, ad ogni costo, la propria capacità d’iniziativa e un certo grado di evidente sprezzo del pericolo, la costruzione di una via ferrata può arrivare ad assumere un significato del tutto nuovo: la strada d’accesso democratica, ed in quanto tale aperta nei confronti di chiunque possieda il giusto grado d’intraprendenza, per poter dire innanzi ai microfoni del mondo “Anch’io (…Posso farlo, credo nel destino, non ho nessun tipo di timore!)” Ed è forse proprio questo uno dei principali crismi interpretativi ricercati dal creatore di una cosa simile, quell’esperto scalatore Heli Putz alla guida del suo collettivo Outdoor Leadership, che ha in tal modo scelto d’offrire il suo contributo ad un parte della generazione di Instagram e Facebook, se non proprio la sua interezza collettiva e priva di suddivisioni sociali. Poiché il sentiero attrezzatissimo di quella che oggi ha preso il nome ufficiale di Intersport Klettersteig (letteralmente: Via ferrata Intersport) rientrerebbe già da principio in una categoria di tipo C/D secondo la classificazione austriaca, grosso modo presso il confine dell’MD (Molto Difficile) secondo la metrica in uso presso i montanari del nostro paese sito all’altro lato delle Alpi. Anche senza prendere in considerazione il piece de resistance dell’ormai celebre Himmelsleiter (“Scalinata verso il cielo”) lunga oltre 40 metri, ricavata da una serie di quattro funi d’acciaio e relative traversine, prima di essere sospesa sopra un ampio baratro tra due cime, del tutto sufficienti a renderla la più tangibile manifestazione biblica di quel sogno che fece Giacobbe riposando nel deserto, mentre fuggiva dal fratello Esaù. “Ed egli vide una scala splendente, la cui cima raggiungeva il Paradiso; ed ecco, gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa.”
Ma c’è in effetti ben poco di angelico, nella fruizione di un qualcosa che ha trovato collocazione con l’esplicito obiettivo di attirare il più alto numero d’utilizzatori, alla ricerca di quello che potremmo soltanto definire un approccio particolarmente diretto allo svago tra i confini di questa esistenza terrena. All’interno di una serie di confini operativi, e largamente al di là di essi, spingendo oltre quello che potremmo definire ragionevole dal punto di vista di chi ha poco o nulla da guadagnarci. E non credo fosse esattamente questo, il messaggio veicolato dalle parole di colui che in quel giorno sfortunato avrebbe finito inaspettatamente per lasciarci la vita…