Senza maglietta per colpa di un orango

Caloy Orangutan

Visitando lo zoo, ci si dimentica spesso di una grande verità: guardare gli animali è un’attività reciproca, durante la quale si viene a nostra volta osservati attentamente, da ogni lato e prospettiva. L’elefante nel suo recinto, opportunista curioso, controlla se abbiamo una nocciolina tastando con la proboscide serpentina. La gazzella, il kudu e l’antilope, erbivori ungulati, diffidenti dei gesti o movimenti bruschi, cercano in qualche modo di adattarsi alle attenzioni del grande pubblico, gettando occhiate frenetiche in tutte le direzioni. Tigri e leoni, nobiltà lese, mantengono la propria fierezza grazie all’affettata ostentazione di un distacco riflessivo, magari aspettando il momento d’imporre la propria volontà. E le scimmie? Loro sanno qual’è il loro posto. Per una specie di animali che ha oltre il 99% del DNA in comune con gli umani, capire il mondo di oggi è un vero gioco da ragazzi. Carlo, l’orango del Borneo che tutti chiamano Caloy, vive a Davao, terza città più grande delle Filippine. La sua gabbia si trova nel Crocodile Park, famoso zoo-cum-rettilario della zona. Vivere la maggior parte della vita dietro le sbarre è già piuttosto dura, senza calcolare il comprensibile fastidio di chi è fatto oggetto di continue attenzioni, non sempre desiderate. Così, un giorno come gli altri, l’amichevole creatura decise che era giunta l’ora di fare il primo passo verso il cambiamento. Un nuovo look.

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Il geco satanico, draghetto del Madagascar

Uroplatus phantasticus
Foto originale: Piotr Naskrecki

Coefficiente Pokèmon: superiore ai 9 decimi, premio speciale per l’aria diavolesca. E basta aggiungerci due alucce da pipistrello, come fatto dall’anonimo autore di questo singolare Photoshop, per rendersi conto di tutto il suo potenziale straordinario. Potrebbe comparire in un videogame di ambientazione fantasy o tra le illustrazioni di una campagna di D&D già così com’è, di suo. Eppure esiste veramente. Questa particolare specie appartenente al genere degli Uroplatus, comunemente detta “geco satanico dalla coda a foglia” è una lucertola arrampicatrice che vive tra le foreste del Madagascar, mimetizzata tra gli alberi. Le sue principali risorse evolutive sono, neanche a dirlo, la forma e il colore. Quando perfettamente immobile, infatti, si trasforma nella perfetta imitazione di una foglia secca, persino un pò mangiucchiata dai parassiti. Per questo passa intere giornate appeso a testa in giù, in attesa del momento giusto per balzare all’attacco. Se minacciato, si appiattisce sulla corteccia per nascondere la sua ombra e spalanca la bocca dall’interno rosso fuoco, con la precisa finalità di spaventare gli eventuali predatori. Il naturalista belga George Albert Boulenger (1858 – 1937) fu talmente colpito dall’avvistamento improvviso di questo animale che arrivò a considerarlo un prodotto della sua fantasia, attribuendogli il suffisso latino di phantasticus (immaginario).

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Salamandra Robotica II, un progetto del politecnico di Losanna

Salamandra Robotica 00

Serpeggia, serpeggia, quadrupede… Condotta con l’ausilio di meccanismi elettrici e una fedele ricostruzione del sistema nervoso animale da cui è stata ispirata. Gialla e nera, silenziosa, completamente artificiale. Chi non vorrebbe averne una a casa? Da sempre tutti amano le graziose, gioviali, dannatamente adorabili salamandre. Creature urodeli che assomigliano alla comune lucertola, ma dall’aspetto variopinto e brillante, in grado così di apparire nocive o velenose agli occhi di un potenziale predatore. Le abbiamo ammirate per la loro lingua estroflessibile, usata per catturare piccoli invertebrati o molluschi. In molti hanno apprezzato le sostanze, alcaloidi o lievemente tossiche, che secernono dalle ghiandole paratoidi per mantenersi ben idratate ed avere un cattivo sapore, come i rospi. L’affascinante moto ipnotico strisciante, ideale per muoversi sia sulla terra che in acqua… Tutte doti acquisite attraverso secoli o millenni di evoluzione, teoricamente precluse, quindi, a noi ponderosi discendenti dei primati bipedi della preistoria. A meno di costruire un apposito robot. Abbiamo avuto il cane robot. Il gatto robot. Il merlo, il verme, il topo, la mosca, la trota (robot). Ciascuno dominatore di un preciso, singolo, ambiente: l’acqua, il suolo oppure l’aria, eppure nessuno che ne occupasse diversi, almeno mantenendo la stessa scioltezza di movimenti. Fino ad ora.

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Jumpy, il cane da sei milioni di dollari

Jumpy the Dog

Jumpy è un incrocio tra Border Collie e Australian Cattle Dog, razze note per la loro capacità di affrontare e vincere qualsiasi prova di abilità. Purtroppo nessuno, ormai, osa sfidare Jumpy. Perché questo è un cane da sport estremi che, a parte camminare attraverso i muri, può fare qualsiasi cosa: salta più leggero dell’aria, volando oltre i furgoni e le auto parcheggiate, si tuffa nelle profondità di piscine olimpioniche in cerca di pupazzi prossimi all’annegamento e poi, per buona misura, governa abilmente difficili mezzi di trasporto come lo skateboard e la tavola da surf. Se Jumpy fosse la versione a quattro zampe di un attore famoso, sarebbe il più adrenalinico degli Arnold Schwarzenegger, quello di Terminator e Commando. Se usasse il paracadute da altezze stratosferiche, tutti lo chiamerebbero Felix Baumgarten. Diretto dal regista di film d’azione Michael Bay, sventerebbe invasioni aliene o terribili attentati in ogni angolo del mondo. Dopo aver dominato gli elementi nel corso di un breve ma intenso minuto, eccolo che se ne va sul suo monopattino, verso il tramonto. Coraggio, competenza e fedeltà accompagnano il suo cammino: sia questa l’origine di una Star?! Il segreto sta (quasi) tutto nell’addestramento. Il resto, come sempre, è leggenda.

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