Sculture-formicaio create grazie all’alluminio

Ants cast

Uno strano alberello di Natale, questo qui. Tanto per cominciare, non ha gli aghi. Sfoggia il colore argenteo di un vassoio in sterling, però pesa quasi nove chili. Appoggiato sopra a una robusta base ovale in legno, per oltre 40 cm si sviluppa in ramificazioni capillari, bulbi globulari, blocchi granulosi. L’asimmetria di una scultura che ha, o per lo meno aveva, uno scopo estremamente definito: viverci dentro…Tastando i pavimenti con le mandibole, strofinandosi le antenne, prima di metterci 6 zampe, l’una dopo l’altra, in cerca della camera della Regina. Perché per esplorarlo dall’interno, se non fosse ancora chiaro, bisognava essere formiche. Per farlo adesso, usando invece gli occhi, basterebbe metterlo sul caminetto, così, girato all’incontrario.
Avete mai dovuto condividere gli spazi personali con le valide esponenti della specie myrmicinae? Piccole instancabili creature, che camminano dovunque, esplorano i pertugi, si mangiano quello che gli riesce di trovare. Dove ce n’è una, presto ne arrivano dozzine, centinaia. “Operaie” dell’appropriazione indebita. Guerriere pronte a una crudele auto-immolazione! Fuchi volanti, sciamati sulle lampade o i televisori! E c’è anche di peggio, come queste solenopsis, le altrimenti dette formiche del fuoco. Dal morso velenoso, doloroso, fonte di ulcere o rischiose anafilassi. Oh, my! Non dentro al mio giardino! Qualcuno potrebbe pure innervosirsi, scavare una buca nel terreno, scaldarla fino a 660 gradi celsius, squagliarci l’alluminio, riversarlo dentro a un crogiolo e poi mettere in pratica la sua vendetta. Un piatto da servire caldo, anzi caldissimo.

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Nell’arena del monaco meccanico

David Bynoe

Quattro torri, con altrettanti cavi, tengono sospesa una testina di metallo. Fluttuando da un lato all’altro del quadrato, questa fa comparire figure geometriche nella sabbia. È la macchina computerizzata costruita da David Bynoe, per un progetto del Telus Spark Science Centre di Calgary, nello stato americano dell’Alberta. Costruendo quei mandala insostanziali, l’interessante invenzione contribuirà, per mesi ad anni, a suscitare nei visitatori un senso florido della curiosità. Cerchi concentrici, quadrati, modelli bidimensionali dell’atomo di Bohr, sequenze molteplici e complesse… L’atto creativo trasformerà quei granuli monocromatici in strumenti di bassorilievi tridimensionali, attraverso la semplice pressione ripetuta di un pulsante. Niente più rastrelli, per cortili giapponesi di eleganti templi Zen. Solo se qualche ragazzo, studiando questo meccanismo, sceglierà di prenderlo a modello, imboccando l’ardua strada dell’ingegneria e della programmazione, potremo dirci veramente soddisfatti. Tutti gli obiettivi sono virtualmente perseguibili. Persino l’Illuminazione.
La mente è alla continua ricerca delle immagini più affascinanti. E c’è un’imprescindibile dualismo, nella tendenza all’astrazione pura, che può portare ad utili fraintendimenti; proprio così, rinasce quest’oggi il giardino delle rocce o karesansui (acqua, piante, pietre) fra le più celebri metafore culturali dell’Estremo Oriente. Un tempo strumento di prestigio, l’ornamento per le vaste residenze dei guerrieri. Poi presunto ausilio alla meditazione, centro disadorno dei più sacri luoghi. E infine, inevitabilmente, gadget.
Trascinato ad Occidente assieme ad altre schegge prive di contesto, negli anni del benessere economico, quando le aziende inseguivano il mito dell’efficace industria giapponese, quello stile paesaggistico è spesso ricomparso negli uffici e sulle scrivanie, attraverso la sua accezione più ridotta: il bonseki. Magari con l’aggiunta di lucette a LED e una piccola fontana. Anche il Natale vuole la sua parte.

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L’acqua che non poteva galleggiare

Cenote Angelita

Che strana sensazione. Sospeso silenziosamente a 4 metri dalla superficie, scruto verso la cupezza di un fiume abbandonato. Nessun pesce sembra muoversi tra le sue acque, ma rami secchi, alberi e sterpaglie putrescenti ne marcano la riva, freddamente. Pare quasi di volare. Dopo un breve attimo di confusione, rivolgo lo sguardo verso l’alto: 22 densi metri mi separano dall’aria respirabile. Sono dentro un lago, coperto da una grotta, sopra un corso d’acqua del tutto indipendente. Questa è la profonda cenote di Angelita, con il suo pozzo di brina turbinosa. L’assurda meraviglia liquefatta dello Yucatan, penisola del Messico sud-occidentale, che attira gli speleologi subacquei da ogni angolo del mondo, con quel suo fascino sinistro, l’emblema di un supremo luogo misterioso. Percepisco già il pericolo di un orrido veleno, l’idrogeno solforato; sarà meglio risalire. Dissolvenza… In blu.
Non è, tale resoconto, soltanto il soggetto di un quadro surreale, ma storia vera di un vasto e sorprendente mondo. Sarà, dunque, molto meglio approfondire. Il fatto è che nell’antichissima regione mesoamericana, resa prospera dagli ancestrali centri dell’Impero Maya, per ciascuna ziggurat che si protendeva dalla terra, c’era sempre stato un buco, grossomodo equivalente. L’antitesi del monte Purgatorio, girone dell’eterna conseguenza, timida trivella di un mantello lavico e perduto. Che poi si trattasse di un semplice cratere, come quello generato dal meteorite dei compianti dinosauri, di una voragine carsica, una caverna oppure un lago sotterraneo… Ce n’erano di ogni foggia e dimensione. Qualche volta, come nel caso specifico, dentro al foro c’era pure il mare. Che c’è ancora. Stiamo parlando, per l’appunto, dei cenote, ovvero le grotte sommerse risalenti al Pleistocene, simili a dei profondi laghi circolari. Come lagune segrete, le loro polle d’acqua dolce furono rese impermeabili da strati di calcare, residui delle vaste glaciazioni. E in alcuni casi, vista la vicinanza con la costa, ricevettero pure il dono di affluenti, fiumiciattoli con l’acqua salata dell’oceano. Un vero maelstrom d’opportunità.
La casta sacerdotale dei popoli pre-colombiani, che ben conosceva queste grotte, usava definirle ts’onot, oppure “un chiaro segno degli dei vendicativi”. Vi gettava dentro statue sacrificali, con finalità di offerta placatoria. Qualche volta, se ce n’era donde, le accompagnava con gustose teste umane. Del resto i luoghi di passaggio, da quando esiste la cultura umana, furono sempre collegati con la morte. Persino tra le sue simili, tuttavia, la cenote di Angelita fa eccezione.

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L’aracnide mostruoso sulla faccia

Vinegaroon

Questi enormi scorpioni non sono per niente come gli altri. Tanto per cominciare, non pungono; il che, va detto, può anche fare comodo. Specie quando te li metti sopra il naso. Ma che fantastica idea! Sarebbe quasi da imitare. Peccato che non siamo in Costa Rica. Felicemente paralizzati dal terrore, con sguardo fermo e distaccato, avremmo potuto scrutare dritti dentro la suprema fonte di un metodo di difesa strepitoso, tremendo ugello della dannazione… L’invertebrato dell’ordine thelyphonida ha tutte le carte in regola per fare concorrenza ai più (s)gradevoli tra i nostri animali domestici, comprese le robuste chele palpatorie, la lunga coda a forma di scudiscio e le due ghiandole in prossimità dell’ano. Ed è proprio in funzione di quest’ultime, che nei paesi a lingua spagnola lo chiamano amichevolmente vinegaron (pl. vingarones). La ragione sta tutta nell’odore. Pare infatti, ma non prendetemi in parola, che quando disturbato, l’animaletto abbia l’abitudine soave di rilasciare una sottile nube d’acido irritante, avente il caratteristico profumo dell’aceto (vinegar). Decisamente meglio questo, rispetto alla reazione di un comune gatto. Comunque, non c’è problema. Basta tenerlo ben lontano dagli occhi..Err, nevermind.
Dunque, si potrebbe ingenuamente dire, siamo giunti a questo. Tutto può valere, nella difficile ricerca della fama internettiana? Persino la tortura dell’angoscia? No. In realtà, l’origine di un gesto tanto alternativo, ferocemente fuori dal comune, va rintracciata da un diverso presupposto. Stare sulla faccia dell’umano, molto probabilmente, piace al vinegaron. Però così è pure per costui, che si è tanto allegramente offerto a tale scopo. Insieme sorridono per la telecamera, in quel momento di assoluta comunione, l’uomo e l’aracnide, come faremmo noi con Fido, tirando palle a un caro cane. L’amico di una vita. Perché il due-zampe protagonista dell’evento è Quaoar Power, alias memutic, titolare di una pagina Facebook ricca d’informazioni entomologiche, con la passione di tutto ciò che striscia, zampetta o svolazza in giro per il mondo. Protagonista su YouTube di affascinanti viaggi, doverosamente raccontati, fra il Sud America, l’Asia e l’Est Europa, ha ripreso farfalle, bruchi, ragni e scarafaggi di ogni tipo. Qualche volta si è pure fatto pungere, per il bene della scienza.
Cose come queste, comunque, neppure lui le ha fatte tanto spesso. Perché scatti questa molla dell’interconnessione, bisogna trovare l’animale giusto, sufficientemente flemmatico e tranquillo. Gertrude, si chiamava lei. “Ger-truuh-de, luce della mia vita, fuoco del mio cefalotorace…”

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