L’ingegnere delle palle astrali rotolanti

Kugelbahn

Un bambino che traccia piste nella sabbia per giocare col tallone, verso il mezzogiorno di una domenica di primavera. La risacca giunge con quel suono ripetuto, SWOOSH che pare richiamarsi al segno dell’aspettativa. Cosa sta per capitare a tante biglie decorate? Quale mistica evenienza può manifestarsi nel riflesso luminoso di una sfera, trasportata verso la sua meta semi-sotterranea? Il segreto non alberga al termine dell’arco di un baleno, bensì all’apice di questo, dove ponti arcuati, costruiti con sassetti e bastoncini, si protendono verso la punta e i limiti della questione. Qualsiasi forma di divertimento personale, se portata alle sue estreme conseguenze, si trasforma inevitabilmente in arte. Ma quando palesandosi ci appare tanto mistica e complessa, bizantina nel suo progredire, non si può fare a meno di chiamarla “scienza” e togliersi il cappello verso il suo creatore/costruttore/controllore. Niente sabbia, qui. Pura applicazione della mente di un elettricista; Ernst Heye, tecnico e tedesco, mette assieme incredibili labirinti gravitazionali con il fil di rame, in cui dozzine di sferette albergano immanenti, nell’attesa che qualcuno ponga il segno d’iniziare. Una leggera spintarella: tanto basta per partire. Verso l’oltre, addirittura, l’aldilà!
La piramide di Nefertiti, usata a ispirazione del costrutto, è una contraddizione in termini, la fantasia non-storica di un menestrello. Ella, che visse nell’Egitto della XVIII dinastia del periodo Armaniano (XIV secolo a.C.) fu regina col marito Akhenaton, dalla loro capitale di Tell al-Amarna. Ebbe, secondo le scene rappresentate sulle tombe coéve, ben sei figlie, al punto che il titolo nobiliare di figlio-della-figlia-di-Nefertiti fu usato a partire da quei giorni come il segno massimo di nobiltà. Alla sua nascita oltre mille anni, tuttavia, erano ormai trascorsi dall’epoca dell’edificazione delle grandi piramidi di Giza, e invero la sua mummia, assieme a quella dei familiari maggiormente rilevanti, non furono mai ritrovate dagli archeologi. Silenziosamente, giacciono immote in qualche misterioso sotterraneo. L’energia potenziale di una simile scoperta non deve essere sfuggita agli occhi chiarificatori dell’artista. Un meccanismo, in fondo, è soprattutto quello e questo. Lo strumento bello per creare un gesto! Quando un giorno finalmente, sotto rocce millenarie, si scorgerà quel sepolcro misterioso, l’effetto domino dei suoi segreti contenuti innesterebbe una reazione quasi senza fine, rimescolando presunzioni e congetture secolari. Come la cascata di palline dentro a un flipper del pachinko. Oppure le automobili in partenza dal casello, all’inaugurazione di una nuova via – paragone, questo, niente affatto accidentale. La caratteristica tipologica della scultura cinetica mostrata in apertura, intitolata Die Pyramide der Nofretete – 2teVers. è generalmente identificata con il termine tedesco di kugelbahn ovvero, la strada per palline. Come nell’alternativa maggiormente celebrata delle autobahn, non esiste un tetto ultimo per la velocità. Né il numero degli pneumatici partecipanti… 

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Un salto elastico dalla scogliera greca

Zakynthos bungee

A Zante, ah, Zacinto. Fiore di Levante. Ha una bandiera molto antica, l’isola verso cui sorrise Venere secondo il canto dei poeti, sopra cui campeggia in verde la figura di un eroe: Zakynthos, figlio di quel re Dardanus della sempre temuta Troia. Ne parlò brevemente Omero, del modo in cui questo discendente del Peloponneso ritornò infine nella terra dei suoi avi, per fondare la comunità che ricevette tradizionalmente l’uso del suo nome. E il motto insigne in lettere maiuscole dell’alfabeto greco, scritto sotto quella sagoma riconoscibile che recita: ΘΕΛΕΙ ΑΡΕΤΗ ΚΑΙ TOΛMH Η ΕΛΕΥΘΕΡΙΑ – théli aretí ke tólmi i elefthería – La libertà richiede virtù e coraggio. Indubbiamente, certe affermazioni sembrano trascendere l’epoca da cui provengono, immutate. Se pure stravolte nella grafìa ed il metodo impiegato per citarle, mantengono il significato ed il contesto. Un simile suono già risuona pure nelle manifestazioni più sfrenate del contemporaneo, come l’attimo incredibile in cui gente senza caratteristiche ulteriori, sospinta innanzi solamente dal bisogno di provare, lascia indietro i preconcetti e i freni inibitori, per giungere fino al ciglio di un dirupo e fare un altro passo, giù nel vuoto senza un fondo. Ovvero, sufficiente. A liberarsi eternamente, per schiantarsi e far finire tutto quanto con coraggio, sulle sabbie di un’illacrimata e foscoliana sepoltura; tranne che talvolta tutto torna indietro, almeno in parte per poi scendere di nuovo?
Dev’essere stata una scena dalle implicazioni preoccupanti. Tra i diversi momenti mostrati nell’appassionante super-cut della sessione organizzata dal gruppo polacco dei Dream Walker sulla spiaggia del Navagio, uno dei luoghi più riconoscibili dell’isola di soli 410 Km quadrati, ce ne sono alcuni in cui gli spalti invisibili sono gremiti d’innumerevoli imprevisti spettatori. E sembra di sentirlo quel sussurro, ritrasmesso da un orecchio all’altro: “Bungee Jumping, Bungee Jumping…” Ma chi può veramente dire quanti, tra i bagnanti, siano stati messi al corrente di quello che stava effettivamente per succedere, della “pioggia d’uomini” di cui parlava Geri Halliwell, nel suo celebre singolo del 2001. E se qualcuno invero, rilassato tra le acque, o steso in disparte sopra i bianchi granuli dei molti sassolini, non abbia finito per assistere con occhi spalancati alle battute d’apertura di un suicidio: ecco una persona, con vistosa imbracatura (ma di certo il sole può giocare strani scherzi) che si lancia spensierato da 200 metri d’altitudine, oltre le ruvide rocce calcaree della cala e verso il relitto rugginoso della MV Panagiotis, la nave di contrabbandieri ormai derelitta che da il nome a un tale luogo (Ναυάγιο=naufragio). Perché virtù e coraggio, in questo caso, non sono due princìpi contrapposti, ma lo scorrere fluido dello stesso sentimento. Si potrebbe anzi, addirittura dire: la virtù è coraggio, come viceversa e chi non risica, rimpiangerà di non aver fatto quell’ultimo passetto verso il basso che lo guarda da lontano.
L’iniziativa mediatica Dream Walker, talvolta riassunta con la tagline piuttosto auto-esplicativa de “Il giro del mondo in 80 salti” nasce dalla collaborazione di un grande numero di professionisti degli sport estremi e alcuni facoltosi sponsor, tra cui la compagnia di produzione video Cam-L e il produttore cinese di ricetrasmittenti radio Hytera, i cui prodotti vengono tanto spesso ed “accidentalmente” mostrati prima o dopo l’ultima grandiosa impresa. L’obiettivo descritto nella descrizione di ciascun video è semplice ed estremamente immediato, al punto che viene da chiedersi come non sia mai stato messo in pratica, su scala simile, da qualcun altro prima d’ora: riunire finalmente le due strade divergenti del volo umano verticale da un punto di partenza fisso e pre-esistente, ovvero il Bungee ed il B.A.S.E. Jumping (Buildings, Antenna, Span, Earth) adatti, rispettivamente, a chiunque abbia l’intenzione e il desiderio, oppure solo a chi ha fatto molta pratica con il paracadute.
Chi ha detto che saltare giù con il famoso agglomerato di stringhe di latex incapsulate non possa prescindere da ambienti estremamente controllati, come torri o ponti fatti dagli umani? Ecco invero l’esempio, in questo teatro naturale a strapiombo sullo splendido Mediterraneo, che è lo scenario a creare l’occasione. Ma ci sono innumerevoli altre acque ed altri mari, a questo mondo…

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Il più realistico costume da tirannosauro è giapponese

On Art T-Rex

Sapevano come divertirsi, loro le lucertole giganti. Recenti scoperte scientifiche hanno dimostrato che… Nel periodo in cui si dava inizio alla quaresima verso la fine di Febbraio, i dominatori di un pianeta giovane e senz’altro meno popoloso, più freddo e ricco di foreste, rinunciavano alla carne per far finta d’esser altro. Come sul suonare di una tromba invisibile ed abnorme, presso le radure chiaramente designate, si vestivano di gran cappucci frondosi, pelli lunghe, le lenzuola di corpose ragnatele. Carnevale Mesozoico: l’occasione di un giorno per serrare i denti, posizionarsi sulle zampe dagli artigli spaventosi, spalancare gli occhi e fare finta di parlare come umani, per un breve tempo sotto il sopracciglio delle aspettative. Perché anche un ruggito, quando attentamente modulato, può servire a dirti “T’amo, pio Strigo(sauro)” A colazione, a pranzo e a cena; ma non prima di domani, quando torneremo non-umani. Oggi, beviamo. Strano come una simile curiosa usanza, largamente documentata dai frammenti di scritture ritrovate assieme a fossili e altre varie cose, sia riuscita a caratterizzare l’immagine che abbiamo dei più grandi vertebrati di terra mai vissuti prima della storia. Sessantasei milioni d’anni dopo, abbiamo avuto modo di vedere la venuta degli anfibi e degli uccelli e degli insetti, sopraggiunto il tempo di cambiare. Ci sono state molte civilizzazioni, guerre e carestie; vetusti cambi generazionali di significati del possibile, poi è venuta l’automobile, l’aereo e l’astronave. Però non è mutato quel bisogno di gettare lo sguardo oltre il muro di ciò che siamo veramente, assai semplicemente in verità: mammiferi bipedi del genere Homo sapiens (sapiens-sapiens-sapiens…) Che non si abbassano a raccoglier le ossa dei predecessori, se non ci finiscono praticamente sopra. O queste ultime riemergono dal suolo dei momenti, con il seguito di un fascino evidente.
Un cerchio di giovani aspiranti paleontologi si raduna attorno ad un pupazzo spaventoso. Grida appassionate, salti d’entusiasmo, battiti di mani. Il sauro dalle braccia corte si avventura esplorativo, a turno prima da una parte e poi dall’altra, sconfinando col testone in mezzo a tanti lazzi di richiamo, ostentando un senso di minaccia che non è reale; ma potrebbe esserlo, eccome! I punti forti dello show, perché di questo poi si tratta, non albergano soltanto nel realismo visuale. Oggi non è difficile, soprattutto grazie al repertorio offerto da un cinema di genere ormai prossimo al ritorno, mettere assieme un’approssimazione ragionevole di simili creature, fatte di gomma attentamente pieghettata, colori vividi e vivaci. L’ultima versione del classico costume da dinosauro bipede, resa celebre da un’ampia serie di scherzi, candid internettiane e Pesci d’incipiente primavera, prevede una metà superiore gestita da un complesso sistema meccanico, mentre un figurante deambula con fare minaccioso, pantaloni neri e scarpe collegate alle zampone del mostrone. Quest’ultime piegate a volte all’incontrario, come quelle degli uccelli. Tale prassi conduce ad una serie di movenze alquanto realistiche, benché sia connotata da un considerevole problema: le gambe del marionettista sono perfettamente visibili agli spettatori. Ora, naturalmente, se sei lì per divertirti, farai finta di niente ed accetterai qual patto finzionale. Ma col diffondersi della particolare soluzione, ormai persino i bambini, vista una creatura come quella, non potranno fare altro che notare i due punti d’appoggio veramente molto umani, rovinando in parte l’atmosfera. A meno di essere in Giappone, presso uno spettacolo della On-Art…

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Questo liquido è il futuro della stampa tridimensionale

Carbon 3D

Strano, sibillino, surreale. Da una vasca di metallo emerge capovolta, dettagliata e ineccepibile, la riduzione color-fluo dell’arcinota Tour Eiffel. Giusto dall’altro ieri su di un palcoscenico gremito, la sua evocazione da una mera polla liquida, come Durlindana della scienza, sta già lanciando strali metamorfici a margine delle comuni aspettative sulla prototipazione-fatta-in-casa, quel processo futuribile ed innovativo che viene ad oggi definito stampa tridimensionale. Benché non abbia molto a che vedere con la tecnica inventata dal buon vecchio Gutenberg a suo tempo, tranne che l’effetto potenziale sulle regole del senso della società. L’intero reveal si presenta come uno strano sovvertimento della presentazione al pubblico di una novità tecnologica, che generalmente si svolge per gradi attentamente definiti, ovvero il lampo, il botto e poi la pioggia; mentre in questo nuovo temporale siamo a ancora a districare le innumerevoli implicazioni, palesate tutte assieme, all’improvviso, in un vortice che ha già cambiato gli orizzonti e le remote prospettive. Lunedì sera, come previsto da copione, il professor di chimica Joseph DeSimone, insegnante all’università di Stanford, è salito sul palco mobile della celebre serie di conferenze TED Talk, momentaneamente sito in quel di Vancouver, per parlare al mondo degli ultimi progressi fatti nel campo della nuova microindustria digitalizzata. Quello che il pubblico non si aspettava, e invero forse neanche una buona parte degli organizzatori, è stato il suo far fuoriuscire dal cilindro metaforico, oppur da sotto il telo tipico degli inventori, questo incredibile strumento. Un calderone senza eguali. Accompagnato dall’inevitabile seguito di una venture commerciale, nominata alquanto suggestivamente Carbon 3D.
E non è chiaro al momento in cui scrivo esattamente il perché (il video della presentazione non è stato ancora reso pubblico) né se l’idea azzeccata sia stata il frutto dell’inventore con la sua equipe, oppure il parto di uno dei giornalisti presenti all’occasione, ma l’oggetto è stato immediatamente abbinato ad un effetto speciale particolarmente celebre, tra i primi digitali ad aver fatto la storia del cinema di fantascienza: la maniera in cui l’attore Robert Patrick alias T-1000, nel film Terminator 2 – Judgement Day (1991, il tempo vola) poteva controllare il suo stato della materia fra le due prime alternative totalmente a piacimento, ad esempio rinascendo da una pozzanghera di metallo liquido dopo aver subito danni fisici anche considerevoli, tipo un paio di fucilate ad opera dello spietato Schwarzy. È un termine di paragone alquanto affascinante, innanzi tutto per la somiglianza estetica del processo, tramite il quale un liquido viene trasformato in forme solide riconoscibili, ma soprattutto per le immagini che evoca nella mente del pubblico, di un futuro tanto avanzato, nei fatti, da risultare quasi spaventoso. Una tecnologia così apparentemente priva di precedenti, quando arriva tanto all’improvviso, può in effetti suscitare un senso d’istintiva diffidenza, e già rimbalzano da un lato all’altro della blogosfera timide battute, del tipo: “Siamo sicuri che la stampante non possa riprodurre se stessa, sviluppando a un certo punto, per mera progressione quantistica, un’accenno di autocoscienza e…” Che la risposta giaccia all’altro capo della macchina del tempo, rivelazione certamente im-prevista di una prossima TED Talk?

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