Il travagliato arrivo dello svasso maggiore al trono dei pennuti neozelandesi

Una battaglia in termini di popolarità, non importa quanto inconcludente ai fini dello stato attuale delle cose, è pur sempre un tipo di conflitto da cui nessuno, o niente può restare privo di un coinvolgimento dalle implicazioni impreviste. Per cui persino l’essere più placido in assoluto, un uccello acquatico che apprezza la serenità lacustre di un mondo naturale ancora ragionevolmente incontaminato, può essere visto come un avversario da sconfiggere, il nemico numero uno di un particolare tipo di collettività appassionata. Succede regolarmente ogni anno per particolari specie di volatili come il qui presente svasso crestato maggiore (Podiceps c.) ed è ancora più palese come conseguenza di questa particolare edizione del concorso “Uccello dell’Anno” della Nuova Zelanda, che per l’imminente anniversario dell’ente organizzatore sarà nominato addirittura “Uccello del Secolo” grazie al voto del popolo del Web. Un’occasione in grado di capitare, letteralmente, ogni cento anni! Quello che nessuno si aspettava nel frattempo, né adesso né mai prima di questo momento, sarebbe stato il contributo particolarmente enfatico da parte del comico e conduttore statunitense John Oliver, che forse con l’idea di sorprendere il suo pubblico, o magari per un senso del dovere stranamente fuori dal contesto, sembrerebbe essersi fatto carico di una letterale campagna elettorale in pieno stile presidenziale, con tanto di spezzoni televisivi in costume, grossi pupazzi animatronici in trasmissione e vari cartelloni pubblicitari noleggiati in svariati paesi. Accompagnati da entusiastici monologhi, senza un palese grammo d’ironia, sulla bellezza dello svasso apostrofato per l’occasione con il nome in lingua nativa pūteketeke, le sue abitudini e ciò che servirebbe a distinguerlo dai precedenti vincitori della kermesse. Iniziativa che, nell’esporre implicitamente al mondo i meriti della conservazione naturale, ha suscitato nondimeno vari problemi all’ente di conservazione neozelandese della Forest and Bird, con accessi al loro sito e un numero di voti superiori di fino a cinque volte la quantità prevista sulla base delle esperienze pregresse. Senza neppure entrare nel merito delle comprensibili proteste dei sostenitori di altri possibili candidati come l’amministratore locale Scott McNab, convinto che il premio dovrebbe andare al piccolo parrocchetto di Malherbe (Cyanoramphus m.) alias kākāriki karaka. E che non ha esitato a paragonare l’iniziativa del suo antagonista a quella dei presunti propagandisti russi, notoriamente associati all’ascesa spesso problematica di una particolare figura della scena politica contemporanea statunitense…

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L’erosione dei memetici creativi e l’incombente sagoma dell’Opium Bird

Invio questo messaggio indietro nel tempo di quattro anni dal 2027 come una sorta di monito ed avviso preventivo: state attenti a quello che potreste desiderare. Non cercate sempre di portare tutto alle conseguenze più estreme. E soprattutto, sarebbe un errore continuare a fare al computer le domande sbagliate. Naturalmente all’epoca (ormai sembrano anni, persino secoli fa) ci scambiavamo frasi magiche come fossero regali anticipati di Natale. Sequenze di parole, nella maggior parte dei casi del tutto innocue, che una volta immesse nel sistema giusto non potevano fare a meno di causare una reazione. E proprio da quest’ultima, sembravamo trovarla per qualche ragione soddisfacente. “Un antico baule all’interno di una stanza sotterranea, circondato da pareti muschiose. Torce fiammeggianti alle pareti. Dal coperchio semi-aperto si scorgono l’oro e i gioielli di cui è ricolmo.” Generating, generating. “Un drago rosso tra le nubi che sovrastano i palazzi di Las Vegas, lo sguardo saggio e carico di sottintesi. Le sue zampe si protendono come quelle di un rapace Leviatano, per ghermire l’abnorme sfera fluorescente che riesce ad evocare l’immortalità.” Generating, generating. Bing! Benvenuto a bordo, artista. Ci sentivamo tutti un po’ più “artisti”, grazie alla potenza inusitata dell’ultimo degli scintillanti strumenti posti al presunto servizio dell’umanità, l’Intelligenza Artificiale. Finché non iniziarono a palesarsi i chiari segni che in realtà essa serviva, in primo luogo, qualcun altro. O qualcos’altro. C’era il volto della donna misteriosa individuata inizialmente nel 2022, dal nome stranamente impersonale di Loab: come un caso collettivo di pareidolia, ogni volta puntuale quanto impossibile da replicare, non importa quanto fossero precisi i tuoi prompt. E poi c’era la creatura aviaria semi-tangibile numero [REDACTED] figlia di una deriva memetica del tutto in grado, per la prima volta, di controllare se stessa a discapito dei suoi presunti creatori.
Naturalmente e come spesso capita in questi casi, in un primo momento essa non possedeva un nome. “Uccello misterioso individuato in mezzo alle montagne dell’Antartide” spiegavano concise didascalie, la cui prima in ordine di tempo venne ricondotta a uno specifico utente di Instagram, dre.vfx. Ma con una velocità non del tutto priva di precedenti, essa guadagnò l’accesso ad una sorta di mezza-vita, acquisendo un peso culturale specifico da Materiali Anomali e Conseguenze Inaspettate. Come il modo in cui la gente cominciò ad associarlo alla più terribile, diffusa droga soporifera diffusa nel tardo Rinascimento. La religione dei popoli, la pipa dei sogni. Come una popolare marca di cellulari dell’Asia Orientale, con la lettera “i” situata tra la doppia “p” e l’ultima parte del suo logotipo universale. Un nuovo topos narrativo, dunque, le cui derivazioni simili a tentacoli presero a moltiplicarsi e contaminare i recessi più incontaminati della necessariamente vulnerabile coscienza globale….

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L’inveterata ostilità cromatica dei parrocchetti gialli nei confronti dei loro cugini

Nella narrativa coltivata dai principali bipedi terrestri del pianeta, il dinosauro è una creatura appartenente alla Preistoria che ha visto naufragare la propria discendenza in occasione di un evento catastrofico di molto antecedente alla sua venuta. Dal punto di vista di coloro che li studiano, d’altronde, i pennuti volatori sono triceratopi, diplodochi e tirannosauri dei nostri giorni. Questione facilmente accantonata, questa, quando ci si relaziona con il caro canarino o l’amichevole cocorita, occupanti delle gabbie che adornano le sale da pranzo. E non solo. Eppure a differenza del cane, gatto e addirittura pesce rosso, sono proprio quei pennuti ricordarci, qualche volta, le precise regole tenute vive nella loro mente, più complessa e articolata della media di molte altre creature. Quando combattono per il predominio territoriale, gli spazi, il cibo, l’attenzione. Certe volte, addirittura l’odio immotivato e privo di contesto nei confronti di un diverso… Colore.
Il caso analizzato, nella qui presente trattazione, è quello di un famoso video risalente a circa mezza decade fa, più volte fatto circolare presso i social media e le altre piattaforme digitalizzate della comunicazione d’intrattenimento contemporanea. Con due gruppi contrapposti di pappagallini, molto simili fatta eccezione per la livrea gialla e verde in un caso; gialla, verde ed arancione nell’altro; ai due lati di una soglia e chiaramente intenti a far valere per quanto possibile i rispettivi punti di vista. Producendo urla penetranti, stringendosi coi propri compagni d’arme e proiettandosi in avanti in una serie di accennati “assalti” la cui mimica ricorda quella di una guerra tra le stereotipiche gangs di New York. Tralasciando adesso lo specifico contesto di provenienza, probabilmente andato perso ormai da tempo nei meandri del grande fiume delle informazioni, può diventare chiara la conferma offerta nel presente caso di una percezione ragionevolmente chiara per ha mai tenuto nella propria abitazione simili compagni saltellanti: mai mischiare tra di loro i pappagallini. Per più di una singola, valida ragione. Creature più in dettaglio appartenenti alla macro-categoria definita in lingua inglese o francese come dei conure, categoria informale creata a partire dalla famiglia deprecata dei Conurus, contenente una vasta selezione di specie aviarie di dimensioni medio-piccole dai colori brillanti e le lunghe code, tutte provenienti dalla regione geografica del Nuovo Mondo. Ma NON, questione sempre degna d’essere portata innanzi, la stessa esatta ed identificabile discendenza esattamente come avviene per il termine parzialmente sovrapposto di parrocchetti. Il che potrebbe anche costituire, a conti fatti, la precisa origine del problema…

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L’avvoltoio che disdegna la carcassa per ingoiare le ossa contenute all’interno

Trattandosi in entrambi i casi di rapaci facenti parte dello stesso ordine e famiglia, quella degli accipitridi, la fondamentale distinzione tra avvoltoio ed aquila non fu sempre una questione da dare per scontata. Esempio fondamentale del fraintendimento, la denominazione scientifica risalente al 1758 dell’ossifrage o Gypaetus barbatus, dall’unione letterale delle due parole in lingua greca gups (“avvoltoio”) ed aetos (“aquila”). Un fondamentale fraintendimento derivante dal possesso da parte di questa creatura di un ricco piumaggio sulla testa ed il collo, letteralmente all’opposto dello stereotipico mangiatore di carogne alato. Se è vero d’altra parte come il tratto caratterizzante maggiormente citato per ciascun insieme di creature, che vede gli avvoltoi nutrirsi di creature già passate a un’esistenza ulteriore, mentre le loro controparti beneamate dall’araldica del Medioevo sono cacciatrici di esseri viventi inclini a mantenersi tali, non dovrebbero sussistere dubbi particolari sulla classificazione di questo dinosauro di fino a 125 cm di lunghezza, 2,83 metri di apertura alare. Le cui abitudini gastronomiche, ancor più rispetto a quelle di altri carnivori obbligati della sua categoria, lo portano ad avvicinarsi all’ora di pranzo con un certo, specializzato languorino. Come altrettanto desumibile dalla reputazione di questo abitante di un areale che si estende dalle montagne dell’Europa Occidentale fino a quelle dell’Africa Meridionale e parte dell’Asia, famoso per il suo stile gastronomico insolito e sottilmente inquietante. Che lo vede trarre il proprio nutrimento, in una percentuale variabile tra il 70 ed il 90%, interamente dalle ossa che fagocita con voracità impressionante. Tutte intere o provvedendo prima a farle a pezzi, sbattendole o gettandole da grandi altezze, una tecnica impiegata anche per l’uccisione delle malcapitate ed occasionali prede viventi. Questione nota da un tempo così lungo che già nel quinto secolo a.C. girava voce che il drammaturgo Eschilo fosse morto accidentalmente, per essere stato colpito in testa da una tartaruga lasciata cadere proprio da un gipeto che cacciava negli immediati dintorni. Un’eventualità… Improbabile, ma non del tutto impossibile, quando si considera la forza notevole ed il modo in cui questi opportunisti della caccia non sembrino spaventarsi di fronte a nulla, attaccando anche capre, pecore o vitelli, nel tentativo non senza speranza di riuscire a farli cadere da una rupe riuscendo a trasformarli nella propria fonte di cibo preferita. Un’attività, quest’ultima, che benché rara ne avrebbe segnato un fato poco vantaggioso, vista l’idea non del tutto priva di fondamento che potessero arrivare un giorno a provarci anche con gli umani, particolarmente quelli vulnerabili a causa della giovane o tarda età. Un senso di macabra reverenza che non avrebbe impedito al magnifico predatore, essenzialmente inconfondibile con qualsivoglia altro pennuto, di assumere il ruolo in tutto il Medio Oriente di simbolo della regalità e la buona sorte, in una sorta d’idiosincrasia o fraintendimento dei preconcetti ricevuti in eredità…

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