Vive nei Caraibi assieme a tre tucani

Toucanlady

Cat lady, cat girl. Tuc-tuc-tuc. Cammina tra le case di Gotham Cove con passo felpato ed agili movenze, silenziosa e attenta al minimo particolare. Ma il suo abito nero da guerriera della notte, impreziosito da vistose cuciture bianche, non ha orecchie triangolari sulla testa. Quanto piuttosto un becco giallo, lungo e curvo, fatto per ghermire insetti o frutta deliziosa. La coda del costume è bicolore ma non ha le strisce, ed è piatta, più che ritta verso il cielo per comunicar l’umore dei felini. A dir la verità il suo gatto stesso, addirittura, è differente. Miagolando, scricchiola un curioso suono che può essere trascritto come un “croak”. Quel micetto non insegue i topolini. Proviene da un distante mondo sudamericano degli uccelli, variopinti e affini ai pappagalli, che lanciandosi dagli alberi catturano ranocchie, piccoli rettili, persino topolini. Almeno, quando il ciclo di rinascita dei vegetali non fornisce loro nutrizione sufficiente. Per il resto, queste creature sono molto attive ma non parlano ai padroni umani. Toco non è mica un cocorito quello, ma un tucano, molto bello. Anzi, pure tre: Paz, Paco e Pepe (mai nomi furono più…Tropicali) gli animaletti domestici in questione, tratti in salvo da un’attrazione turistica che non aveva saputo meritarseli, sono stati accolti dall’età approssimativa di 8 anni nella spaziosa bicocca di Chrissann e David, giovani appassionati del vivere assieme alle bestie variopinte della Terra. “Ho desiderato conigli, cani, gatti, lucertole. La mia lista di pets da sogno era perennemente in espansione. Tranne che, ecco, gli uccelli non li avevo mai considerati. Semplicemente non li conoscevo.” Finché non si trasferì nelle British Virgin Islands assieme al suo ragazzo, per allevare i classici e beneamati pappagalli di Macao. E poi un giorno, durante una vacanza in Columbia, un tucano di nome Clarita ebbe l’occasione di rubargli la menta dal mojito. Fu quello l’inizio, inutile dirlo, di un qualcosa di speciale.
Ora in genere, chi fa il grande passo d’inserire un appellativo d’animale nel suo nome di battaglia aspira a guadagnarsi parte della sua reputazione. Se questa publisher d’innumerevoli video, l’uno più grazioso dell’altro, ha l’abitudine di farsi definire Toucan-lady, in qualche modo avrà modo di sfruttare arcani e mistici superpoteri. E in un certo senso… Attraverso il suo blog e profili sui principali social networks, divulga i meriti e la gioia di passare le ore assieme a tali e tanti beniamini. Chissà che proprio questo, un giorno, non gli valga un karma positivo!? Il tucano comune, o Ramphastos toco, benché facilmente addomesticabile e niente affatto a rischio di estinzione, non risulta molto conosciuto nei contesti casalinghi. Per ovvie ragioni, innanzi tutto il prezzo medio da pagare per averlo. E poi perché la gente, stranamente preferisce i pappagalli di Macao. Ah, si! Un pennuto starnazzante con la mente di un bambino di 6 mesi, destinato facilmente a sopravvivere al padrone. L’inquisitivo, distruttivo dinosauro in miniatura, che gelosamente custodisce l’area del suo territorio, beccando e minacciando chi gli è avverso al primo ed al secondo, oppure il terzo sguardo. Se il grande-giallo/becco-lungo fosse anche soltanto vagamente come lui, se avesse lo stesso spirito aggressivo e comparabile forza masticatoria, la vita assieme alla presenza delle sue graziose penne risulterebbe alquanto problematica. Stiamo parlando di un volatile di 53-60 cm, di cui 19 riservati all’equivalente biologico di una potenziale morsa per nasi, dita e orecchie; ma il tucano è molto buono. Raramente, tenta di ghermire la sua preda, quanto piuttosto gioca placido con quanto gli viene posto dinnanzi, certamente nell’universale tentativo di capire quanto sia commestibile l’ennesimo orsacchiotto, sonaglino, cuscinetto colorato. E poi non parla. In questo, forse, rassomiglia maggiormente al cane.

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Il graffitaro che ha domato le vernici primitive

Hua Tunan

Anima del lupo, del cielo e della tigre. Spirito del pappagallo, cuore di leone. Hua Tunan, al secolo Chen Yingjie, è il giovane artista noto per il suo metodo particolare di ritrarre uccelli, felini e i draghi tipici del suo paese. Considerato tra i più influenti illustratori delle nuove generazioni, nativo della città meridionale di Foshan, ha iniziato a farsi conoscere con una vasta serie di opere improvvise, create su pareti derelitte o prive di un qualsiasi fascino ulteriore, come da prassi operativa dei più rinomati creativi d’assalto, armati di bomboletta e mascherina, i cui regali al mondo raramente vengono notati prima che trascorra un tempo almeno medio. La situazione nel suo caso, tuttavia, è da sempre stata differente: innanzi tutto perché l’opera della sua mano, oltre a rifulgere dei lucidi colori del contemporaneo, si richiama per un filo diretto alla pittura cinese delle origini, la spontanea esecuzione di figure o tratti prettamente calligrafici finalizzata a un canone visuale ancora religiosamente ricordato. Poi perché sempre più spesso, soprattutto negli ultimi tempi, produce stampe limitate che guadagnano cifre considerevoli a seguito di mostre in galleria. Come un Banksy d’Asia, senza il carico di rilevanti considerazioni sulla società. Ma che differenza nell’approccio e dunque, anche nel risultato! Ciascun dipinto è una battaglia con i presupposti, piuttosto che il contesto. Non importa che si tratti di un semplice foglio, un alto muro oppure l’oggettistica dell’altro consumismo, quel momento in cui le grandi compagnie decidono di farsi belle stipendiando chi trae il merito dall’arte; quando lui lavora, tutti gli altri fanno un passo indietro e in senso prettamente letterale. Dev’essere la risultanza di un complesso e lungo studio, il suo incredibile modus operandi: colori, tinture, colori volanti, lanciati da ogni lato della figura di turno in modo apparentemente casuale, eppure valido a produrre esattamente quanto già pianificato. La tecnica è sostanzialmente quella tipica di chi lavora con l’aerografo, ovvero l’applicazione di una serie di strati successivi, di cui il primo definisce le aree a grandi linee, mentre l’ultimo traccia i contorni. Però ecco, nel caso di Hua Tunan, nulla è chiaramente definito fino all’ultimo momento, perché ciascuna macchia è frutto di uno schizzo pure parzialmente accidentale. Ed anche allora…
Guardate ad esempio quella tigre fiammeggiante che dipinge nel video di apertura, allineata con le sue creazioni del primo periodo, più dirette e forse anche spontanee: da princìpio, si presenta come una tempesta di volute sovrapposte, rosse, nere, bianche e gialle. L’aspetto complessivo è straordinariamente moderno, sul bilico della Pop Art eppure la composizione, nella sua approssimativa simmetria, pare richiamarsi alle figure di animali mitologici sui bronzi delle antiche dinastie. Tutti ricordano Taotie il volto della bestia, l’orco affamato del clan Jinyun vissuto al tempo leggendario dell’Imperatore Giallo (26 secoli prima di Cristo) che trasformato attraverso i passaggi successivi della storia dell’arte ha assunto una pletora di significati e diverse mostruose forme. La tigre e il dragone, la tartaruga e la fenice. Quattro bestie per altrettante direzioni cardinali e al centro lui, l’artista, momentaneo tramite tra l’oggi e il remotissimo domani.

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La marcia nevrotica del pappagallo

Crazy Cockatoo

La vita è fatta di momenti e un susseguirsi di diverse situazioni, l’una interconnessa all’altra, ciascuna frutto delle circostanze. Ce ne sono di semplici e ripetitive: il risveglio mattutino, l’ora di pranzo, spegnere la lampada sul comodino. Comparabilmente, esistono di certo le eccezioni che per loro imprescindibile natura, tanto spesso, tendono a manifestarsi sulla base delle interazioni tra le parti: guarda! Siamo sul princìpio di una sera come le altre. Stanco per l’interminabile giornata, infastidito dalle alternative offerte dalla macchina dell’intrattenimento (Internet l’hai già guardata, la TV da tempo ormai ti annoia) ti dirigi barcollando verso il morbido del materasso, la piumògena presenza della casa, unica forma di riscossa dall’incedere delle ore senza luce. Quand’ecco palesarsi, senza nessun tipo di preavviso, un suono disarmonico e piuttosto preoccupante. Pare il rotolare di una palla di metallo con dentro un criceto fatto di silicio. Ma in un certo senso, ricorda più che altro la ritmata vibrazione di un centesimo di dollaro, appoggiato lievemente sopra il ghiaccio secco, che si agita per la mancanza di una superficie definita. Soprattutto, cosa preoccupante, sembra farsi sempre più vicino. Mentre apri la porta dell’androne per accendere la luce rilevante, la cacofonia comincia a farsi più ordinata. Si individuano i fonémi, un susseguirsi di sillabiche eminenze, ostiche potenze, teoriche sostanze che si agitano sopra il margine della significanza. Sono…Vado…Dico…Una parola dopo l’altra, la creatura si presenta e poi racconta la sua storia. Ma non c’è davvero di che preoccuparsi. Nessun pericolo che alberga nella notte, niente alieni che percorrono quel corridoio. È “soltanto” il pappagallo. Come, quale pappagallo? Casa tua, roba tua. Non è colpa nostra, se ti sei scordato di aver preso un cacatua.
E che splendida, meravigliosa ed ottimerrima fra le idee! Non c’è lubrificante maggiormente funzionale, per il meccanismo orologistico del tempo senza un senso, che un compagno non-umano da accudire. È soltanto l’interrelazione tra le cose molto differenti, il tuo vivere tranquillo e l’occhio tondo del pennuto che ti scruta e parla nel contempo, a poter tappare il buco dell’entropica avanzata dei minuti. Basta ripetizioni, via le distrazioni. Soltanto un trespolo, due gallette e lui con te, per sempre uniti, nell’ottima giornata e nell’inquietante notte, parimenti necessaria. Stranamente il video manca di contesto (molti suggeriscono si tratti di un repost) ma è piuttosto chiaro, in effetti, quale sia il motivo di una simile e tremenda eccitazione. Nessuno, eppure tutti, al tempo stesso. Il tipico cacatua, uccello originario dell’area australiana-indonesiana, costituisce uno degli animali domestici più complicati da gestire, eppure stranamente rinomato e assai diffuso. Stiamo parlando di un essere tutt’altro che addomesticato, nella maniera tipologica del cane o gatto, ma che piuttosto resta legato ai suoi padroni soprattutto per il filo tenue dell’affetto proveniente dal bisogno. Qualche volte, persino usando la simbolica e comune catenella. Siamo insieme, volenti o nolenti… Tanto vale, trarre il massimo da questa situazione? Però, dopo tanti “Polly vuole cracker” giunge infine l’attimo della riscossa…

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La furbizia quasi umana dell’airone di palude

Heron

Ai-rone, hai voglia, per mangiare. Non è facile da catturare. Bisogna concederlo a quei piccoli, dardeggianti pesciolini a strisce che comunemente definiamo killifish. Non saranno molto scaltri, veloci, forti, attenti ai dettagli o bravi nel suonare il flauto traverso durante la canzone d’intermezzo dei cartoons della Walt Disney, ma puoi pur sempre contare su una cosa: sanno preservare la propria pinnuta, placida esistenza. E non potrebbe essere altrimenti! Avete mai considerato le problematiche del tipico ambiente di acqua pseudo-ristagnante, lievemente sopra e sotto quella linea di definizione del concetto di palude? Gracida la rana giù nella campagna, voràcida quanto un piranha. Per non parlar del grosso persico che non a caso, nell’idioma americano viene affettuosamente denominato “large-mouthed”(boccalone) giacché risucchia, a mò di aspirapolvere, ogni sorta di visitatore. E quindi lucci, pesci gatto, trote o i rapidi rappresentanti della famiglia Centrarchidae, detti pesci-sole o branchieblu. Relativamente piccoli, ma pur sempre meno del piccolo Fundulus di cui sopra, la cui vita fra tanti affamati rassomiglia, sia pur con l’influenza dell’ambiente non terricolo, la tristemente nota sequela di soprusi riservati alla gazella; l’ultimo anello della catena alimentare più famosa e spettacolare al mondo (siamo tutti un po’ grandi felini, nell’anima se non nei fatti). Però guarda, addirittura quelle, tutto sommato hanno una gran fortuna: avete mai sentito parlare di un uccello gigantesco che planando giù dal Kalahari, sorvoli ippopotami e giraffe, quindi baobab centenari, poi ghermisca un gran quadrupede cornuto per portarlo su nel nido? Certo che no! Si son già estinti, gli pterodattili dalle maestose proporzioni. Anche se i loro eredi, assai più piccoli ma comparabilmente ghiotti, sono per qualche essere: come il tirannosauro, alle sue prede! Anzi, peggio, perché sanno usare quel cervello che hanno in cima al lungo, assai flessuoso collo. Perché la fame aguzza, eccome…
Possiamo qui osservare un affascinante comportamento, attestato piuttosto spesso tra la specie degli aironi verdi o Butorides virescens, il cui aerale si estende dalle propaggini occidentali del Canada a buona parte del Nord America, fino al Messico e Panama, dove gli esemplari migrano talvolta in inverno. Si tratta di un uccello lungo 44 cm e relativamente comune, che non scappa in presenza degli umani ma piuttosto, come un merlo o un corvo, tende a interagire. E qualche volta viene anche da chiedersi se non ti sia prendendo in giro…Immaginatevi: di dare gentilmente a questo variopinto beniamino, incontrato durante un’uscita a pesca, quel pezzetto marginale del vostro panino con il wurstel. Per poi osservare ad occhi spalancati, mentre il volatile lentamente si allontana e quel dono lo intinge, più e più volte, dentro l’acqua lì vicino. Sembra un orsetto lavatore, con le piume? Non proprio. Perché a un certo punto, magia: sparisce il pane, mentre nel suo becco, mirabilmente, si è materializzato un saporito killifish. Quella piccola merenda senza proteine, guarda tu il caso, si era trasformata in esca! E se doveste tardare a fornirgliene un’altra porzione, meraviglia: l’airone potrà sempre prendere al volo una libellula, e farne lo stesso uso. Succede veramente.

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