La cicogna con la sella sul becco, iridato pterodattilo dei nostri giorni

“Kongamato, signore… L’uccello del tuono. Lui non ha pietà. Divora l’anima dei viventi!” Nel 1925 Edward Albert Christian, futuro re d’Inghilterra destinato a salire al trono e successivamente abdicare entro 12 mesi rinunciando al prestigioso titolo di Edoardo VIII, si trovava in Nigeria per visitare le ex-colonie britanniche nella regione di Taraba, non troppo lontano dalla palude di Jundu, inspiegabilmente temuta dai nativi. E fu allora che assieme al suo accompagnatore e guida, il giornalista J. Ward Price, venne avvicinato da un abitante indigeno ferito e sconvolto, il quale parlava con enfasi di una misteriosa creatura volante simile a un enorme pipistrello, priva di piume e con il becco pieno di una quantità di denti, che lo aveva attaccato infliggendogli una significativa ferita sulla schiena. Preso da parte e fatto descrivere l’accaduto con calma, l’individuo finì quindi per riconoscere alcune immagini di antichi dinosauri volanti, mettendosi a tremare e fuggendo via terrorizzato. Che cosa avesse visto il malcapitato africano riesce tutt’ora difficile da definire, non sono pochi i critpozoologi ad insistere che un raro esemplare di Pterodactylus antiquus possa essere sopravvissuto fino ai nostri giorni, tenuto al sicuro dal folklore e la natura irraggiungibile di un tale ambiente. I più razionali commentatori di questo fatto tuttavia, assieme agli avvistamenti simili verificatosi in sporadici episodi databili fino agli anni ’50 e ’60, tra Camerun, Rhodesia e Zambia, concordano nell’aver identificato un possibile colpevole nella specie volatile di comprovata esistenza dell’Ephippiorhynchus senegalensis, la cui relativa rarità all’interno del suo vasto areale, unito alle dimensioni di fino 1,5 metri d’altezza, contribuiscono all’inclusione in un possibile profilo di colpevolezza. Sebbene non si abbiano notizie di comportamenti aggressivi, da parte di alcuna delle cicogne oggi esistenti.
Sia tuttavia chiaro come, nonostante il comportamento timido e poco territoriale, questa mitterna spesso associata geneticamente al Jabiru sudamericano (J. mycteria) costituisce pur sempre un agguerrito carnivoro nonché uno dei più grossi e pesanti uccelli viventi. Con un altezza superiore, ed un peso di poco inferiore, al marabù mangiatore di carogne (Leptoptilos crumenifer) dal collo stranamente pendulo e la pelle della testa glabra. Il loro aspetto, tuttavia, non potrebbe essere più diverso e nei fatti a un’osservazione più approfondita, la nostra cicogna dal becco a sella del Senegal appare perfettamente conforme alla cognizione universale del bello: slanciata e snella, di color nero iridescente e con generosi apporti di bianco, nonché una piccola macchia rossa e priva di piume sul petto, la cui colorazione diviene stranamente MENO accesa durante la stagione degli amori. E all’altezza della testa dal punto di vista di un’ideale birdwatcher, ciò che la caratterizza e distingue maggiormente: un becco tra i 27 e 36 centimetri, che dall’aspetto generale sembrerebbe essere stato dipinto da un’artista surrealista. Guardatelo, ammiratelo, stupite voi stessi; ben poco di comparabile, al giorno d’oggi, continua ad esistere sulla Terra! Di un arancione acceso inframezzato al nero, e coronato da uno scudo color banana (la programmatica “sella”) dal quale pendono, nel maschio due piccoli bargigli simili a campanelle, anch’esse di un giallo intenso. Il tutto coordinato ad un paio di grandi occhi che pur essendo di un comune marrone scuro nel caso dei maschi, diventano arancioni tendenti al rosso per le loro controparti femminili, creando l’illusione di trovarsi di fronte a un vero e proprio demone alato proveniente da dimensioni parallele. In una differenza tra le due metà del cielo, accentuata ulteriormente in determinate circostanze, che fa di questo essere il più significativo esempio di una cicogna sessualmente dimorfica. Se vi riesce, s’intende, di osservarla in quei momenti di panico con la sufficiente oggettività e conoscenze pregresse…

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La lunga ricerca del più grande nido mai costruito da un uccello terrestre

Vedere per credere, toccare con mano per sperimentare la sensazione. Sedersi dentro per trasformarsi nell’approssimazione antropomorfa di un gigantesco pulcino implume, fatta eccezione per il cappello da ranger e la giacca color verde militare. La vita del ranger è piena di sorprese ed una delle più piacevoli può essere collocata di questi tempi, grazie a una foto che sta ottenendo un significativo successo su Internet, presso lo Hueston Woods State Park di Preble County, Ohio. Dove qualcosa di sovradimensionato sembrerebbe essersi posata a terra, armata di becco, rametti ed il coraggio di usarli, mettendo assieme la più sfolgorante abitazione per volatili. Ben 2,5 metri di diametro per almeno uno e mezzo di profondità, tali da permettere a chiunque ne provi il desiderio di sedersi all’interno, per ponderare la propria condizione assieme al sogno di prendere il volo che un tempo fu, per Leonardo da Vinci, una ricerca programmatica dei propri codici più interessanti. Ciò detto, pubblicare l’immagine in questione sul sito del parco naturale sembrerebbe aver sollevato, a suo tempo nel 2017, non poche critiche accese da parte di chi non si prese la briga di leggere la didascalia; dopotutto, gli americani possono tollerare molte cose. Ma NON sottrarre per studio la nursery a un uccello simbolo della nazione, la Haliaeetus leucocephalus o splendida aquila di mare testabianca, costringendola presumibilmente in una sorta di semplice attrazione per turisti. Mentre un’analisi più approfondita, o la semplice voglia di usare la logica avrebbe aperto gli occhi dei detrattori verso alcune significative incongruenze. Prima tra tutte, la presenza di una rete metallica all’interno del nido, per poter tollerare meglio il peso e l’ingombro di una figura umana. Per non parlare dei giganteschi “rami” fin troppo perfetti, apparentemente usciti dal tipico diorama museale di un’epoca preistorica ormai perduta. Quello che urge sapere per giungere ad un’interpretazione realmente corretta della faccenda, tuttavia, è il modo in cui l’intera costruzione risulti essere assolutamente in scala reale, piuttosto che ampliata per valorizzare i più minimi dettagli. Volendo rappresentare nient’altro che un una dimensione possibilmente media, per l’essere che costituisce il costruttore di nidi arboricoli più alti nell’intero corso della storia evolutiva terrestre.
Non lo pterodattilo (che lasciava i suoi piccoli a schiudersi all’interno di una buca nel terreno) e probabilmente neppure le mega-colonie del passero tessitore, sebbene talvolta l’agglomerato dei loro nidi possa raggiungere le proporzioni accidentali di una vera e propria piccola città pigolante. Laddove parrebbe esserci qualcosa di estremamente speciale nel concetto stesso di un grande uccello il quale, mantenendosi monogamo per tutta la vita, fa ritorno per 20, 30 anni nello stesso luogo, ogni volta ampliando e restaurando il suo sopraelevato grattacielo. Vi sono, tuttavia, casi estremi in cui gli stessi eredi di una coppia hanno continuato ad utilizzare l’abitazione dei propri genitori, come nella celebre osservazione del nido fotografato per la prima volta nel 1805 presso un’isola del fiume Missouri, da J.C. Cowles. E che 55 anni dopo, il capitano ed esploratore William F. Raynolds ritrovò perfettamente invariato, nello stesso identico luogo. Struttura di cui non fu mai misurata l’ampiezza, benché possiamo presumere, nonostante tutto, che avesse mancato di raggiungere anche soltanto il record ufficiale registrato nel libro d’oro dei Guinness contemporanei, tale da far impallidire lo stesso costrutto artificiale dello Hueston Woods State Park.

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L’impressionante cicogna preistorica che sorveglia le discariche indiane

Ogni persona con un ruolo definito, ogni essere instradato al suo destino deciso dal grande schema delle cose. La suddivisione in classi della società indiana, fin dall’epoca di Vasco de Gama all’inizio del XVI secolo, fu immediatamente chiara ed apprezzabile in quanto utile agli esploratori europei, giunti nel subcontinente indiano con l’intenzione di commerciare, colonizzare, conquistare nuovi territori. Kshatriya: i guerrieri; Brahmani: gli intellettuali; Vaishya: i mercanti; Shudra: i servitori. E naturalmente loro, i Dalit o intoccabili, persone condannate per nascita a svolgere i mestieri che il sistema culturale di questi popoli insiste tutt’oggi a ritenere impuri. Aiutati tradizionalmente, in tali mansioni, da almeno una distinta figura dal mantello di piume bianche e nere, capace di comparire per le strade di Calcutta ogni qualvolta un cadavere giaceva troppo a lungo abbandonato in un vicolo o in prossimità del sacro fiume: l’essere chiamato hargila ovvero in lingua bengalese “il mangiatore di ossa” per la sua capacità di trangugiare col lungo becco simile a una spada e digerire nel grosso stomaco fino all’ultimo residuo più o meno commestibile di un povero defunto. 136 cm in altezza di media e fino a 5 Kg di peso, per questo uccello al tempo stesso disprezzato per il suo contegno simile a quello di un avvoltoio e tenuto in alta considerazione dagli amministratori locali, visto il contributo dato all’eliminazione di pericolose fonti di malattie infettive. Caratterizzato dal nome latino Leptoptilos dubius e un aspetto coerentemente bizzarro inclusivo di vistosa sacca pendula al di sotto della gola, non collegata all’esofago ma con l’unico apparente scopo di gonfiarsi e colorarsi di rosso durante la stagione degli accoppiamenti, la testa completamente glabra e le lunghe zampe biancastre, perché coperte quotidianamente di guano per l’antica pratica aviaria dell’urohidrosi, finalizzata a dissipare una parte del forte calore tropicale.
Ma è soltanto spostandosi di circa 500 Km a nord-est, fino alla regione di Assam ed in modo particolare sulle rive del lago Deepor Beel, presso la città di 800.000 abitanti di Guwahati, che già allora era possibile osservare la più grande concentrazione globale di questi alati visitatori, esteriormente simili al marabù africano e soprannominati dagli anglofoni adjuntant stork (cicogna aiutante di campo) con riferimento al relativo funzionario militare, per loro camminata marziale dall’incedere perennemente battagliero. Complice la progressiva riduzione degli habitat, ulteriormente agevolata dalla cattiva reputazione accumulata negli anni da questi uccelli spesso problematici ed innegabilmente ingombranti, la stragrande maggioranza dell’attuale popolazione rimasta di appena 1200-1800 esemplari si sarebbe ritirata proprio in questi luoghi, in prossimità di quella che al novero attuale costituisce una delle singole discariche più vaste di tutta l’Asia meridionale. Letterali chilometri quadrati di rifiuti, provenienti dall’intero stato di Assam e ben oltre i suoi stessi confini, quotidianamente visitati da uomini, donne e bambini abituati a sopravvivere mediante il laborioso (e pericoloso) riciclo di tutto ciò che può ancora mantiene un potenziale valore pecuniario, per quanto insignificante. Avendo nel contempo imparato a dividere gli spazi e relativi luoghi d’interesse con tali notevoli eredi dei dinosauri di un tempo, tanto imponenti quanto relativamente mansueti, a patto di rispettare il concetto inter-specie di una ragionevole sfera d’influenza. Un qualcosa di tanto maggiormente difficile da applicare, sulla sfera maggiore di un’intera nazione…

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881 Km/h: perché all’aereo telecomandato più veloce del mondo dovrebbe servire un motore?

Da qualche parte attraversando l’alto empireo dello scibile, una macchina straordinaria sfrutta e veicola le leggi della fisica scoperte dagli umani: consumando un combustibile ragionevolmente simile a quello dei razzi spaziali, l’aereo simile a una freccia taglia l’aria neanche si trattasse dell’affilata lama di una spada da samurai. L’acuto suono del suo motore, una turbina non più grande di una bottiglia da mezzo litro, annuncia la creazione e la modifica di un flusso ventoso, che percorrendo lo speciale spazio sotto le sue ali, lo solleva e spinge fino alla sua piccola destinazione. Piccola perché piccolo è anche l’aereo, essendo a conti fatti, solamente un modellino; un modellino controllato a distanza che raggiunge agevolmente i 750 Km orari. E se ora vi dicessi che l’RC Speeder “Inferno” full GFK e mezzi similari, di cui parlammo in queste pagine qualche anno fa, è stato largamente superato in prestazioni da un qualcosa di radicalmente differente, ovvero quello che costituisce a tutti gli effetti nient’altro che un ALIANTE soggetto ad eseguire gli ordini trasmessi da un radiocomando situato a terra? O per meglio dire, in specifiche regioni della Terra, dove le condizioni meteorologiche e del territorio riescono a costituire non più soltanto il potenziale ostacolo alla realizzazione del record bensì il sostegno di partenza basilare, e la vera condicio sine qua non, che può condurre un nome ad essere iscritto nel posto d’onore del libro dei record…
Sarebbe tuttavia riduttivo, ed in qualche modo dissacrante, inserire questi due apparecchi nella stessa linea ideale del progresso umano. Poiché l’impresa recentemente compiuta dall’americano Spencer Lisenby presso la montagna Parker in California non troppo lontano da Santa Ana è il più recente coronamento di un percorso intrapreso almeno dal remoto 2017, quando in una lunga e affascinante conferenza spiegava l’obiettivo della sua compagnia di consulenza aeronautica, mirato a veicolare e mettere a frutto una specifico approccio all’esigenza fondativa di quest’intera specifica branca della tecnologia applicata: far volare qualcosa, veloce e lontano, possibilmente col dispendio minimo di energia frutto di un combustibile (che aumenta il peso) o di una batteria (che aumenta DI MOLTO il peso).
Ecco dunque, nel memorabile 19 gennaio recentemente attraversato, il veicolo che decolla direttamente dalla mano del suo aiutante, o per meglio dire “viene lasciato andare” vista l’evidente assenza di qualsivoglia tipo di elica o ugello di scarico del turbocompressore. Trattasi in effetti, di una dimostrazione pratica delle straordinarie potenzialità nascoste in quello che prende il nome di volo veleggiato dinamico, significativa scoperta per gli umani di questi ultimi anni, teorizzata e messa in atto per la prima volta dalla leggenda dell’aeromodellismo Joe Wurts negli anni ’90. Ma che altri piumati esseri di questo pianeta, da un tempo assai più lungo, avevano conosciuto e messo a frutto al fine di ridurre il dispendio energetico durante le lunghe migrazioni da un lato all’altro degli oceani distanti. Immagino sia chiaro, a questo punto, ciò di cui stiamo parlando: le tecniche di volo dell’albatross urlatore (Diomedea exulans) e molti altri, applicate a un semplice pezzo di fibra di vetro, legno di balsa e plastica. Sfruttate per raggiungere una cadenza di Mach 0.71, ovvero in altri termini, oltre due terzi della velocità del suono. Incredibile, a dirsi…

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