L’erronea tendenza talvolta dimostrata dai non conoscitori dell’Oriente ad accomunare le culture di Cina e Giappone, sovrastimando l’importanza di specifici fattori, non ha un metodo più rapido per essere dissuasa che portare i suoi sostenitori all’interno di un ristorante di ciascuno dei rispettivi paesi, affinché il semplice senso del gusto possa assolvere direttamente al ruolo di una lunga e farraginosa spiegazione. Già, poiché laddove l’arcipelago nipponico presenta stili regionali di una dieta per lo più omogenea, composta da una gestalt relativamente prevedibile di carne, pesce e assai riconoscibili verdure, ciò che apprezzano i gastronomi cinesi, più di qualsiasi altra cosa, non è affatto facile da capire. Questo poiché una simile nazione, da sempre considerata “fonte unica” di tanti aspetti trasversali ritrovati nelle altre due principali culture dell’Estremo Oriente (Giappone e Corea) fu da sempre un crogiolo d’influenze assai diverse tra di loro, facendo fede al proprio nome auto-assegnato di Regno di Mezzo (Zhongguo). Una capacità d’integrare influenze esterne ai propri territori, questa, certamente riconfermata dalla presa in considerazione storica di almeno due delle sue più lunghe, potenti e significative dinastie: quella mongola degli Yuan (1279 – 1368) e l’ultima ad aver governato prima dell’istituzione della Repubblica Popolare, posta in essere dal popolo settentrionale dei Manciù-Qing (1644 – 1911). E sarebbe stata dunque proprio quest’ultima, per tornare quindi al nostro discorso gastronomico di giornata, a saper trasformare i sapori provenienti da una tale terra fuori dai confini abitati dalla maggioranza degli Han, in un’arma politica e diplomatica dallo straordinario potere di persuasione, grazie all’iniziativa del suo quarto, fondamentale imperatore.
Conquistatore, letterato, detentore di un’egemonia assoluta per tutto l’estendersi del suo interminabile regno (61 anni, dal 1654 al 1722) l’uomo passato alla storia come Kangxi seppe dimostrarsi capace di molti miracoli. Forse il più urgente e risolutivo, proprio quello di saper trovare un’intesa tra la nuova burocrazia istituita dai suoi insigni predecessori, composta prevalentemente da esponenti del suo stesso popolo, e le strutture pre-esistenti poste in essere dall’ormai decaduta dinastia Ming, saldamente mantenute nelle mani del popolo degli Han. Un traguardo raggiunto, secondo una leggenda, proprio in occasione del suo 66° compleanno, dietro le alte mura della Città Proibita di Pechino, grazie a un evento sociale quale mai, prima d’allora, se n’erano potuti vedere all’interno del Celeste Impero. Il cui nome, totalmente descrittivo e presumibilmente attribuito a posteriori, fu Manhan Quanxi. Da una contrazione capace di significare, letteralmente, “Il completo banchetto Manciù-Han” istantaneamente riconoscibile, oggi, da qualsiasi nativo cinese come un episodio storico di primaria importanza, grazie alle infinite rievocazioni, citazioni e riferimenti chiaramente inclusi nella nostra cultura contemporanea. Per non parlare di tutti quei ristoranti, di vari livelli e quantità di stelle Michelin, che annualmente si propongono di ricostruirlo, nonostante molti degli ingredienti utilizzati all’epoca siano oggi totalmente e letteralmente irraggiungibili per qualsiasi iniziativa di cucina. Già, perché la prima volta che ci si approccia alla lista prototipica delle oltre 300 portate previste da questo pasto tradizionale, sarebbe comprensibile pensare di trovarsi, piuttosto che di fronte ad un menù, a conoscere direttamente l’intero elenco di ospiti di un impossibile zoo degli animali a rischio d’estinzione o già da lungo tempo defunti…
Cina
L’effetto scenografico di un palazzo dal sipario rotante
La cosa più difficile, per un museo, è convincere la gente di passaggio a varcare e il proprio ingresso principale, per venire a conoscere e fruire dell’arte esposta al suo interno. Perché un conto è spendere una parte del proprio budget per creare campagne pubblicitarie, finalizzate ad attrarre l’attenzione di coloro che comunque, nella maggior parte dei casi, avrebbero visitato l’ultima mostra del proprio campo dello scibile preferito. Tutt’altra cosa, allargare il giro dei propri ospiti occasionali, grazie a una qualità innata che potremmo paragonare all’avvenenza o il fascino di un individuo umano. Questione affrontata, storicamente e tradizionalmente, da molti edifici d’interesse pubblico mediante l’utilizzo di elementi decorativi della facciata, grandi vetrate che lasciano intravedere l’interno, magari persino personaggi incaricati d’attirare l’attenzione dei passanti, trasmettendo a pieni polmoni l’interesse potenziale del quibus collocato all’interno. Ciò detto vuole il caso che nel mondo attuale, molti di questi metodi abbiano ormai perso parte della propria efficacia. Dinnanzi al continuo bombardamento delle immagini, concetti e suoni di un’odierno agglomerato urbano: come potrebbe risultare ancora possibile, dunque, riuscire ad emergere dal maelstrom dell’irrilevanza? L’architetto e designer di fama internazionale Thomas Heatherwick, lavorando assieme ai colleghi della Foster & Partners di Londra per l’ammodernamento di un intero lotto lungo il principale fiume cittadino di Shanghai, ha dimostrato all’inizio del 2019 un differente approccio a questo annoso problema: rendendo il Fosun Art Center stesso, coi suoi tre piani di surreale magnificenza, protagonista indiscusso della sua storia. “Sua” intesa come quella fatta comparire, dinnanzi allo sguardo dei succitati osservatori d’occasione, mediante l’esecuzione ogni due ore di un particolare e inconfondibile spettacolo; quello offerto da una serie di elementi tubolari bronzei, simili a canne di bambù ma anche ai componenti invertiti di un gigantesco organo da chiesa, indotti a ruotare lungo una rotaia tutto attorno all’edificio, durante l’esecuzione a volume perfettamente udibile dalla strada di un qualche tipo di canzone o melodia a tema. Il che ottiene una serie di effetti altamente desiderabili, a partire da quello garantito dall’inclinazione diseguale di una simile cortina, capace di agire in tal senso come una sorta di sipario teatrale o velo degno di un prestigiatore, che ora mostra, ora nasconde, quanto è situato dietro la sua stessa verticale presenza.
L’analogia perseguita, dunque, risulta principalmente essere quella del palcoscenico di una vera e propria rappresentazione, osservato per un tempo superiore ad Uno da coloro che non sembrano aver di meglio da fare, nella speranza spesso ricompensata che qualcosa di Magnifico possa riuscire a palesarsi dinnanzi alle proprie palpebre rigorosamente ed immutabilmente sollevate. Ma c’è anche una ricerca estetica, nei frequenti momenti statici dell’edificio, di voler sembrare un qualcosa di evidentemente ed innegabilmente Cinese, come una corona o il copricapo tradizionale dell’Imperatore Celeste, le cui nappe ricadevano enigmatiche dinnanzi all’inconoscibile viso. Affinché soltanto chi ne fosse realmente degno, in forza di un sincero desiderio di acquisire tale conoscenza, potesse realmente dire di aver conosciuto l’uomo dietro quell’ubiquo paravento…
L’uccello asiatico che incarna i princìpi contrapposti dell’esistenza
In origine fu il verbo e la parola. Una parola, in particolare: Fuoco. Ardente di passione, come quella dei due esseri primordiali nonché unici di questo mondo, la Dea-serpente Nüwa e il primo essere umano, colui che sarebbe diventato celebre, abbastanza presto negli alterni sentieri della storia, come l’Imperatore Fuxi. Dei quali si narra che vivessero sulla cima dell’alta montagna di Kunlun (l’odierno Huashan) poco prima che le fiamme accese da ciascuno per scaldarsi si unissero in un’unica vampata impressionante, alla luce della quale i due decisero, d’un tratto, di sposarsi. Scelta questa certamente inaspettata, considerato come fossero in effetti fratello e sorella, entrambi figli del gigante Pangu… Ma del tutto imprescindibile, per dar la vita a tutte le creature viventi, derivanti dalla loro unione. Ora, l’effettivo aspetto di Fuxi fu a lungo oggetto di discussione nella tradizione mitologica cinese: busto d’uomo e coda di rettile, secondo alcuni, mentre nell’opinione d’altri egli sarebbe anatomicamente indistinguibile da noi, in quanto personaggio storico vissuto effettivamente all’incirca 4 millenni fa, responsabile tra le altre cose di aver inventato la caccia, la pesca, l’addomesticazione degli animali e l’arte della cucina. Sotto il sigillo simbolo del proprio regno, rappresentato sulle tavolette, in opere scultoree e pitture tombali, dalle ampie ali, il collo sinuoso e la riconoscibile pelata vermiglia sulla cima di una testa coperta di piume. Caratteristica dell’animale noto in tali luoghi come Dāndǐnghè (丹顶鹤) ma che noi siamo soliti chiamare Grus japonensis o gru coronata rossa.
Al punto che nell’iconografia tradizionale, Fuxi viene spesso raffigurato a cavallo di uno di questi uccelli, mentre è intento a far ritorno temporaneamente nelle regioni dell’Empireo ove incontrò in origine la sua divina signora. Al pari dei molti Immortali riconosciuti dalla filosofia Taoista, che ne avrebbero seguito successivamente l’esempio. Ben poche creature appartenenti al regno naturale possono, del resto, vantare la stessa rilevanza folkloristica e nell’intero mondo dell’arte di una delle più grandi e rare appartenenti a questa famiglia d’uccelli, eternamente raffigurata o descritta nelle creazioni d’ingegno dei tre i paesi dell’Estremo Oriente: Cina, Corea e Giappone. Ove in merito a questo essere, nei fatti uccello molto longevo capace di raggiungere facilmente i 70 anni di età, si era soliti affermare che potesse sopravvivere oltre un millennio, acquisendo gradi di saggezza totalmente ignoti ai comuni abitanti della Terra. Nella cosiddetta terra di mezzo (中文 = Cina) il motivo della gru coronata in particolare iniziò a ricorrere nei bronzi cerimoniali delle due prime dinastie Shang e Zhou, prima di trasformarsi nel letterale filo conduttore di un’intera tradizione che nacque come religiosa, per poi diventar quasi scientifica nella ricerca di un metodo per prolungare la propria vita. Quella secondo cui i due primi esseri, Nüwa e Fuxi, avrebbero costituito la letterale equivalenza del “dare/ricevere” ovvero “passivo/attivo”, “negativo/positivo” e così via a seguire, come rappresentato al centro del diagramma degli Otto Simboli (o trigrammi) dell’Imperatore, un cerchio con due forme che s’inseguono a vicenda. Una bianca e l’altra nera, esattamente come le piume contrapposte dell’uccello che tanto a lungo, avrebbe volato sui paraventi. Al punto che oggi, in molti, sarebbero fin troppo inclini a definire un tale essere come soltanto leggendario, anche considerata l’infrequenza pressoché totale con cui capita di osservarlo dal vero. Eppure, difficile negarlo: la gru coronata vive ancora…
L’enorme stella marina costruita per il 70° anniversario della Repubblica Popolare Cinese
Quale ondata di marea, quale tempesta, quale vento di bonaccia ha trasportato il frutto di un’Oceano fuori scala fino alle propaggini meridionali della Megalopoli, con sei tentacoli a raggiera che si allargano nelle altrettante direzioni? Grossi organi per catturare la sua preda, con la bocca trasparente al centro, spalancata nell’attesa dell’ora di cena. Mentre piccoli animali alati, ciascuno con la coda riflettente in posizione verticale verso il cielo, sembrano intenti a cercare protezione tra le ciglia di quegli arti. Traendo nutrimento dai microrganismi che quest’essere lascia transitare, l’uno dopo l’altro, verso il cielo della limpida (o nebbiosa) Libertà. Ma le apparenze, come a volte capita, possono trarre in inganno. E dove un wormhole verso luoghi oceanici distanti può sembrare averci messo lo zampino, in ultima analisi, potremmo ritrovare il segno di una mano asiatica, artificiale ed attentamente “motivata” sin dall’anno 2011, quando fu decretato che attorno alla gargantuesca creatura spiaggiata scorressero otto piste di decollo civili, oltre ad una militare (dài a Cesare..)
Osservando il progredire di un’impresa pubblica verso l’avvicinarsi di un significativo evento, è possibile comprendere le numerose maniere in cui un simile lavoro può essere accelerato, senza per questo perdere la necessaria attenzione nei dettagli. Mentre il tempo necessario a scaricare, collocare e implementare i materiali si trasforma in quello che originariamente sarebbe servito solo per la prima di queste tre operazioni, e la struttura necessaria inizia a prendere forma, sorgendo gradualmente innanzi ai nostri occhi non del tutto preparati. Dieci, cento, mille pali delle fondamenta. E molti metri di soffitto dall’andamento stranamente sinuoseggiante: costituisce tutto questo, se vogliamo, la prova maggiormente significativa per la rinomata efficienza “a discapito di ogni possibile ritardo” che il mondo tende ad associare alla nazione e alla cultura cinesi. Eppure non è solo una questione d’orgoglio, questa di arrivare a completare il nuovo aeroporto di Pechino-Daxing giusto in tempo per le attese celebrazioni del settantesimo anniversario da quando Mao Zedong, investito dell’autorità derivante da aver sconfitto in battaglia le truppe del partito nazionalista Kuomintang, dichiarò conclusa la sofferta liberazione del suo grande paese, dando inizio a una nuova lunga marcia mentre l’eco dei cannoni si perdeva in lontananza, esattamente alle 15:00 del primo ottobre 1949. Bensì l’essenziale necessità di poter disporre di un hub di collegamento realmente efficiente per la prima volta dopo molte decine di anni, al fine di accogliere gli ufficiali di governo, le personalità celebri e i numerosi turisti in visita desiderosi di partecipare alla festa, dopo le cinque decadi attraverso cui il precedente aeroporto di Pechino-Capitale ha infranto tutti i record d’inefficienza burocratica e lentezza procedurale. Senza che a nessun particolare individuo, nei fatti, fosse possibile attribuirne la colpa: dopo tutto stavamo parlando, fino all’inizio della settimana scorsa, del secondo maggior scalo al mondo per numero di passeggeri, situato in un’area d’importanza strategica e governativa decisamente superiore a quella dell’Atlanta-Hartsfield-Jackson negli Stati Uniti, e frequentato in questo da oltre 100 milioni di persone interessate alla capitale della Cina nel solo anno 2018.
Verso un primato che ora non sarà più ragionevole pensare di perseguire, visto il completamento della nuova appariscente struttura, che si è comunque già guadagnata un posto di pari prestigio nel grande albo dei record dell’aviazione: quello di maggior aeroporto con un singolo terminal al mondo. Il che, considerati i circa 72 milioni di passeggeri annui previsti entro il concludersi del prossimo ciclo di stagioni, dovrà necessariamente aver comportato soluzioni tecniche decisamente fuori dal comune…