L’antica arte delle aragoste articolate

Ohtake Ryousuke_aragosta

L’armatura demoniaca di un guerriero samurai di larga fama, oltre a proteggerlo, molto spesso lo rendeva un essere al di fuori dell’umano. Stanco dopo la campagna vittoriosa contro i barbari, seduto con le gambe incrociate in avanti, una mano guantata e vermiglia sul ginocchio sinistro, egli avrebbe preso con la destra la bottiglia di sake. Mentre l’aiutante di campo, accorso al suo fianco, rimuoveva i suoi diversi orpelli battaglieri. La maschera menpo con il volto stravolto dall’ira, laccata in rosso e guarnita da folti baffi bianchi, assai probabilmente in pelo di tanuki centenario. L’alto cimiero dal rostro acuminato, le corna di bue e la tenaglia di un coleottero lucanide di ferro, sormontato dagli stemmi splendidi del sacro clan. Le spalliere sode, intrecciate di corde variopinte disposte in eleganti nodi ornamentali. E la corazza brunita dalla polvere da sparo… Ma non era un tengu costui, ovvero il demone della montagna, né l’emissario dei fluviali kappa, creature che ghermiscono i bambini disattenti. Si trattava piuttosto di un artefice, un letterato ed un maestro nell’arte sublime della guerra. Ma i tempi cambiano e tolta questa piccola questione, di conquistare una nazione tanto turbolenta, restava tutto il resto. Ovvero la capacità di ricreare la natura, per il tramite di mani agili e sapienti. Proprio questo, alla fine delle guerre, sarebbe stato il grande lascito della sua casta di guerrieri. Beviamo, dunque, assieme a lui e godiamoci questo momento, prima che Ieyasu Tokugawa, il grande unificatore, ponga fine a un tale sogno.
Chi è il samurai degli abissi? Ripescata direttamente dal profondo Mar del Giappone, questa creatura sembra pronta per il tavolo di un ristorante. Ma posta crudelmente nella pentola che bolle, sapida aragosta, lei non fischierebbe. Resterebbe immobile e meditabonda, perché è non è viva, né morta, bensì fatta con il legno di bosso ed ossa di balena, per le antenne. Centinaia, migliaia di pezzi interconnessi, finemente lavorati, che gli permettono di muoversi come la sua biologica corrispondenza. Si tratta dell’ineccepibile lavoro dell’artista 25enne Ohtake Ryousuke, riconducibile alla tradizione degli jizai okimono, figurine decorative di animali come insetti, crostacei, rettili o uccelli. Qualche volta anche di esseri fantastici. Simili creazioni costituivano, verso la metà dell’epoca Edo (1603-1868) e poi successivamente in quella Meiji (1868–1912) l’orgoglio degli armaioli di più larga fama, ritrovatisi d’un tratto in un paese in pace, senza ottimi presupposti di guadagno. Il primo esempio di quest’arte, misteriosa nelle origini, si fa risalire a un grande drago metallico con la firma di Myochin Muneyasu, datato al 1753. L’oggetto, che poteva aprire la bocca, muovere le zampe e assumere ogni posizione immaginabile con la sua coda, era stato concepito come punto focale di un’intera residenza nobiliare. Simili creazioni, per la cultura giapponese, avrebbero infatti trovato una sicura collocazione nella nicchia del tokonoma, l’elemento architettonico a coronamento del soggiorno. In quest’area, entro la quale mai nessuno avrebbe messo piede, che gli ospiti potevano guardare solo di soppiatto per non sembrare sgarbati, si trovavano gli oggetti di maggiore pregio della casa. Dipinti, opere calligrafiche, bonsai o sculture di diverso tipo e materiali. Quest’ultime costituivano, tradizionalmente, una versione maggiorata dei comuni netsuke, i piccoli contenitori per profumi, medicine o alte sostanze, intagliati nella forma di animali, immagini buddhiste o scene naturali. Ma privi di funzione utile: pura apparenza, straordinaria. Chi possedeva tali cose invidiabili, usava definirle con il termine okimono, da 置 (oki – ornamento) e  (mono – oggetto). Tradizionalmente, si trattava di creazioni inerti.
Finché non giunse l’opera di chi, colpito economicamente dalla pace della dinastia dei Tokugawa, voleva diversificare il portafoglio. Mettendoci il jizai (自在) ovvero, la libertà di movimento.

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Chi fabbrica gli stemmi del Trono di Spade

Stark Emblem Rexton

Il regno del fantastico si concretizza grazie alle regioni fluide della mente. Le immagini, non i ragionamenti, danno forma ai territori straordinari dell’ambito letterario. O di quello cinematografico e televisivo. Nel più recente e significativo caso, ce ne sono sette. Regni, non semplici feudi, disseminati in senso longitudinale; dal Tropico del Cancro a un succedaneo Polo Nord, popolato di creature innominabili e perverse. È un mistero, questo, che avviluppa ormai da anni numerosi appassionati, tutti coloro che aspettano con ansia il moto lasco di una penna celebrata, quella di George Martin, scrittore: perché succedono determinate cose? Chi è il mandante di quello oppure quest’orrido delitto? Di chi è figlio Jon Snow? E com’è davvero il suo volto, quello dei diversi fratellastri, quanto svettano in effetti le alte torri del Castello Rosso… I migliori autori abbozzano, non spiegano del tutto. È bello non sapere quasi niente, mentre si leggono parole di una tale caratura! È questo uno stato di grazia, che permette di spaziare più liberamente. Poi è arrivato il telefilm, un vero colossal per la tv. Con tutto il suo carico di forme, raffigurazioni, sembianze chiaramente definite. Il che, se da una parte toglieva i presupposti dell’inestimabile invenzione immaginifica, di chi stava leggendo in-fieri questa serie di romanzi (ancora incompleta) nel contempo apriva il ponte levatoio ad un diverso tipo di ricchezza. Il merchandising derivato, per un pubblico di soli adulti.
Rendere giustizia ad un mondo tanto chiaramente collocato in tempi antichi e truci, non è facile. Anzi, tramite le correnti metodologie commerciali, praticamente impossibile. Entrino, dunque, i moderni artigiani dell’empireo digitale. Tutti coloro che, aiutati dall’alta visibilità che si guadagnano le cose belle, nonché sfruttando a dovere gli strumenti del web marketing, riescono a tenersi attuali commerciando in spade, scudi ed armature. Più altre strane cose, in questi giorni che, spesso e volentieri, gettano uno sguardo indietro, verso gli antenati medievali. Vedi ad esempio questo stemma, fabbricato tramite la tecnica toreutica dello sbalzo, presso l’officina Rextorn Metalwork, sita in Polonia. Sembra quasi di sentire il ringhio della scagliosa bestia, l’enorme metalupo degli Stark. Questa splendida creatura, una delle poche concessioni di Martin verso le tematiche chimeriche della fantasy convenzionale, fuoriuscita dritta dritta dai pericoli della preistoria, che costituisce lo stendardo di una nobile ed immaginifica casata. Qui rappresentata, se vogliamo, con metodi davvero degni del suo nome.
La tecnica dello sbalzo, talvolta definita con il termine francese repoussage, prevede che una sottile lastra di metallo malleabile venga riscaldata fino al calor rosso. Normalmente si usano l’ottone, lo stagno, l’oro, l’argento oppure, come in questo caso, il rame. Il materiale viene quindi posto su un’incudine e battuto sistematicamente, tramite l’apporto di diversi tipi di ceselli, larghi e stretti, angolari o stondati. Ciò che ne risulta, se l’artista è veramente bravo, potrebbe costituire l’equivalente visuale di un bassorilievo ligneo o marmoreo, ma molto più leggero e maneggevole, abbastanza resistente da essere trattato con ossidi e resine, piuttosto che semplici vernici. Un’approccio di rifinitura, quest’ultimo, qui usato tanto abilmente, da riuscire a donare alla creazione una patina scura e lucida al tempo stesso, capace di sottintendere tutta la cupa truculenza e la spietatezza della storia che ha ispirato questo manufatto. E l’inverno…

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Stampare su legno dal PC di casa

Inkjet wood printing

Purché la stampante sia del tipo inkjet, ovvero a getto d’inchiostro. Non è chiaro quando sia successo, che le parti si scambiassero tra loro. Stando ai superstiti dei vecchi tempi, siano questi libri o autentiche persone, il verde si è ridotto col procedere degli anni. C’erano una volta le foreste, qualche rigogliosa giungla, selve, macchie, boschi e schiere di conifere ammassate; talmente tanti arbusti c’erano, che persino dopo l’invenzione della carta, ne restavano diversi. E quelli lì, abbattuti e fatti a lastre incise, si usavano per dare corpo ai lumi ed ai pensieri. L’equilibro del mondo dell’arte si reggeva sugli opposti: polpa da una parte, cellulosa in quella opposta. Poi di nuovo insieme in un romantico racconto visuale, attentamente tramandato. Era, quella, l’epoca della xilografia. L’inchiostro scorreva libero nei fiumi, non ancora intrappolato nelle pratiche cartucce di un qualsiasi centro commerciale.
Di carrelli, nella stampa d’oggi, ce ne sono due: il secondo è quello che rincorre il foglio sotto lo sportello in plastica, dell’apparecchio digitale collegato in USB. Come cambiano le cose! Ormai non si dipinge, non si intaglia attentamente, non si usano le presse con la vite senza fine. Ciò vuol dire: niente legno. Solo un tasto, il gesto e la parola. La prassi è pure troppo chiara. Si trae l’immagine da un sistema rigido che non ammette cambiamenti: dallo spazio digitale ci si sposta sulla carta, senza intermediari. A meno che qualcuno non ci metta….L’intenzione. Steve Ramsey è il video-falegname che, in questo particolare frangente, ci dimostra una particolare proprietà delle moderne macchine da stampa che teniamo in ogni casa. Stiamo parlando delle Epson e Hp entry-level da qualche decina d’euro, meno care dell’inchiostro stesso. Apparecchi accessibili, eppure più versatili di quanto si possa pensare. Cosa sta facendo, questo hacker dalle mani multiformi? Ha preso un foglio di etichette per i pacchi, li ha staccati tutti quanti. Ah, che spreco di adesivi!
E ad ogni modo, resta il retro. Quella carta liscia, floscia e maneggevole, di un insignificante color crema. Un residuo che la prassi porterebbe a gettar via. Ma la prassi, ebbene, non è il campo degli artisti.

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Costruisce il suo coltello dalle sospensioni di una Jeep

Trollsky Jeep

Chi ben comincia è già a metà dell’opera. E non c’è modo migliore di approcciarsi ad essa, che scegliere il perfetto punto di fusione. Trollsky, forgiatore polacco di moltissimi capolavori metallurgici, ci dimostra i meriti del vecchio modo di dire applicandolo alla dinamica dei materiali. Nella balestra di un’automobile c’è un particolare tipo di acciaio armonico, resistente ma flessibile, in grado di tenere il filo come poche altri. Dunque lui, dallo sfasciacarrozze, non ci è andato solamente per far visita, ma con un attrezzo già formato nella mente. Mancava solo una giornata di rumore. Martellando su di un ferro che risplende, quel signore dei coltelli!
Viaggiatori di terre inesplorate si aprono un sentiero tra le fronde. Senza asfalto. Niente macchine con quattro ruote. Resta loro la risorsa dell’ingegno. Camminando innanzi faticosamente, nella mano stringono il machete; la sciabola subtropicale che ha sfrondato mezzo mondo. Destra, sinistra, un fendente dopo l’altro, disboscando portano la civilizzazione. Ovvero il metodo, la procedura che delimita le circostanze: smantellare l’impossibile, rimettendolo in sequenza. Il tempo può essere lavoro, denaro, attrezzo, testa-di-martello, lama solida, persino sacro carburante. Solo se hai presente come fare. Altrimenti, vince la natura, tutto resta come prima. Serve il giusto apporto di creatività.
Immaginate un fabbro di altri tempi, ante-storico, per dire, che dovesse fabbricarsi un arma o uno strumento agricolo, però partendo dai concetti primitivi. Costui, in qualche modo empirico, avrebbe già compreso che il metallo viene dalle viscere del mondo. Dunque, battendo faticosamente sulle pietre, si sarebbe guadagnato una pepita del prezioso minerale ferro. Dieci ore per scavarlo, nella forma di un’ammasso di pietrisco e impurità. Come procedere, a quel punto?

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