Anche gli AH-64 Apache richiedono pazienza

Apache 30mm

Quasi inconcepibile, che sia così difficile da fare. L’avevate mai visto in questo modo? Ecco un armiere d’aviazione, forse americano, presso un non meglio definito campo base, chissà dove & chissà quando, che dimostra l’alta dose di manualità che serve per immettere i minacciosi pallottoloni nel meccanismo del cannone a canna singola da 30 mm M230, dell’elicottero da guerra più famoso al mondo, in circostanze che parrebbero, allo sguardo, solo leggermente al di fuori della prassi quotidiana.
È una sequenza indicativa, sofferta e significativa. Che dimostra come anche un sistema d’arma pseudo-futuribile come questa mitizzata torretta sub-veicolare, in grado di colpire bersagli piccoli da una piattaforma mobile in aria, rapida e letale, ricevendo dati quali la scansione ad infrarossi notturna (FLIR) e il puntamento laser del sistema TADS […] sia fondamentalmente progettata dagli umani, ed in quanto tale, soggetta a problematiche istantaneamente riconoscibili, allo sguardo di chi vive con la tecnica applicata. Come noi tranquilli, rilassati civili (quasi sempre) finché non s’inceppa, in un dì parecchio concitato, il rullo demoniaco della stampante laser dell’ufficio. E non entrano più i fogli, sparisce quel risucchio magico e tutti s’incastrano candidi e indefessi, l’uno dopo l’altro, mentre si esaurisce il tempo limite ed aumenta il nervosismo! Ah, ve l’immaginate, la stessa situazione, in volo sopra i ripidi crepacci di un dismesso campo di battaglia? Mentre vi suona nell’orecchio il trillo dell’avionica di bordo, sonoro ed insistente, a segnalarvi che un sistema d’arma fissa vi ha puntato, e Colui non voglia, potrebbe pure funzionare? Non è che la guerra sia una gara a chi subisce meno guasti tecnici imprevisti. Ma, talvolta così pare…
Quindi tanto meglio, far le cose bene: “Chi non ha buona testa, ha buone gambe!” Ovvero se dimentica, poi torna indietro. Ma dovesse dimenticare la cosa maggiormente inappropriata, ovvero le chiavi di casa, saranno affari suoi. Quando decolli da un FOB (Forward Operating Base) in un vortice di sabbia e piccoli detriti, sotto un’elica rabbiosa e verso gli obiettivi di missione, l’M230 è il tuo fucile. La tua chiave di volta per tornare a terra tutto intero. Ce ne sono molti come lui, ma quello è il tuo. Il tuo fucile è il tuo migliore amico, la tua vita. Devi dominare il tuo fucile come domini la tua vita (etc.etc..) Eccetto che… Naturalmente, non puoi dominarlo!
Perché sei chi lo conduce con la cloche, oppure lo punta in giro dalla sua console, mica il tecnico che si occupa di caricare l’arma. Chi ci capisce di una tale roba? Nei settori della guerra di supporto, ovvero tutto quello che non è la pura e dura fanteria, c’è sempre una vasta squadra dietro ciascuna missione, della quale, soltanto una parte giunge fino al fronte. Gli altri assistono e conducono l’idea (di distruggere il bersaglio). Il che davvero appare chiaro, nell’interessante video della carica del presente cannoncino. Che comunque, secondo alcuni commenti online, qualcosa che non andava ce l’aveva eccome…

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Elicottero effettua doppio giro della morte

Elicottero effettua giri della morte

Sembra quasi un modellino. Internet è ricca di testimonianze video sulle peripezie degli appassionati del volo radiocomandato, in cui gli antenati del moderno drone, gli elicotteri lillipuziani, compiono evoluzioni simili a quelle di una piuma trasportata da un ciclone. Qualcuno chiami Forrest Gump! Strumenti straordinari, questi folli frullatori, dalle lame affilatissime, senza posa e che continuano a stupire, soprattutto quando volano…Così. Questo, in particolare, pesa circa 3 tonnellate, forse poco meno. Non è in effetti un semplice giocattolo ma un vero mezzo bellico: l’elicottero Westland Lynx, che qualche tempo dopo aver riconquistato le sofferte isole Faulkland, nel 1982, si ritrova ormai impegnato nell’annuale dimostrazione acrobatica della città di Abingdon sul Tamigi, centro abitato tra i più antichi d’Inghilterra, famoso soprattutto per il suo campo d’aviazione militare. Meglio stupire che sparare, per conquistare l’opinione pubblica! A partire dal 2000, ogni mese di maggio, qui si riuniscono i migliori piloti della RAF e della Royal Navy, con l’obiettivo dichiarato di coinvolgere i presenti, tenere alto il nome del paese e perché no, affascinare qualche giovane mente in età da reclutamento, perché scelga d’inseguire i propri sogni tra le nubi. Come biasimarli…
Pochissime persone al mondo, di qualunque nazionalità, hanno mai effettuato simili capriole, sfidando i limiti dell’aeronautica e del senso comune. L’agile Lince, mezzo volante che per pura coincidenza condivide il nome con il nostro equivalente a quattro ruote dell’Humvee (l’Iveco LMV) decolla in un attimo, sale quasi in verticale, si orienta a candela e poi, incredibilmente, per un breve istante, si ritrova a testa in giù. Il pericolo del volo invertito, soprattutto a bassa quota, non può essere sopravvalutato, neanche in un comune aereo. Figuriamoci, dunque, a bordo di un dispositivo come questo, che sfrutta la portanza di quattro sciabole da samurai e un piccolo rotore, simile allo shuriken di un ninja del futuro.

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Scansatevi, passa il gatto robotico guerriero

Wildcat

La voce circola tra gli stanchi soldati dell’accampamento, reso umido dallo scioglimento della calotta artica settentrionale: “Piccolo diavolo quadrupede, che corre velocissimo nel sottobosco…” E nessuno, per sua fortuna, l’ha mai visto bene. Si dice che abbia denti d’acciaio, scaglie impervie e occhi di brace, questa terribile creatura dell’armata antagonista, assemblata in fabbriche sotterranee, per il tramite di altre strane macchine, ancor più distanti da ciò che possa normalmente dirsi umano. E le sentinelle del turno di notte, che puntano la torcia fra gli alberi con mano tremante, cercano di udire quel suono fin troppo conosciuto, araldo di eventi tremebondi. “Che diavolo di guerra è questa?” sussurra una di loro, all’indirizzo del suo commilitone, la sigaretta floscia che pende dalla bocca, bagnata di sudore “Contro mostri rasoterra, che non dormono, non hanno paura, non si ritirano mai…” In un’epoca passata, anzi, in questo nostro tempo (perché stiamo gettando uno sguardo d’ipotesi verso un distopico futuro, non fosse ancora sufficientemente chiaro) si combatteva fra uomini, tutti uguali almeno in una cosa: l’attenzione per la propria preziosa incolumità. Controintuitivo è il processo attraverso cui, quanto più si esaurivano le risorse del pianeta, tanto aumentava la produzione collettiva del cosiddetto drone da combattimento. “Di cielo, di terra e di mare” dapprima telecomandati: aeroplani lanciarazzi, subordinati alla volontà di un pilota dentro una scatola, cautamente rimosso dall’azione, che potesse compiere i suoi pattugliamenti rovinosi, senza il rischio di farsi coinvolgere direttamente. E poi, giorno dopo giorno, figli di ferro sempre più automatici, scaltri e intelligenti.
2050: costruita la fabbrica SkynetOD, sotto i ghiacci gelidi dell’Artico. Un massiccio sforzo internazionale, finanziato dai paesi più forti del nuovissimo ordine mondiale, che avrebbe garantito la sicurezza eterna contro ogni fonte di aggressione armata, chiunque fosse il suo mandante. All’interno della base, 10.000 soldati robotici del tutto senza sentimenti, privi del concetto di confini nazionali.
2060: crollo repentino dell’economia mondiale, con esaurimento quasi contemporaneo del petrolio e dell’uranio. Aumento drastico della temperatura, a causa dell’effetto serra. I droni della Terra vengono decommissionati, per mancanza di fondi. SkynetOD chiude le sue porte, per sempre?
2075: nubi fosche all’orizzonte. Continenti semisommersi, città ventose prive di elettricità, rivolte diffuse nelle strade, voci a dir poco preoccupanti. Un eschimese in fuga irrompe fra i palazzi di ferro e cemento: “C’è un bagliore a nord, di tenaglie dentate, puntatori laser e…” Venne la sanguinosa battaglia dell’isola di Greenland, fatta di fuoco, fiamme e lunghe veglie notturne al cardiopalma. I demoni correvano nella notte.
“J-Jimmie, l’hai sentita l’ultima?” Spegne la sigaretta, la getta a terra. “Pare che questo affare, il gatto robotico da battaglia, sia un progetto piuttosto vecchio, addirittura del 2013. Il primo prototipo fu fatto dagli Stati Uniti. Te la ricordi Boston? Ci vivevano i miei nonni” Silenzio. “Jimmie…?! La mia torcia n-non…Cos’è questo ronzio?”

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Il variopinto biathlon dei carri armati

Tank Biathlon

Mettere a segno un colpo contro l’obiettivo, costi quel che costi, questo è lo scopo ultimo del carro armato. Qualcuno potrà dire: “Proprio come uno sciatore ai giochi olimpici invernali.” E quel genio delle analogie, molto probabilmente, sarebbe il perfetto comandante russo. Nei campi brulli fuori dal centro abitato di Alabino, distretto periferico di Mosca, ci sono quattro carri armati dell’iconico modello T72-B, grande trionfo ingegneristico dell’epoca sovietica: verde sbarazzino, giallo solare, rosso fuoco e l’ottimo color blu dell’oceano sconfinato. Corrono, scagliano proiettili, s’inseguono a ritmo di musica e lanciano scariche traccianti di mitragliatrice; non l’uno contro l’altro, s’intende… Qui non si fa la guerra, si pongono, piuttosto, le basi del più moderno degli sport. Un trionfo cannoneggiante, di cingoli tesi al massimo e spettacolari salve perforanti. Le ragion d’essere del biathlon dei carri armati, la cui prima edizione si è tenuta proprio lo scorso agosto, sono diverse e militarmente, non c’è che dire, piuttosto condivisibili. Innanzi tutto, l’evento costituisce un modo per trasformare le noiose esercitazioni di tiro al bersaglio, attività fondamentale per l’addestramento degli equipaggi, in un momento di gioia agonistica e fruttifera competizione. Poi c’è il fatto che, in effetti, siamo di fronte ad una vera gara inter-federale, momento d’incontro tra paesi uniti ma distanti, anche dal punto di vista prettamente amministrativo. I partecipanti della tenzone, infatti, rappresentavano rispettivamente gli eserciti di Russia, Armenia, Bielorussia e Kazakistan. Ulteriore idea portante, dunque, sarebbe quella di cementare l’orgoglio regionale attraverso la dimostrazione del proprio primato bellico indiscusso. Eppure, c’è sicuramente dell’altro. Per lo meno quest’anno, l’intera gara si è svolta nella più piena osservanza del fair play, neanche fossimo in presenza di una vera e propria federazione di prestigio. Assoluta uniformità di mezzi, munizioni e condizioni di partenza. Tutt’altra storia, rispetto alle reali condizioni di un conflitto bellico, presunto ambiente naturale dei T72-B. E a vederli competere tra loro, così variopinti e spensierati, questi mostri meccanici diventano la manifestazione materiale di una fantasia di gioco, il perfetto videogame. L’unica espressione valida per un qualsiasi tipo di conflitto armato.

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