Senza un briciolo d’esitazione, l’uomo nella bolla imbocca il viale oggetto di un milione di fotografie l’anno. Disegnando una precisa traiettoria fino al punto di fuga prospettico desiderato, si ferma per qualche secondo a meditare. Quindi, con un rapido cambio di marcia, prepara il proprio mezzo di trasporto al movimento in senso rotatorio. Si gira a 45 gradi dalla telecamera e solleva, in modo asimmetrico, la singola ruota davanti. Ora punta con il mento, come la struttura posta sul fondale, verso il cielo spesso plumbeo della Città delle Luci. Dominando, come il destriero sull’emblema, lo spazio iconico degli Champs-Élysées.
Quando si confronta il mondo dell’alta moda con quello della produzione automobilistica, emerge chiaramente il tratto che distingue maggiormente queste due industrie: entrambe finalizzate alla risoluzione di un problema preciso, con ampia attenzione riservata all’estetica del prodotto finale. Ma che nel primo caso può spaziare in modo significativo nella tecnica, la finalità e i modelli di riferimento; mentre nel secondo si ritrova cristallizzato essenzialmente in una serie d’invariabili modelli di riferimento. Tutti sanno, dopo tutto, com’è fatto un veicolo su quattro ruote e quali sono i crismi progettuali cui è opportuno conformarsi, al fine di sfruttare al massimo i vantaggi derivanti dalla standardizzazione di strade, parcheggi ed altre tipologie di servizi. Jean-Pierre Ponthieu è “l’uomo misterioso”, a tal proposito, che tentò in un particolare momento storico di coniugare le due contrapposte scuole di pensiero a Parigi, evocando dalle nebbie impenetrabili della sua mente creativa un prodotto che sarebbe riuscito a cogliere il mondo del tutto impreparato: una vera e propria automobile ovoidale. L’ufo su ruote che si premurò di definire l’Automodule, per poi spiegare pubblicamente: “Il punto è che l’automobile è brutta. L’Automodule, invece, è bella.”
E chi siamo, noi, per dargli torto? Era del resto l’anno 1968, quando tutti provavano ogni cosa e in molti hanno scherzato in merito al ruolo avuto da sostanze allucinogene o psicotropiche nella creazione dell’ultra-eclettico veicolo in questione, in apparenza creato per spiazzare chiunque lasciandolo del tutto senza parole. Anche se, sfruttando le poche informazioni reperibili online, risulta comunque possibile una parziale contestualizzazione, tale da comprendere il modo in cui l’assurdo bolide non si fosse materializzato, in modo pressoché istantaneo, da uno spazio parallelo al nostro piano materiale d’esistenza. Risultando piuttosto a guisa di coronamento di una lunga e articolata carriera nel mondo della pubblicità, per quello che le cronache coéve avrebbero definito “il Salvador Dalì” dell’automobile. E con alcune valide ragioni, aggiungerei…
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L’Hummer grande come una piramide del faraone dei motori sauditi
Mastodontico, imponente, grandioso, l’iconico trasporto veicolare delle truppe statunitensi si trovò a rappresentare fin da un trentennio a questa parte un significativo potenziale inesplorato, di quanto l’eccesso potesse dominare sulle strade sufficientemente ampie, dimostrando a più livelli l’interesse della gente facoltosa per la cosa pubblica, purché tale cosa fosse allineata al predominio sui campi di battaglia e l’occupazione del suolo straniero. Non a caso il primo testimonial, ed a dire il vero iniziatore stesso della diffusione del veicolo all’interno del mondo civile, sarebbe stato niente meno che Arnold Schwarzenegger, già negli anni ’90 associato ad una passione imperitura per l’estetica militarista e tutto ciò che procedendo grazie alle sue ruote, sarebbe giunto a costituire anche a posteriori un emblema dell’eccellenza ingegneristica del suo beneamato paese. Ma se la personalità principalmente associata al modello consumer di tipo H1 sarebbe stata in Occidente quella di un attore di Hollywood, vi sembrerà stranamente appropriato che in Medio Oriente questo ruolo di “persona celebre” potesse appartenere unicamente al tipo di VIP che domina il panorama economico della vasta penisola e l’intero golfo dell’Oman: sto parlando, chiaramente, di un membro della famiglia reale saudita, il cui nome è Hamad bin Hamdan Al Nahyan ma che tutti chiamano lo “sceicco dell’arcobaleno” (presto vi dirò il perché). Potenzialmente il più ricco dopo Sua Altezza il re Salman, considerato il patrimonio stimato attorno ai 20 miliardi di dollari, derivante come prevedibile dai diritti di sfruttamento delle ingenti risorse petrolifere sul territorio di quei sabbiosi domini. Mentre assai meno scontato risulta essere, di contro, l’ambito specifico in cui è solito investire una copiosa percentuale dei suoi introiti spropositati, ovvero la procura, catalogazione ed esposizione di una delle più eclettiche collezioni di automobili al mondo. In cui non sono tanto i marchi a farla da padrone, quanto strani modelli e fuoriserie, accompagnate da un’accattivante serie di “pezzi unici” fatti costruire sulla base delle sue precise direttive o aneliti non privi di un’importante dose d’ambizione procedurale. “Io non credo particolarmente nel lusso” ama affermare lo sceicco interrogato sull’assenza di Ferrari, Porsche o Lamborghini (fatta eccezione per il primo SUV prodotto dalla compagnia) mentre accoglie i propri ospiti e li fa salire a bordo di una delle sue tre “macchine giganti” custodite all’interno dell’edificio più stravagante di tutta la città di Abu Dhabi. Sotto ogni punto di vista rilevante, una vera e propria piramide di metallo con esattamente 100 metri di lato, il garage perfetto per simili pantagruelici giganti motorizzati. L’apprezzabile dimostrazione dell’opulenza senza limiti, ma anche l’intento di costruire qualcosa di divertente per il pubblico, a suo mondo…
Un singolare contributo giroscopico al sogno dell’auto volante
Nel mondo della tecnologia moderna gli eventi si susseguono rapidamente, al punto che talvolta non è facile comprendere se chi promette l’astro lunare abbia una base solida per le proprie ambizioni, piuttosto che l’intento di comunicare il sogno della pipa, ovvero la chimera di un futuro meno prossimo di quanto vorrebbe farci credere a vantaggio dei propri progetti aziendali e l’acquisizione di una fama che sconfini dal suo mero ambiente di partenza. Esistono però passaggi, a loro modo, necessariamente utili a fornire concretezza ad ogni nota della sinfonia dell’apparenza, come l’effettivo riconoscimento che deriva da una certificazione necessaria, per quanto preliminare e scevra d’ulteriori commenti. Soprattutto quando a fornirla, come nel caso specifico, è la Federal Aviation Administration (FAA) l’ente preposto a regolamentare l’utilizzo dei cieli statunitensi, ad opera di aerei, elicotteri e… Strane soluzioni ibride al problema di sfuggire alle catene della gravità terrestre. Così risale a tre giorni a questa parte la notizia del permesso speciale consegnato dall’ente suddetto alla compagnia californiana della Alef di Jim Dukhovny, cittadino di Palo Alto dalla discendenza ucraina, per il loro prossimo prototipo dell’EVTOL dal nome Model A, imminente evoluzione della già mostrata Model Z. Veicolo a decollo verticale elettrico (ciò significa la sigla) ma anche l’ultimo contributo all’annosa fissazione collettiva per qualcosa che tutti credono di desiderare, pur non disponendo di un’effettiva casistica d’impiego quotidiano: quel caposaldo della fantascienza, “l’automobile” capace di staccarsi dal suolo. Laddove l’utilizzo delle virgolette è d’obbligo, vista la somiglianza della maggior parte di questi veicoli ad aerei dotati di ruote, le ali ripiegate verso l’alto o all’indietro come quelle di una libellula ipertrofica con le scarpe da corsa. Fino ad ora: basta uno sguardo alla creazione in oggetto, per il momento nella forma di un semplice rendering in tre dimensioni, per realizzare di trovarci a tutti gli effetti innanzi ad un qualcosa di fondamentalmente diverso. Una “scocca” o struttura reticolare con funzione di carrozzeria, con forma niente affatto condizionata dalla sua doppia funzione. E la capacità di sollevarsi da qualsiasi luogo, senza la necessità di piste di decollo, eliporti o altre strutture designate nell’indistinto paesaggio urbano. Mediante l’effettiva realizzazione di quella che potremmo definire l’arte del Transformer, piuttosto che un vero e proprio gioco di prestigio. Di cui possiamo prender atto grazie ai video di presentazione, in cui l’oggetto volante formalmente identificato si solleva in senso verticale per poi ruotare su due assi fino a ritrovarsi perpendicolare ed orientato di taglio. Grazie alla cabina sferoidale stabilizzata e finendo per assomigliare, a tutti gli effetti, ad una sorta di bizzarro biplano privo di coda. Il cui atterraggio può avvenire col procedimento invertito, una volta che il pilota avrà deciso di poter tornare a fare uso dell’asfalto come qualsiasi altro essere umano. Grazie all’utilizzo di una serie di tecnologie che definire eclettica sarebbe, a conti fatti, un eufemismo…
La strategia dell’autostrada che avvicina il Cielo e la Terra per i viaggiatori cinesi
Un’idea fuori dal tempo ed oltre i limiti della consueta logica procedurale: rendere vicine, per quanto possibile, le temperate valli del bacino fluviale del Sichuan e gli altopiani tibetani, dove l’aria rarefatta s’interpone come unica barriera tra l’uomo e l’infinito. 240 Km di strada, che non sarebbero una cifra tanto eccezionale, se soltanto non passassero attraverso sei montagne con 25 tunnel, tre grandi fiumi, dodici zone di faglia sismica ed un dislivello nel complesso pari a quello di un sinuoso percorso verso cime perse tra nubi distanti. Ciò non basta ancora a impressionarvi? Allora, considerate questo. Prima del 1980, il trasporto di merci nell’entroterra avveniva primariamente tramite linee ferroviarie, e non era del tutto errato affermare che il paese fosse privo di un singolo chilometro di autostrade in senso contemporaneo. Ancora 7 anni dopo, un primo esempio di simili infrastrutture era stato completato tra Shanghai e Pechino, impiegando prestiti considerevoli da parte della Banca Mondiale. Ma sembrava che la modernizzazione del sistema stradale fosse destinata a procedere a rilento. Almeno finché il 13 gennaio del 2005, il Ministero dei Trasporti annunciò il suo piano “7918” per una griglia di 7 sentieri asfaltati destinati a diramarsi dalla capitale, 9 in direzione nord-sud e 18 est-ovest da completarsi entro il 2030. Ma ciò non fu giudicato essere ancora abbastanza, con il passaggio entro il primo quinquennio al progetto revisionato dal numero identificativo aumentato a “71118” (per undici strade appartenenti alla seconda categoria). Una di queste, alquanto inaspettatamente, avrebbe finito per attrarre l’attenzione, ed in una certa misura l’invidia, degli ingegneri civili di mezzo mondo. Poiché si potrebbe tranquillamente affermare, senza distanziarsi troppo dalla verità, che il lavoro completato nel 2018 per questo particolare e lungo tratto della Pechino-Kunming attraverso la significativa catena montuosa di Hengduan, soprannominato per l’appunto autostrada Yaxi/Tianla o Sky Road costituisca qualcosa di assolutamente unico al mondo. Eppure al tempo stesso, persino tale affermazione potrebbe costituire un parziale eufemismo. Di fronte alla constatazione della somiglianza, più che accidentale, di una parte significativa del percorso alla dislocazione pratica di una montagna russa, tra rampe, curve sopraelevate e soluzioni fortemente innovative, quali la dozzina di trafori montani con forma circolare ascendente, al fine di condurre i mezzi più pesanti fino in cima superando il problema pratico d’eccessive pendenze. Mentre in altri casi, le particolari soluzioni adottate paiono parte di una precisa ricerca estetica, laddove forma originale e funzione risultano effettivamente coincidenti per l’effettiva e comprovata distanza del progetto, da qualsivoglia metodologia consueta dalle comparabili circostanze. Ed è forse proprio questa, tra le molte apprezzabili caratteristiche di una simile modifica del paesaggio, a renderla maggiormente accettabile anche da parte di chi ama preservare le cose com’erano in origine. Benché resti facilmente immaginabile il modo in cui, negli anni, le proteste degli ambientalisti debbano aver richiesto più di un innalzamento sistematico del ben noto e raramente fallibile grande firewall cinese…