Lode a Utrecht, città che ha inondato con successo il suo anello stradale

Con un applauso collettivo, delle poche persone a cui è stato consentito presenziare causa l’interminabile crisi virale, la riproduzione di nave romana Per Mare ad Larium ha versato lo scorso sabato 12 settembre da un comico secchio sovradimensionato, coi colori tradizionali della città, copiose quantità d’acqua splendente, completando infine il tortuoso percorso durato svariate decadi, che aveva portato l’acqua a svanire e trasformato, in maniera almeno apparentemente irreversibile, il volto di un’intera città. Nonostante tutto ancora tra le più riconoscibili, affascinanti e preziose del Nord Europa, strappata al naturale livello dell’alta marea come tanti altri luoghi d’Olanda…
Ma è davvero esigente, il dio di ferro, vetro e metallo, perennemente affamato di spazi da divorare al passaggio della sua imponente stazza frutto di un’imprescindibile funzione: trasportare a destinazione, spesso a discapito del desiderio, i suoi fedeli occupanti e costruttori umani. Automobile, che ogni concetto di natura urbanistica ha influenzato, nell’ultimo secolo e mezzo circa, per la sua semplice ed inevitabile propensione ad andare dovunque il più velocemente concesso dagli spazi disponibili tra cielo e terra. Giungendo a consumare, un poco alla volta, ogni aspetto giudicato “non necessario” o “pratico” di quanto precedentemente eravamo giunti a ereditare dai nostri predecessori, ormai liberati dai motori e le tribolazioni del mondo. Così dove i dominatori franchi dell’Alto Medioevo, i conti d’Olanda e di Gheldria, la guerra degli 80 anni ed almeno un paio di sovrani del Sacro Romano Impero non erano riusciti, ovvero nel riempire il profondo fossato che proteggeva il principato vescovile della città di Utrecht, avrebbe avuto successo il puro e semplice desiderio di semplificare le cose, a partire da un bisogno percepito al principio degli anni ’60 del secolo scorso quando lo Stadsbuitengracht, letteralmente “canale attorno alla città” fu parzialmente riempito di sabbia e terra, prima di essere ricoperto da molte splendide corsie asfaltate nella sua intera parte occidentale e settentrionale, con tanto di ampio parcheggio ricavato tra gli edifici pluri-secolari di un centro storico sottoposto a tale profonda trasformazione della sua conformazione preesistente.
Il che fu giudicato fin da subito, secondo una buona parte della popolazione della città, un significativo errore e fece arrabbiare un gran numero di persone, sebbene nessuno di questi individui avesse un diritto di voto o capacità d’influenzare le decisioni del concilio cittadino, fatta eccezione per l’allora segretario del Ministero della Cultura Ynso Scholten, che si era affrettato nel 1959 a dichiarare il sistema di fortificazione, le torri di guardia ed il fossato di Utrecht monumenti nazionali, prima che le amministrazioni locali potessero farne lo scempio totale che stava chiaramente profilandosi nel suo futuro pressoché immediato. La comunicazione ufficiale l’aveva chiamato piano J.A. Kuiper, dal nome dell’architetto che, riprendendo un precedente piano del tedesco Feuchtinger, aveva pianificato il sentiero per proiettare finalmente i circa 350.000 abitanti di Utrecht verso un futuro fatto di spostamenti rapidi, traffico ridotto e un modo più conveniente di vivere tutti assieme, traendo l’immediata serie di vantaggi che deriva, in maniera pressoché immediata, dal riservare un’appropriato spazio ai veicoli a motori. Ma non tutti i sacrifici, possono essere compiuti con un valido senso di soddisfazione collettiva, capace di ricacciare indietro in eterno il senso di rammarico e rimpianti!

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La grande sete di Palo Verde, tripla oasi nucleare nel deserto dell’Arizona

“Portate quindi il vostro cibo, la vostra acqua, i vestiti e le altre risorse necessarie alla sopravvivenza, poiché nulla sopravvive nell’arido entroterra delle sabbie senza tempo… A meno che riesca a farlo contando unicamente sulle proprie forze.” E così fu, attraverso il lungo corso delle epoche nella storia; genti nomadi o stanziali, indifferenti all’ardua regola della natura, prosperarono con quieta ostinazione, costruendo quell’insieme di strutture che hanno nome collettivamente “Civiltà”. Al sopraggiungere dell’epoca moderna, tuttavia, i deserti sembrerebbero aver perso il proprio scopo primordiale; poiché quando tutto è connessione, integrazione, schema collettivo del villaggio globale, quale può essere lo scopo di ammantarsi della solitudine del mondo, andando a vivere in mezzo ai roadrunner e le lucertole di Gila? Finché sorse a un paio di generazioni a questa parte, sotto l’occhio dello spettatore e della storia, il nome di una direttiva domeinante: NIMBY, “Not In My Backyard” (Non nel mio cortile!) Il sentimento collettivo per cui bella è l’energia pulita, costante, significativa. Ma del resto qui tutti ricordano la fusione parziale del nocciolo a Three Mile Island; per non parlare del terribile disastro, più distante ma non certo meno grave, della centrale Lenin presso quel di Chernobyl, Ucraina. Ecco quindi nel distante 1973, prendere per la prima volta forma l’idea. Di una centrale in grado di essere non solo la più imponente & significativa degli Stati Uniti (in un paese che ne possiede quasi un centinaio) ma soprattutto statisticamente incapace di subire incidenti significativi, data la collocazione a ben 72 chilometri dalla città di Phoenix, Arizona e molto più… Da qualsivoglia altro centro abitato degno di questo nome. Circondata dall’assoluto nulla in ogni direzione e finché riesca a spingersi lo sguardo degli umani. Così Palo Verde fu il suo nome, dal toponimo di origine spagnola in uso per questa regione, quando finalmente venne inaugurata nel gennaio del 1986, sotto la supervisione della società dell’Energia del Servizio Pubblico dell’Arizona che l’ha in gestione tutt’ora e con l’aiuto della compagnia ingegneristico-architettonica Bechtel Power di Norwalk della California. Tre reattori da oltre 1300 MWe di emissione ciascuno, costruiti in modo inusuale al fine di essere del tutto indipendenti l’uno dall’altro in materia di raffreddamento e operatività, per condividere soltanto i servizi offerti dalle strutture di supporto ed assistenza, collocate al centro del complesso in grado di vantare un’estensione complessiva di 1.600 ettari. Di sicuro, un obiettivo non così arduo da raggiungere quando si hanno a disposizione i vasti spazi che caratterizzano l’entroterra americano, benché essi non risultino inerentemente privi di un fondamentale problema: ci avevate mai pensato? Quasi nessuna grande centrale nucleare sorge, in alcun paese del mondo, lontano da laghi, fiumi o le rive dell’oceano. Questo perché sviluppare la fusione di quei carburanti, riuscendo faticosamente a mantenerla sotto controllo, comporta un impegno significativo e costante, sostenuto da copiose quantità del fluido che costantemente sacrifica se stesso, evaporando al fine di tenere i gradi sotto ad un livello ragionevolmente controllabile dall’uomo. Il che ci porta, senza significative esitazioni, al punto cardine della questione…

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Nefasti presagi: le acque alluvionali che minacciano il Buddha mastodontico di Leshan

Nel 1962, durante la carestia che portò alla morte di milioni di persone, egli chiuse gli occhi, al fine di non scorgere le molte vittime che galleggiavano nell’acqua sottostante. 14 anni dopo, alla morte nel giro di pochi mesi di Mao, Zhou Enlai e Zhu Due, un grande terremoto scosse la Cina. Il suo sguardo corrucciato, in quel risvolto critico, parve indicare un sentimento di rabbia e desiderio di riscossa. Nel 2001, quando il paese ricevette il mandato olimpico dopo che si era unito alla WTO, uno strano fenomeno di rifrazione ornò la sua figura come illuminata dalla luce della speranza, mentre la bocca si piegava in un leggero sorriso. Come alte montagne che scompaiono tra i lembi di nebbia, le antiche statue di Buddha attendono il momento in cui coloro che per tanto tempo hanno cercato d’incrociare il loro sguardo, nella speranza di ottenere un aiuto, un presagio. Nella provincia cinese del Sichuan, presso la confluenza dei fiumi Min e Dadu, da un millennio a questa parte esiste una scultura in pietra che raggiunge i considerevoli 70 metri. Essa rappresenta senza dubbi d’interpretazione Maitreya, il discepolo non ancora nato del santissimo Gautama (“Il saggio”) colui che discendendo da una famiglia nobile indiana, ricevette l’illuminazione necessaria per fondare una delle maggiori religioni storiche nella storia dell’Asia. Rappresentato seduto in meditazione come vuole la tradizione, con l’espressione serena e lineamenti squadrati, privi di elementi particolarmente caratteristici perché, naturalmente, nessuno può conoscere il suo aspetto futuro. Particolari davvero conveniente per un qualcosa di scavato, attraverso un secolo di peripezie e tribolazioni, entro la nuda e dura roccia d’arenaria di quest’alta e resistente scogliera. Il Buddha di Leshan o Dafo è stato dunque a lungo utilizzato per interpretare quanto stesse per riservarci il futuro, in funzione di un’espressione ed un contegno in grado di “cambiare” attraverso le generazioni umane, effetto in realtà probabilmente dovuto all’erosione frutto della pioggia, il vento e gli altri elementi. Oggi tuttavia, come già successo in precedenza ma in una maniera che non aveva avuto modo di verificarsi da due generazioni, la colossale statua completamente in pietra tranne le orecchie in legno ricoperto d’argilla appare minacciata dalla casistica più grave e inevitabile data la sua difficile collocazione: che le acque dei fiumi sottostanti, gonfiate dalle copiose precipitazioni atmosferiche di questo problematico 2020 e che stanno minacciando anche la vicina diga delle Tre Gole, salgano fino a ricoprirne l’intera parte inferiore, causando in poco tempo danni comparabili a quelli di parecchie decadi concentrate in poche settimane… E questo SAREBBE soltanto l’inizio. Poiché vuole la leggenda che, nel momento in cui la statua dovesse venire interamente o parzialmente sommersa, la stessa cosa capiterà alla capitale provinciale di Chengdu, con danni incalcolabili data l’odierna popolazione complessiva di 16 milioni di persone. Mentre la protezione civile e l’esercito si affollano attorno ai suoi piedi attentamente scolpiti e tanto grandi da permettere di usare il dito più piccolo come fosse un sedile, disponendo sacchi di sabbia e barriere nel disperato tentativo di prevenire l’inevitabile, sarà opportuno ripercorrere la lunga storia di questa notevole struttura architettonica, scultorea ed ingegneristica, nella speranza che un augurio distante possa, in qualche modo mistico, allontanare l’incombenza del disastro finale…

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Sfera magica delle mie brame, come riescono a fluttuare le fontane?

“Io Galileo Galilei sodetto ho giurato, promesso e mi sono obligato come sopra; et in fede del vero, di mia propria mano ho sottoscritta la presente cedola di mia abiuratione.” Eppur… Sentite queste mie parole… Essa poteva muoversi, volendo! Dietro un Obelisco, in fondo alla diritta strada che conduce all’alto Stadio, ove si compiono i destini d’ardue contese, un grosso globo planetario bianco come l’osso, 42 tonnellate di perfetto marmo in equilibrio sopra un plinto grandangolare. In una vasca spesso vuota in questi giorni, circondata dai mosaici di acquatiche o mitologiche creature. É una delle opere più affascinanti nel Foro Italico (o foro mussoliniano) a Roma, firmata dagli architetti Paniconi & Pediconi nel 1935, i quali tralasciarono di dargli un nome e che detiene, ancora oggi, il record mondiale di singola sfera di marmo più grande al mondo. Ma se le dimensioni contano, e su questo non c’è dubbio alcuno, tale arredo può essere considerato ad oggi una visione al tempo stesso profetica e altrettanto priva di quella caratteristica capace, più di ogni altra, di attirare l’attenzione degli spettatori. Poiché allora non riuscirono a vedere, tra le pieghe inarrivabili del cosmo, l’effettivo instradamento dell’acqua che sarebbe servito per donargli la vita.
Peccato. Perché in fondo la parte difficile, di procurarsi un blocco sufficientemente grande, per poi lavorarlo con la massima attenzione ricavandone la forma geometrica dell’assoluta perfezione, era già stata portata a termine in maniera. E tutto quello che serviva, come il fulmine caduto nel laboratorio del Dr. Frankenstein, sarebbe stato un appropriato ugello, collocato ad arte in posizione centrale sotto il logico sostegno della situazione. Il concetto linguisticamente pleonastico di sfera kugel (dal tedesco che vuol dire sfera, creando quindi l’espressione “sfera-sfera”) nasce infatti dal bisogno percepito, per quanto mai del tutto analizzato, di poter disporre di un’enorme cosa tonda che galleggia, per così dire, sopra un sottile velo d’acqua, roteando in modo regolare almeno finché qualcuno, in un’esempio affascinante d’opera d’arte interattiva, non l’afferri con le proprie mani per deviarne il corso predeterminato. Applicando la forza trascurabile di un bambino! Amata particolarmente in luoghi pubblici, centri commerciali, musei americani della scienza e qualche volta piazze cittadine, la kugel in senso moderno nasce dunque svariate decadi più tardi, nel 1986 ad opera della compagnia tedesca Kusser Granitwerke, benché sia possibile che qualcuno avesse costruito privatamente oggetti simili in precedenza, su scala più ridotta. Il concetto di una sfera rotolante interattiva, che non cade e non si blocca pur avendo un peso complessivo di parecchie tonnellate non sarebbe stato possibile prima dell’invenzione delle macchine di taglio CNC, dato il bassissimo margine di tolleranza possibile tra l’oggetto e la sua base, affinché tutto funzioni correttamente e sia del tutto scongiurato il verificarsi d’indescrivibili incidenti. La prima kugel famosa avrebbe trovato collocazione, quindi, nel 1984 presso la città di Zurigo, durante la mostra Phenomena ideata dal celebre divulgatore scientifico Dr.Georg Müller, per poi diffondersi a letterale macchia d’olio nelle diverse nazioni della Terra senza mai diventare, a dire il vero, eccessivamente comuni. Tanto che la pagina rilevante di Wikipedia, ad oggi, tenta d’elencarne la totale quantità esistente non superando le poche dozzine d’elementi, realizzati in ogni sorta di materiale come il marmo, il granito e in rari casi (e su scala più ridotta) persino pietre semi-preziose, quali l’onice e la malachite. Leggenda vuole, tuttavia, che tali sfere rotolanti possano essere MOLTE di più…

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