La storia della strada simile a un ottovolante usata per congiungere i due lati di Sumatra

Guida, guida la tua macchina tra gli alberi e le alte colline di un paesaggio all’altro lato della percezione cosmica dell’Universo. Dove ogni fronda sembra nascondere le più profonde nozioni della Terra, dietro ciascun tornante che conduce maggiormente verso il fondo della valle ombrosa. Eppure, dolci sono quelle curve, quasi come se il paesaggio stesso fosse stato asservito ai bisogni della scienza e tecnologica umane; liscio è l’asfalto, perfettamente lucido il guard rail a lato del grigio sentiero rovente. Tanto che non sembra veramente di essere all’interno di una semplice foresta ed in effetti, ad uno sguardo prospettico preso da lontano, siamo esattamente 65 metri al di sopra di essa. Lungo il primo dei viadotti, che compongono l’assurda follia stradale di Kelok 9.
Nell’etnogenesi mitologica del popolo disunito dei Minangkabau, i bufali d’acqua (kabau) furono impiegati al fine di porre rimedio al doloroso conflitto contro l’impero induista dei Majapahit, potente consorzio di città stato con capitale sulla vicina isola di Java. Tutto ciò grazie a un singolare stratagemma, quando venne deciso dagli anziani di entrambi gli schieramenti che il predominio sul territorio sarebbe stato attribuito mediante l’esito di una gara, tra i possenti bovini rappresentanti rispettivamente i due schieramenti. Così una volta posate le armi, gli stranieri portatori di rovina portarono sulla pubblica piazza il più impressionante maschio taurino della sua specie, un fascio di muscoli grosso e forte quanto una locomotiva. Mentre dalla parte delle plurime tribù delle montagne, venne lasciato avanzare un giovane esemplare, poco più di un vitello, ancora abituato a prendere il latte da sua madre. Per un esito senz’altro facile da immaginare se non che il piccolo bufalo, precipitandosi alla ricerca delle mammelle sotto il suo imponente avversario, finì per tagliarne accidentalmente lo stomaco con le sue corna. Così che l’adulto, prima ancora che fosse possibile rendersi conto dell’accaduto, si accasciò a terra sanguinante e morì. Da che l’indipendenza mantenuta per il principale gruppo etnico della regione occidentale di Sumatra, il cui nome significa nella loro lingua per l’appunto “Mucca vincente”. Ma la storia aveva in serbo, per loro, ancora molti ostacoli e difficoltosi scontri di religione. Tra cui quello contro il sultanato di Aceh, detentore di un importante monopolio commerciale all’inizio del XVII secolo, nonostante la ferma opposizione dell’anziano capo politico di Sumatra Iskandar Zur-Karnain, che si diceva discendesse direttamente dal grande conquistatore d’Oriente, Alessandro Magno in persona. Alla cui morte il figlio Indermasyah, senza pensare eccessivamente alle conseguenze del suo gesto, pensò di chiedere l’aiuto di una forza totalmente fuori dal contesto politico e militare precedentemente noto, quella della VOC, la temibile Compagnia delle Indie Orientali. Così gli olandesi, senza particolari problemi, spazzarono via i nemici del sultano, chiedendo come pagamento “soltanto” una cosa: le copiose quantità d’oro, estratte periodicamente dalle antiche miniere montane dei Minangkabau.
Ma il trasporto di quest’ultime, nonostante l’utile aiuto di bestie da soma come i kabau, non era semplice poiché doveva fare affidamento su precarie mulattiere in quello che potremmo definire come uno dei territori maggiormente accidentati di tutto l’arcipelago indonesiano. Come l’originario sentiero straordinariamente contorto di Kelok Sembilan, le “Nove Curve Strette” lungo le pedici di due montagne totalmente ricoperte da una fitta foresta…

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La piccola città che ha voluto inventare il culto del curculionide del cotone

Nei racconti dell’orrore cosmico scritti da H.P. Lovecraft, l’adorazione di antichi dei extraterrestri ha influenzato e modificato profondamente il funzionamento della psiche umana attraverso il susseguirsi dei lunghi secoli di storia. Fino al caso estremo di talune comunità come l’immaginaria Innsmouth della contea di Essex, Massachusetts, dove l’influenza di tali esseri inconoscibili ed innominabili ha raggiunto un punto tale da causare mutazioni anche fisiche nell’aspetto e nell’organismo delle persone. Ma non ci sono veri e propri uomini pesce nella cittadina da 28.000 abitanti di Enterprise, situata nello stato dell’entroterra dell’Alabama (del resto, non sarebbe stato di sicuro appropriato) quanto un certo numero di strane personificazioni dai multipli arti sovrapposti, accompagnati da un lungo naso. È possibile notarne la presenza lungo un percorso tematico chiamato ufficiosamente la Weevil Way (Strada del Curculionide) dove un filare di statue in fibra di resina posizionate di fronte ai negozi ed istituzioni rilevanti sembra voler puntualizzare e ribadire insistentemente l’insolito crossover: abbiamo così l’uomo-insetto poliziotto, il pompiere, il cuoco, il dottore. E persino varianti più specifiche, come il coleottero antropomorfo vestito con l’abito del clown di McDonald, o quello che a giudicare dal suo segnale aspira ad ottenere la carica di sindaco del paese. Non che rischierebbe di ricevere una quantità risicata di voti, a giudicare dalla quantità di omaggi apprezzabili nei confronti della sua specie disseminati lungo la parte centrale del centro abitato, a partire dal murales di grandi dimensioni sulla parete di un edificio adiacente la grande piazza, raffigurante un contadino sopra cui grava l’ombra di un sovradimensionato esponente della stessa specie, questa volta di un tipo perfettamente conforme al proprio aspetto di tipo naturale, prelevato direttamente dalla specie di origini messicane Anthonomus grandis, più comunemente detto boll weevil, o “punteruolo del fiore/frutto di cotone”. Il cui omaggio di maggiore importanza storica può essere individuato nella statua vagamente neoclassica posta nel centro esatto della statua quadrata del paese, in cui una figura femminile solleva le braccia sopra la testa, impugnando un grande trofeo con l’effige tridimensionale della creatura in questione, identificata da una placca come “araldo della prosperità” e “catalizzatore del cambiamento”. Va pur notato, d’altronde, come per i primi 30 anni dalla sua costruzione per volere dell’uomo d’affari Bon Fleming ella tenesse in mano una semplice fontana. Ma le cose cambiano col tempo, così come il bisogno di rendere omaggio a chi tanto danno aveva arrecato. Davvero niente male, per una creatura misurante un massimo di 6 mm e che almeno dal punto di vista storico, dovrebbe essere considerata come uno dei principali nemici dell’umanità.
Se le analisi statistiche hanno ormai da tempo dimostrato che la zanzara ucciso il maggior numero di persone, trasmettendo la malaria ed altre orribili afflizioni, non credo possano esserci dubbi sul fatto che il maggior danno di tipo economico arrecato in tutta storia pregressa dell’emisfero occidentale possa essere collocata per l’appunto attorno alla fine del XIX secolo, nei dintorni di questa zona ed a causa di un minuscolo coleottero dal rostro acuminato, sistematico distruttore di quella che aveva costituito, fino a quel momento, l’industria più importante dell’intera parte meridionale degli Stati Uniti americani. Persino, contrariamente a quanto ci si sarebbe potuti aspettare, quattro decadi dopo l’emancipazione degli schiavi come parte del 13° Emendamento (18 dicembre 1865) che aveva dato inizio ad una serie di cambiamenti radicali nell’organizzazione sociale ed economica del paese. Coadiuvata, soprattutto in campo agricolo, da una serie di contingenze collaterali, la prima delle quali avrebbe finito per giungere sulle ali di un flusso di migrazione internazionale…

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4×4 importanti lezioni offerte dal maestro del recupero stradale statunitense

Angeli di una terra promessa, visioni di un’ambita salvezza. Guardandoti attorno smarrito, cerchi un volto tra gli alberi che possa servire a riportarti all’interno della cerchia del mondo civilizzato e tutto ciò che appartiene ad esso. In quale improbabile maniera, ancora una volta ti chiedi, siamo arrivati ad un simile punto di non ritorno? Forse nel momento in cui, per risparmiare qualche dozzina di minuti, hai deciso d’imboccare la salita a gradoni della rinomata Cadillac Hill, un susseguirsi di rocce intervallate da radici esposte sulle pendici collinari a ridosso del lago Tahoe, quando la spia dell’olio era ormai accesa da diversi fatidici minuti. Ma era davvero possibile, a quel punto, mostrarsi pavidi di fronte agli amici che componevano il resto della carovana? Del tutto inimmaginabile. Ecco perché di certo l’inizio della fine è stato il punto in cui hai affrontato gloriosamente, senza guardare indietro neppure una volta, la roccia di Silby avendo cura di non avvicinarti dalla direzione del ruscello, ricordando il consiglio degli esperti: “Ruota bagnata, macchina bloccata”. Il successo che porta all’eccessiva sicurezza. Non che a quel punto sarebbe stato realmente possibile ritornare al piccolo resort delle Rubicon Springs, tra campeggiatori ed avventurieri di una più “bassa” o comunque “prudente” caratura. “Ah, ci sono!” Esclami tra te e te, mentre guardi il fumo che fuoriesce dal cofano rimasto semiaperto, dopo il surriscaldamento oltre ogni margine previsto dal manuale di ogni singola parte mobile all’interno della tua Jeep Wrangler color cocomero d’inverno: “Se c’era stato un buon momento per voltarsi a 180 gradi, è stato quello in cui hai intrapreso dal basso la Little Sluice” Quella pendenza dalle multiple pietre sovrapposte, uno dei pochi tratti del sentiero dove le autorità locali si sono sentite obbligate ad intervenire, rimuovendo gli ostacoli più grossi che agivano come spalti naturali di una sorta di stadio per i curiosi accorsi dai quattro angoli della California, uno dei pochi stati dove le strade riescono ad essere, talvolta, opzionali. Ancora una volta tenti di girare la chiave d’accensione, con uno sguardo sconsolato rivolto alla tua ragazza, al cugino di lei ed il caro insistente amico di tante scorribande in età scolare. Che continua insistentemente a mostrarti un video dal cellulare, il video di un canale YouTube che a quanto dice, contiene la chiave della sua e vostra salvezza: “Guarda, guarda, fidati, arriverà. Io l’ho chiamato appena siamo rimasti bloccati stamattina e tra qualche minuto, ne sono certo, arriverà da noi!” Intercessione divina? Tutti i santi del calendario? Mentre tenti di ricordarti la data per iniziar l’appello in maniera cronologicamente tematica, una forma gialla e squadrata inizia a far capolino tra gli antichi alberi del Rubicon Trail. L’amico sembra essere rimasto per una volta del tutto senza parole, ed in effetti a ben guardarlo, parrebbe addirittura mancargli il fiato. Sobbalzando vistosamente, il veicolo comincia a prendere forma. Se non lo vedessi coi tuoi stessi occhi, non ci crederesti, mentre sale agevolmente macigni della dimensione di un cranio di gorilla preistorico neanche fossero noccioline sul pavimento dello zoo. Stai per conoscere una vera celebrità del Web, al pari di un professionista di Fortnite o la padrona del gatto grumpy, apprezzato attore animale di celebrate pellicole e innumerevoli partecipazioni televisive. “Scusate per l’attesa!” Grida dal finestrino abbassato. “Siete fortunati che stessi provando la macchina nuova entro qualche centinaia di miglia da qui!”
Uno dei punti cardini di Internet è che senza la gabbia imposta dall’industria dell’intrattenimento si può fare spettacolo da qualsiasi cosa, particolarmente quando la cosa suddetta è già piuttosto insolita e notevole a vedersi. Come gli exploit salvifici condotti da Matthew Wetzel, più comunemente noto col suo nom de plume (oppure de guerre?) Matt’s Off Road Recovery, che rappresenta in effetti il programma stesso di quello che ha scelto di fare, con encomiabile competenza, della sua lunga e appariscente vita professionale…

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Il notevole villaggio costruito in bilico sopra una colata lavica pietrificata

La regione spagnola della Catalogna assomiglia talvolta a un regno fantastico, che si dipana all’ombra e in mezzo alle pendici della catena montuosa dei Pirenei. Muovendosi verso settentrione fuori da Barcellona, parallelamente al confine con la Francia, l’ipotetico visitatore troverà una serie di comunità risalenti all’epoca medievale, o persino più antiche, ciascuna degna di un’intera pagina all’interno di un’antologia sui luoghi più affascinanti d’Europa: Peratallada con le sue alte mura, le strade angolari e piazze dalla pavimentazione a cubetti cariche dell’atmosfera di un tempo remoto; Guimerà dai soli 300 abitanti, costruito tra una collina ed un fiume, l’alta torre del castello posta lungo l’estendersi di un’importante punto di snodo commerciale… Ma per quanto riguarda le circa 1.000 persone che vivono a Castellfollit de la Roca nella comarca (regione) e zona vulcanica di Garrotxa, è stato semplicemente l’intero villaggio, ad essere posto fin da tempo immemore in corrispondenza di un sito particolarmente inaspettato. Ovvero l’alto sperone basaltico, lungo più di un chilometro, che si erge per 50 metri dalla valle formata dai fiumi confluenti di Fluviá e Toronell. Una caratteristica del paesaggio risalente a niente meno che 217.000 anni fa, frutto dell’attività del vulcano ormai spento di Begudá. Per certi versi terrificante, ma anche un’importante risorsa per chi avesse l’intenzione di sentirsi maggiormente al sicuro. Perché, dico, ve l’immaginate assediare un luogo simile, con il tipo di strumenti che c’erano a disposizione tra il decimo ed il tredicesimo secolo, quando per la prima volta una struttura umana cominciò a prendere forma in una tale posizione sopraelevata?
Stando al sito ufficiale del comune dunque, oggi recuperabile soltanto grazie all’Internet Archive, il paese viene documentato per la prima volta nel 1096, come “kastro fullit” o “castro-follito”, all’interno dei possedimenti del locale visconte di Bas. Luogo di relativa importanza strategica, benché certamente ben difeso, l’insediamento ricompare saltuariamente nelle cronache dell’epoca, nel 1278 sotto il controllo della viscontessa di Empúries, quindi in qualità di feudo diretto del re Giacomo II d’Aragona (1267-1327) che nel 1315 lo fece passare sotto il controllo di Malgaulì, conte di Bas. Nel 1339 Pietro IV d’Aragona, in seguito, lo riconobbe tra i possedimenti del ducato di Girona, che aveva attribuito a suo figlio maggiore. Poi, nel 1426, avvenne qualcosa di terribile: un forte terremoto distrusse completamente il villaggio. E mentre gli abitanti erano intenti a ricostruire, soltanto due anni dopo ce ne fu un secondo. Ritornata soltanto in parte ai fasti ed alla difendibilità di un tempo, la comunità sarebbe caduta senza troppa resistenza durante la guerra civile catalana, passando di nuovo nel 1462 sotto il controllo diretto di un re aragonese, Giovanni II el Sense Fe ( il Senza Fede). Si trattò di un importante punto di svolta nella storia di questo luogo, poiché da quel momento, le ragioni della guerra non l’avrebbero lasciato più solo.

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