Grandi caldi e grandi freddi, normalmente, conducono a un disagio. Che dire dunque di un getto di vapore bollente con la potenza di 1000-2000 Pascal, proiettato da condotte apposite senza pregiudizio lungo il ponte intero di una nave portacontainer o preziosa petroliera, potenzialmente con l’aggiunta di fluido maleodorante, sostanze appiccicose, se non addirittura corrosive? Di sicuro ciò dev’essere capace di costituire un deterrente per chiunque non sia più che determinato a rimanere a bordo del vascello in questione. Senza dubbio, ogni potenziale intruso si ritroverà costretto a far ritorno sul suo spietato gommone di abbordaggio, pena la trasformazione in scheletro scarnificato sul fondo degli abissi, il timore naturale di ogni marinaio…
Nonostante l’evidente attenzione nei riguardi dei diritti umani e l’intento assistenziale almeno nominale nei confronti dei più deboli, qualcosa di fondamentale è cambiato e non soltanto in meglio a partire dall’ingresso del mondo nella sua epoca contemporanea. Dove può essere, del resto, l’attenzione nei confronti del singolo dramma umano quando tutto appare distante, il guadagno determina la politica delle grandi aziende e l’ultima risorsa della violenza è soltanto una statistica, nota a margine sul rapporto di entrate/uscite di un processo commerciale spropositato! Per non parlare delle intere nazioni sottoposte a sconvolgimenti che ne inficiano e condannano l’esistenza stessa, lasciando solo il mucchio d’ossa laddove prima sussistevano servizi e garanzie, mentre decine di migliaia d’impotenti muoiono di fame. E quasi altrettanti con la benda sopra un occhio, cupamente, decidono piuttosto di non farlo. Sapete ciò di cui sto parlando: quasi cinque secoli fa, le grandi potenze europee ed i loro coloni si trovarono a gestirne ingenti quantità nei tiepidi mari dei Caraibi, a colpi di cannoni, esecuzioni pubbliche e leggi prive di quartiere. Avevano nomi altisonanti, costoro, come Barbanera, Calico Jack, Capitan Kidd, Madame Chang… E motivazioni altrettanto variegate, tra cui la ricchezza personale, il senso di ribellione o l’acquisizione di una posizione preminente all’interno della società ombra di cui erano diventati a lor modo dei pilastri. Attaccare una nave, oggi come allora, comporta la rinuncia potenziale ad ogni prospettiva di sopravvivenza, propria, dei compagni e della controparte inconsapevole, coinvolta suo malgrado nel furore di una tale contingenza. C’è qualcosa di estremamente significativo tuttavia, nella maniera in cui gli eredi remoti di queste imponenti figure risultano ad oggi privi di un’identità precisa, non riuscendo a suscitare più neppure il senso d’indignazione ed atavica offesa del consorzio civile nei confronti delle loro azioni. Il che conduce, senza falla, a un altro tipo di problema: alle possenti compagnie multinazionali che hanno in gestione simili navi, semplicemente non interessa. Grazie all’analisi dei grandi numeri che consente di determinare un peso minimo sui loro bilanci alla chiusura annuale, sulla base di una percentuale di aggressioni, e conseguente pagamento del riscatto, comunque largamente inferiore agli introiti che derivano dai loro trasporti privi d’incidenti. Mentre le stesse compagnie assicurative, come condizione per la stipula di un contratto, prevedono un codice comportamentale secondo cui l’equipaggio abbordato deve immediatamente arrendersi ed agire come intermediario per gli accordi con i propri catturatori, nella creazione di circostanze, se possibile, ancor più profittevoli verso la condotta dei criminali. A meno d’implementare, almeno in linea di principio, valide e risolutive idee…
oceano
Granchio inscatolato mostra perché timido non vuol dire indifeso
Molto delicatamente, il suono dello shamisen riecheggia negli oscuri abissi artificiali dell’acquario di Sapporo. Mentre una forma candida sembra osservare il ritmo della danza dell’epoca dei samurai. Grande, piccolo, forte, debole. Fanno differenza soltanto all’interno di una mente impreparata. Perché in verità, per dominare qualcosa occorre DIVENTARE qualcosa, riuscendo a mantenere il proprio senso dell’orientamento e l’intenzione originaria. Ma questo non significa che un tonno in scatola sia in senso lato, il padrone della scatola. Così come un bruco che si mimetizza sulla foglia, non può dirsi parte inscindibile dell’albero. Eppure proprio lui, con le sue mandibole specializzate, in qualche modo riesce a migliorare la sua condizione. Egli diventa strisciando, acqua-fuoco-vento ma non terra, poiché da quest’ultima, tende ad elevarsi. Sapete cosa invece parte nella forma di una larva zooplanctonica fluttuante, quindi vede crescere ben otto zampe per mettersi a camminare, più una coppia di possenti chelipedi per far del mondo il suo snack? Proprio lui, Calappa il granchio a scatola oppur granchio-dalla-faccia-timida, poiché sembra quasi nasconderla con la principale coppia d’arti, piatta e larga, che termina con quella doppia forbice dalla potenza significativa. Poiché questo intero genus, nato con lo scopo di nutrirsi di molluschi ed altri esseri dal guscio resistente, ha imparato attraverso i lunghi secoli a diventare come loro, ovvero ragionevolmente impenetrabile, coperto da uno spesso strato protettivo. Armatura delle epoche, corazza delle ostili circostanze: l’animale che possiede non soltanto la capacità di negare gli assalti, ma persino deviarli a lato, minimizzando il contraccolpo. Poiché se lo guardi, nell’accezione di una delle 43 specie riconosciute diffuse attraverso i mari tropicali del mondo, egli si presenta come un tutt’uno straordinariamente compatto, dalla forma trapezoidale con gli occhi sulla cima, e le zampette deambulatorie che fuoriescono a scompaiono a seconda del bisogno. Tali predatori e potenziali vittime dell’altrui fame (benché molti pochi pesci si cimentino nell’arduo tentativo di riuscire a masticarli) possiedono una dimensione che va dai 40 mm ai 120-130 del C. japonica, il gigante dalle macchie utili a mimetizzarsi sul fondale. Questo perché, nelle ore dall’alba al tramonto, egli è solito seppellirsi nella sabbia del fondale, ritornando a cacciare solamente col favore delle tenebre, benché un’espressione più specifica possa risultare, nei fatti, “distruggere cose”. Se ci fosse qualcuno pronto ad ascoltare, infatti, questa creaturina piena d’operosa voracità produrrebbe per le sue orecchie un ritmo sincopato simile a quello di un cantiere, mentre con la tecnica ben collaudata, s’industria nel crepare e fare a pezzi gusci di lumaca in rapida sequenza, prima di succhiare la gustosa carne contenuta all’interno. Poiché notoriamente l’asimmetria paga, per chi si sposta lateralmente attraverso le distese sabbiose del vasto mare…
Viaggio verso i pascoli sommersi dell’iguana che corregge le sue dimensioni
Era giovane, inesperta. In quello che potremmo definire uno dei video naturali più famosi dell’ultimo decennio, il rettile dalle dimensioni relativamente contenute correva sulla sabbia senza dimostrare consapevolezza del pericolo inerente della propria condizione: ritrovarsi, all’alba del suo attimo di gloria, nel bel mezzo di una tana di colubridi Pseudalsophis biserialis, anche detti corridori delle Galàpagos. Creature svelte, affamate, sempre pronte a catturare prede in grado di fornirgli l’alimentazione necessaria a sopravvivere per il mese a venire. Prede come le scagliose, sinuose, flemmatiche iguane marine Amblyrhynchus cristatus, normalmente viste mentre placidamente prendono il sole sulle rive dell’oceano, termoregolando loro stesse nella falsa tranquillità offerta dalla cosiddetta ingenuità isolana, ovvero la certezza che nessun predatore possa costituire un pericolo nell’immediato, poiché quelli noti sono sempre negli stessi luoghi e lanciano dei chiari avvisi del proprio intento d’aggressione. Eppure tutto questo, l’eroina delle circostanze fu immediatamente incline a dimenticarlo, quando la minaccia dei serpenti prese a estendere le proprie spire, circondandola, inseguendola, tentando di stritolarla. E a più riprese l’esemplare sub-adulto venne catturato, per poi liberarsi, ancora e ancora, fino all’epico e finale salto, in grado di condurre verso l’alta roccia dell’agognata salvezza. Mai nessuno, da quel giorno, si pose tuttavia l’essenziale domanda: chi era quella creatura? Quali bisogni, caratteristiche condizionavano la sua esistenza? Quale futuro l’aspettava, nel primo giorno della sua seconda vita? Un’iguana di mare dopo tutto, come fu anche troppo pronto a far notare Darwin durante il suo famoso viaggio del 1831, non è propriamente una creatura in grado d’ispirare un significativo senso d’empatia: “[…] disgustose e goffe lucertole. Nere e porose come la roccia sopra cui strisciano e da cui si tuffano per cercare le loro prede dei mari. Alcune le chiamano Demoni dell’Oscurità. Di certe degne dell’ambiente che chiamano la loro casa.” Il che è la dimostrazione di come anche un monumentale personaggio, naturalista in grado di rivoluzionare il sistema stesso con cui interfacciamo noi stessi nei confronti della natura, possa limitarsi talvolta alle apparenze ed abbia commesso un certo numero d’errori. Particolarmente quello relativo al fatto che, secondo il suo giudizio, un animale dall’aspetto tanto “cattivo” dovesse necessariamente essere un carnivoro, laddove non esiste su questo pianeta un rettile marino che sia normalmente più mansueto, ed inoffensivo, di una di queste iguane. Tranne, forse, la tartaruga… Ma non divaghiamo. Il punto fondamentale resta, ad ogni modo, la natura erbivora di questa cupa genìa, la cui unica fonte di nutrimento costituisce, nei fatti, un esempio lampante del grado di specializzazione che tende tanto spesso a raggiungere la natura: alghe rosse o verdi (mai marroni) digerite grazie alla particolare flora batterica del loro apparato digerente. Una soluzione in realtà ideale, per creature come queste probabilmente giunte presso l’arcipelago dall’Ecuador continentale attaccate a tronchi trasportati oltre i flutti dell’oceano durante una tempesta e ritrovatosi, a seguito di ciò, in un luogo privo di fonti cibo pre-esistenti.
Al che in maniera MOLTO graduale (si ritiene che la divergenza biologica possa essersi verificata attorno ad 8-10 milioni di anni fa) esse guadagnarono attraverso le generazioni arti più lunghi e forti, grandi artigli e muscoli perfetti per fare una cosa e soltanto quella: tuffarsi dalle coste rocciose del loro territorio, verso gli abissi senza nome delle ostili circostanze…
La grande onda virtuale del quartiere coreano di Gangnam
Il blu, il bianco, l’azzurro: pigmenti usati per tracciare l’impronta, delicatamente intagliata nella tavoletta di legno, dell’impresa degna di qualcuno che possiede il Segreto… Necessario per catturare, imprimere e riprodurre fino all’estremo l’inumana enormità del mare! Ed è senz’altro un merito innegabile dell’innato senso d’immaginazione che risiede nostra mente, se una simile illusione, bidimensionale nonché contenuta da un singolo foglio di carta, può evocare in noi le più profonde sensazioni di reverenza, entusiasmo e coinvolgimento create normalmente dalla natura. Se fosse dunque in qualche maniera possibile, o necessario, non avremmo già tentato di replicare su scala maggiore lo stesso effetto dell’arte xilografica, per farne il soggetto non più un fortunato gruppo di possessori o visitatori di una mostra, bensì la popolazione di una città intera? Seoul oppure Il mondo, persino. Attenzione, tuttavia: diverse proporzioni influenzano l’efficacia dei mezzi normalmente utilizzati per compiere l’impresa. E qualche volta, prevedibilmente, occorre adattare le proprie aspettative alle limitazioni e i punti forti dell’epoca corrente.
Corsi, ricorsi, avanti e indietro corre l’energia profondamente reiterata del moto che rimescola, sin da tempo immemore, la parte acquatica del nostro vivido astro planetario. Una scheggia d’universo catturata in una scatola grazie a un’illusione ottica antropomorfa, ed esposta sopra la facciata digitale di un palazzo. Niente di simile era mai stato tentato: gli 80,1 x 20,1 metri di uno schermo a LED curvo, quello del singolare centro commerciale SMTown Coex Artium presso il quartiere della capitale che ha dato il nome alla più famosa canzone Pop degli anni 2000, adesso dedicato esternamente a dimostrare il realismo raggiunto dalla riproduzione digitale della forma dell’acqua in tempesta, almeno a patto di osservarla dalla direzione adatta a mantenere l’effetto tridimensionale di una prospettiva forzata. Soggetto notoriamente avverso a qualsivoglia riduzione su scala inferiore ad 1:1. Ma nessun ricorso sembrerebbe essere stato fatto, questa volta, all’allegorica riduzione dei singoli elementi costituenti, affinché l’opera dell’artista possa prendere vita sotto gli occhi degli osservatori: bensì l’assoluto realismo è stato perseguito fin nei minimi dettagli, fino al punto di animare l’onda in maniera tale che sembri girare ancora e ancora dentro l’edificio a sei piani, come il ciclo finale di una gigantesca lavatrice. Il tutto grazie all’opera creativa della compagnia mediatica D’strict, nata a Seoul nel 2004 con l’obiettivo originario di creare siti Web per le aziende ma specializzatosi, negli anni successivi, al fine di proporre dei soggetti per l’onnipresente strumento futuro della comunicazione pubblicitaria: il maxi-schermo installato in situazioni pubbliche, grande punto fermo della letteratura di genere fantascientifico ed effettiva realtà d’Oriente, persino al margine dei nostri giorni di transizione. Un concetto che trova il suo più imponente esempio su scala globale proprio in questo esempio edificato nel 2009, come principale novità del centro congressi COEX situato lungo il corso del fiume Han. Suscitando l’inevitabile, nonché proficua domanda, su quali astruse meraviglie possano nascondersi al suo interno…